Biciclette

Quando un ragazzo eritreo, nato in mezzo alla polvere e alla povertà, vince per la prima volta nella storia una delle grandi classiche del nord nello sport chiamato ciclismo, io – perdonate l’invadenza personalistica – esulto, come avesse primeggiato un mio fratello.

In effetti, lui è mio fratello: così povero nell’infanzia che la vera ricchezza risorsa speranza sono state proprio quelle strade sgarrupate polverose insieme ad un catorcio che avrebbe dovuto somigliare almeno in qualche dettaglio ad una bicicletta.

Del resto, in una vecchia canzone, qualcuno chiedeva al Signore un grande dono: una bicicletta, per alleviare le fatiche di una vita dedita solo al lavoro salariato e agli inni cantati all’Altissimo. Un velocipede per evitare di recarsi al lavoro a piedi, per non tornare a sera inoltrata nella propria stamberga stremati, senza quasi più la forza per respirare.

Non vorrei celebrare troppo l’Eritreo che fece l’impresa, sarebbe una forma d’ingiustizia e anzi una sorta di razzismo al contrario – ché le tirate moralistico retoriche rivelano, confessano sempre l’ipocrisia, la doppiezza di chi vi si dedica con passione, da dedicare a altre, più impegnative, vere cause.

Pedalare, per inseguire i sogni, le lucciole, le comete, le stelle, le persone amate: pedalare per ascoltare meglio la musica del vento, interpretare i messaggi cosmici, raggiungere colline per scrutare panorami altri alti nuovi.

Come dicevano le nonne? Hai voluto la bicicletta? Se hai forato – nella vita, più che i copertoni – mettila in spalla (non le gambe) e pedala, se non vuoi che essa pedali te.

Sarebbe bello pedalare nella Vienna del 1948, quella divisa – divisa militare, giusto per rammentare la Storia – in quattro porzioni ognuna controllata dalle 4 potenze (quattro sberle nella padella delle nazioni) vincitrici, se così pare umano esprimersi, della II guerra mondiale; più interessante ancora girare in bicicletta nel sottosuolo della capitale austriaca, in bicicletta, insieme a guide d’eccezione esperte quali Graham Greene e Rollo Martins, alla ricerca delle anime perdute e delle memorie in quell’immenso dedalo fognario che consente di raggiungere in modo capillare e infallibile ogni anfratto della città, anche il più remoto e segreto.

Nel frattempo, in superficie, nel Mondo Dopo, avremmo necessità, urgenza, diritto a delle allegre gite domenicali pedalanti, anche per fuggire dall’invasione dall’inflazione di tutte le rivoluzioni e soprattutto di tutti gli eroi – non bastavano i supereroi dei lungometraggi cinematografici, spuri ormai di una quota minima di fantasia o afflato poetico – che ci sono piovuti addosso come tifoni tropicali negli ultimi due anni; un eccesso di rivoluzioni ed eroi: siamo in imbarazzo, non sappiamo più dove collocarli.

Nel frattempo, un anomalo – possiamo ancora definire anomalie le risposte traumatiche della Natura all’arroganza antropica? – rialzo di circa 40 gradi centigradi in Antartide, ha causato lo scioglimento di un’area ghiacciata vasta quanto l’intera Roma;

in vista dell’inondazione finale, sarebbe lungimirante cominciare ad allenarsi con i pedalò, o forse, meglio ancora, con le biciclette di ET, quelle volanti.

Nel frattempo, Lui, non solo non è tornato a farsi una pedalata sulla Terra, ma non ha più nemmeno telefonato.

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