A Cloud, a Dream, a Wave

Camminare, deambulare, pedalare; forse. Con la testa sì, ma tra le nuove nuvole.

Non esiste – non ancora – un casco per viaggiare con il capo disperso nelle nuvole ed è un bene, una benedizione, una fortuna incalcolabile: come la catastrofe, ma positiva. Nessuna regolazione, nessuna imposizione, nessuna insopportabile regola: la mente si perde a dismisura nei cirri. Sogna, vaga sull’onda, senza alcuna preoccupazione, senza rimpianti.

A cloud, a dream, a wave: hanno un legame forte, non visibile immediatamente, eppure presente, vivo, vivace, supremo.

Non è un tema nuovo, ma, pensandoci bene, nemmeno noi, nemmeno le adorabili nuvole, nemmeno il mondo. Il nostro, ovvio.

Come scriveva qualche anno fa il sommo poeta, Percy Bhisse Shelley: oh, Vento, se arriva l’inverno, può essere la primavera tanto lontana?

Talvolta l’ansia cresce così a dismisura che, anche respirando a pieni polmoni – due, o più – , si avverte l’impressione di soffocare; per fortuna, caso o necessità, ci si aggrappa come naufraghi al senso del sublime: come fosse una zattera o un salvifico tronco. Uno spuntone, di roccia.

Incontrare senza scopo Mountain Lake, capo di una tribù nativa del New Mexico, “gente senza alcuna importanza” (Carl Gustav Jung), che nelle relazioni interpersonali offrono tutto ciò che per loro è essenziale, non ciò che di grandioso e importante hanno realizzato: un individuo colmo di quanto gli capita, di quanto lo colpisce. Del resto – come diceva lo Zarathustra di Nietzsche – “profondo è il mondo, e più profondo che nei pensieri dell’uomo“.

Salire in sella, pedalare: con cautela, con estrema difficoltà, con lentezza. Come fosse la prima volta, come fosse l’ultima, molto pensata, molto accurata. Come se dipendesse da questo tutta una vita, come se questo fosse la Vita stessa: la mia.

Ringraziare la fisioterapista Federica dell’ospedale civile, i suoi colleghi, tutta la squadra di dottoresse e infermieri che mi hanno soccorso, si sono presi cura di me, mi hanno – letteralmente – rimesso al mondo, rimesso in piedi, rimesso in cammino. Non è poco.

Fare l’amore, ancora una volta; come fosse l’ultima, come fosse la prima. In modo appassionato e finalmente consapevole.

Con la Donna che conta, la più importante:

l’unica.

Copertina di Robinson, 20 maggio 2023

Giocare, sognare (con) Go

Pagina del riscatto, della rivincita, della vittoria: totale e definitiva.

Pagina del “lo dicevo, io“; mezzo secolo dopo – anno meno, anno più – siamo vintage, ma classici, un dato sempreverde che nessuno osa più contestare.

Da bambino non mi è mai capitato di immaginare nel traffico che la Prinz si trasformasse in un gigantesco robot, dotato di forza ed energia portentose, in grado di fare di me un demone o un dio, in grado di rendermi il padrone del Mondo. Al massimo, in una saponetta e per di più senza freni: la Prinz, ovvio.

Eppure, che ci crediate o meno, la mitologica Prinz, a suo sgraziato modo, assomigliava molto a Mazinger Z; il secondo calava dall’alto come un fulmine (buono) “quando udrai un fragor a mille decibel/ su dal ciel piomberà Mazinger“; la prima, la sentivi chilometri prima che arrivasse, specie dopo qualche anno di glorioso ed eroico servizio.

Fortuna che Go Nagai, sensei – maestro, vero maestro – del fumetto nipponico, appassionato di Dante Alighieri (dell’Inferno, in particolare) e di Osamu Tezuka, ‘il dio dei manga’, intrappolato nella sua utilitaria, in mezzo al caotico traffico indigeno, lentamente immaginò che all’auto crescessero delle gambe, per allontanarsi dalla calca, senza più difficoltà.

Fu la genesi di Mazinga Z (e della stirpe dei robottoni, grazie anche al merchandising, ma questa è un’altra storia), grazie anche alle opportune frequentazioni con Astroboy e con il meraviglioso, storico illustratore Gustave Dorè. Dimostrando plasticamente, per l’ennesima volta, l’importanza di potersi accostare a certi Autori, l’importanza di collezionare certe opportunità.

Fortuna – nostra, cioè degli appassionati sfegatati della letteratura disegnata – che Go (gioco con scacchiera di origine cinese, ma siamo liberi dalla geo politica) da bambino abbia optato per l’universo manga, nonostante la genitrice avversasse questo sogno in ogni modo (orfano di padre da piccolino); fortunato che sia coetaneo di mia madre, anche se non sono sicuro che il dato incida; o forse sì.

Kiyoshi, vero nome di Nagai, è – oltre ogni dubbio e considerazione – l’erede di Tezuka e l’autore contemporaneo più importante e influente dei fumetti del Sol Levante; le tematiche e soprattutto i personaggi, dai robot, ai demoni, ai ‘semplici umani’ sono moderni, nel senso di sempre attuali, in perenne bilico, in perenne lotta tra bene e male, tra vizio aberrante e virtù.

Potrei divagare e baloccarmi molto e con soddisfazione su Mao Dante e sulla CommediaDivina, cos’altro? – nagaiani, ma eviterò, per rispetto delle mie esigue lettrici e dei miei folli e (elettronici) lettori.

L’opzione migliore, l’unica:

continuare a giocare a Go, anzi, con Go; continuare a sperare, sognare che i ritrovati tecnologici ultra moderni servano a costruire la casa comune, la pace definitiva;

sognare che gruppi di adolescenti, ovunque sul Pianeta, siano – sempre per sempre – più maturi e più intelligenti degli adulti.

Tempio Puro della Terra

Gli unici indiani buoni non sono quelli morti – come diceva forse il sanguinario ‘generale’ Custer – ma quelli che cavalcano nelle praterie superstiti, che scalano le montagne inviolate, che dialogano con i Venti;

che soffiano impetuosi nei cieli.

Il realismo capitalista, massivamente e massimamente concreto egoista e gretto, è davvero finito con il covid? Davvero il nostro corpo, limitato concreto e desiderante, è la sola “tecnologia sociale” – Chiara Valerio dixit, dopo aver letto Dysphoria Mundi di Paul B. Preciado – che può scrivere una storia nuova del Mondo? Auspichiamo di .

Conoscete voi – come non lo conosco io, ignorante supremo – Salvatore Mannuzzu? Uomo sardo, colto saggio e gentile, magistrato, politico e, soprattutto, scrittore: parole precise e belle, parole su cui riflettere, con attenzione e lentezza, parole magiche che però non salvano da destini cinici e sgraziati. Sarebbe magnifico compulsare come lui, “con lingua sincopata da una punteggiatura jazzistica e insieme giuridica“.

Un sogno, a pupille spalancate e mente sempre sveglia viva osservante.

Se volete capire come funzionano i sentimenti, se volete sul serio modificare la realtà attorno a voi – in prima analisi, il Pianeta sul quale viviamo – osservate con attenzione un film nipponico a disegni animati, un capolavoro: La città incantata, di Miyazaki San. Se davvero volete cambiare tutto attorno a voi, scrivete un libro, “è come dirigere un film con un budget infinito“. Se non mi credete, confrontatevi con lo scrittore Joe Todd Stanton e finirete per inseguire una stella e per scoprire, ancora, la bellezza: che ci circonda e ci “assedia”, ovunque.

La fotografia è un’arte, ma non si tratta di immagini, se non in superficie; appena sotto, esistono le fondamenta. La fotografa Irene Alison grazie alle immagini che scattava alla figlia e a sé stessa, madre adottiva – sono le madri che erigono le figlie o viceversa? – ha percorso un lungo, faticoso viaggio di scoperta formazione rinascita. Crisi, fragilità e una nuova coscienza di sé sono diventate un libro, di immagini e parole: La madre attesa. Le foto di famiglia, rigorosamente senza cornice, rivelano molto più di quanto si creda: “le cose più care non ti abbandonano“.

Molte case di produzione cinematografica, al varo di un film o di una serie, ritengono giusto telefonare alle Sceneggiatrici, per ottenere uno sguardo femminile sul materiale: per fortuna, le Donne riagganciano immediatamente. Una sciocchezza imperdonabile, tutti siamo – più o meno – impastati di bene e male, di maschile e femminile.

Abbandoniamo, in fretta se possibile, quei luoghi dove il Male viene considerato una “risorsa, un’occasione non per redimersi, ma per realizzare affari“, come sostiene, a ragione, il regista Roberto Andò. Nato a Palermo, sa parlare in analisi e profondità, di località straordinarie, ma difficili: impossibili, da vivere.

Il progresso, come lo intendiamo noi nel 2023 post Covid, è un dato troppo grande da mandare in fallimento, ma un cannibale gigantesco che sta per ingoiare l’Umanità e la Terra; per questo Prometeo è l’archetipo dell’Eroe – anzi, degli eroi, pochi ma veri – “generoso verso i deboli, gli ultimi, gli avanzi; è l’Eroe contro uno sviluppo che ha finito per prosciugare sé stesso“. Lo dice con assoluta convinzione Leo Muscato, nel Prometeo incatenato di Eschilo nella traduzione di Roberto Vecchioni, che sottolinea l’importanza di condivisione dell’arte creativa e civilizzatrice. Per salvarci, ripartire, risanare il Pianeta.

E’ la legge della Grande Madre, “che tutto sia in pace nel suo territorio“; “la terra che ho sotto i piedi non l’ho mai venduta o ceduta, desideravo solo tirare su la mia famiglia in tranquillità“.

Questo diceva Toro Seduto, capo tribù del popolo Sioux Hunkpapa, mentre consegnava l’ultimo fucile della rivolta contro il potere;

questa, in fondo, la legge del Tempio Puro della Terra.

Risposte nel vento (sbagliate)

Pagina della vernice, quella arancione, che si può distruggere con l’acqua (preziosa).

Delebile, nel senso di soggetta ad azione, nel senso di “si può cancellare, facilmente“.

Eppure, per il nostro magnifico, avanzatissimo ordinamento giuridico – per la nostra ‘classe’ politica (?) – le e gli attivisti che con vernice arancione delebile imbrattano le mura di certi palazzi, o anche alcune opere d’arte, per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla tragica crisi climatica, sono equiparabili a moderni ‘terroristi’.

Delle due, l’una (e non si tratta dell’ora del pranzo): o non capiscono, o, capendo perfino troppo bene, indicano dei capri espiatori per non pagare pegno, per non prendere decisioni impopolari; tertium non datur.

Come scrive il professor Tomaso Montanari su Altreconomia di maggio, “non sarà un caso che la classe dirigente occidentale ha un’età media altissima, mentre gli attivisti del clima sono ragazzi?“.

Che scherzi birboni, orchestra il caso; vi sembrano bagatelle di poco conto, se due miliardi di persone si mettono per forza in marcia per quel che resta del giorno e del pianeta, se Genova diventa come Marrakech, senza esserlo e senza adeguarsi? Se, senza preoccuparvi né troppo né minimamente, piombate nel 2050? Ammesso e non concesso che siate ancora vivi. In qualche modo.

Ci salverà una novella suor Plautilla Nelli, una novella Annella De Rosa – cos’è una rosa, anche con un altro nome? – o forse un’emula di Giulia Lama, magari una seguace di Artemisia Gentileschi. Chi se non una Donna, chi se non il femminino, nell’accezione più vasta e più completa? Chi se non coloro che sono destinate a custodire nel loro seno e a partorire il feto? Chi se non coloro che generano? Volendo, potendo.

Non chiedetemi dettagli sull’utilizzo del formidabile gerundio: se Adriano – Celentano, chi altri? – è il re degli ignoranti, io sono l’ultimo dei sudditi (non ho scritto Sudeti).

Entro il fatidico 2050 sarà sempre il caso – necessità? anche il Fato si inchina alla Necessità – di cercare casa sempre più a nord. Trovando un certo affollamento, non disdegnerei nemmeno quello sud, naturalmente polo, Pinguini permettendo. Peccato che oltre al caldo sempre più opprimente, alla scarsità di acqua potabile e cibi, si aggiungerà allegramente la presenza del Plutonio 239. Avete capito bene, non il compagno di viaggio migliore: permane nell’ambiente circa 24.000 anni (poi non sparisce, si dimezza, se vi garba), né – come sottolinea Stefano Massini su Robinson di Le Repubblica – consola che la sua presenza sia stata rivelata dai carotaggi effettuati da un gruppo di scienziati (veri) italiani. Sempre grazie alle super potenze e a chi vorrebbe dipendere energeticamente dall’atomo: maneggiare con cura!

Si potrebbe divagare, affrontando questioni calcistiche, ma sarebbe deleterio infarcire di stoltezze la nostra vita, ragionando su piccinerie (invasione del terreno di gioco dello Stadio Friuli al termine di Udinese – Napoli, da parte di migliaia di tifosi partenopei) cui dedichiamo già troppo tempo.

Sarebbe bello, anzi, utile, parlare di giustizia umana, ma forse pretendo troppo. Da me stesso, da voi.

Come sostiene Vinicio Capossela, cantautore e letterato, ci arrovelliamo tra Brecht e Ariosto: le parole sono uno strumento meraviglioso, ma per il primo possono tutto, mentre per il secondo ne abusiamo, ma non siamo in grado di incidere sulla realtà. Come accadde a lui, amministratore della Garfagnana.

Siamo come i liberisti: citiamo continuamente la libertà, a sproposito;

eppure, la vera libertà non può e non deve essere dissociata dalla responsabilità. In tempi avari, in cui tutti hanno ragione e spiegano – ululando – perché,

meglio sedersi dalla parte del torto.

Il secolo nomade

Pagina di Oltramare, Paul: illustre professore di sanscrito a Ginevra.

Ginevra, moglie di Re Artù – quello della spada Excalibur, di Mago Merlino e dei Cavalieri Neri in Britannia – o la città svizzera? Ci siamo capiti.

Del resto, nel V secolo circa, visse il più grande linguista nella Storia dell’umanità, l’indiano (dell’India!) Bhartrhari: sosteneva che ogni conoscenza, anche la più piccola, fosse inestricabilmente connessa con la parola. Ne è convinto anche il professore Raffaele Torella, uno dei più grandi indologi italiani, vivente.

Consapevoli (almeno si auspica) che tra studio delle civiltà e vitac’è sempre uno scarto e qualche sorpresa“; per fortuna nostra.

Meglio il buddhismo o lo shivaismo non duale, meglio l’indianità o la hinduità? Meglio, sempre, includere e comunque chiedete lumi al professore. Leggo pochi articoli giornalistici, capisco meno.

Il ritornismo è una malattia che affligge molti popoli, la ricerca spasmodica nello spazio – qualunque sia – di qualcosa che ormai si è persa nel tempo; la gente rischia di impazzire o di morire in questa folle, inutile corsa al ‘bene smarrito‘. Dalla morte, purtroppo, non si torna, ma se si può, ci si organizza per avvertire; lo garantiva sempre Nonna Erminia, proprio come il grande Amos Oz, per il quale l’unica, pragmatica soluzione per Israele e Palestina sarebbe la creazione di due stati, anche senza amore.

La sola – senza essere una sola – confederazione multietnica, entro certi limiti, che funziona è quella elvetica. Tutto il resto è utopia, impossibilità.

Ma. Ma dove non giungono gli uomini – anche colti e educati – arriva una Donna, informata e determinata, soprattutto estremamente intelligente e foriera di soluzioni pratiche. E’ il caso di Gaia Vince, giornalista britannica ambientale, scarpe comode e cervello sopraffino, che nel suo Il secolo nomade , analizza in modo ampio e completo la questione delle questioni: la crisi ambientale.

Nel 2030 la temperatura del Pianeta salirà di un grado e mezzo, nel 2050 un miliardo e mezzo di persone saranno costretta ad abbandonare la propria casa e migrare in luoghi migliori: i più fortunati compreranno casa in Alaska e Groenlandia. Garantisce Telmo Pievani che per La Lettura ha intervistato l’autrice, Vince. Le popolazioni di tutta la Terra avranno un unico grande dilemma: troppa acqua, o troppo poca. Per questo il secolo nomade ci pone già adesso delle sfide cui dobbiamo trovare soluzioni, in fretta e bene, tanto che perfino le guerre e gli interessi geopolitici sembrano quisquilie. I politici sono inadatti, con la loro competenza scientifica pari a zero e la loro immaginazione concentrata solo sul piccolo cabotaggio dell’oggi, mentre avremmo bisogno di guide visionarie globali che sappiano collaborare e parlare con i movimenti e i comitati che rappresentano i cittadini, tutti i cittadini.

Le migrazioni di massa saranno gigantesche, la disponibilità di cibo sarà razionata e i prodotti alimentari subiranno inevitabilmente trasformazioni grazie alle piante e agli insetti, le emissioni saranno drasticamente tagliate, l’energia sarà verde – davvero – o non sarà e per progettare un mondo ancora vivibile dovremo dispiegare, in modo intelligente e comunitario, tutte le tecnologie a nostra disposizione.

Nel secolo nomade, Gaia vincerà; solo con le parole, solo con la conoscenza:

di tutti, per tutti.

Liberiamoci, dalle feste (rovine metaforiche)

Pagina del: “Arriva qualcuno? Sia festa, sia sacro”.

O viceversa.

Pagina della Liberazione: da tutto, da tutti; soprattutto, dagli obblighi, dalle imposizioni, da chi non si rende conto di essere schiavo e non vuole festeggiare.

Sia festa, ma vera e grande: chi non vuole accogliere, essere accolto, essere sacro, lo faccia pure, ma in altro paese, su un altro pianeta. Se lo trova.

Bandiamo i banditi – scontato, troppo facile – bendiamo i bendati, non affliggiamo gli afflitti (e nemmeno: gli affitti, i fittavoli, i locatori, qualunque significato abbiano); liberiamo le energie migliori, i repressi.

Riflettiamo, sdraiati – adagiati – mollemente, pigramente sul talamo: oibò, che sarà mai? Il talamo, ovvio. Il letto ove si incontrano lascive volontà, o quella parte di cervello (averne!) che rende la memoria valore stabile, eterno finché dura, condiviso?

Fasi lunari e cambiamenti climatici, esiste un nesso scientifico? Se potessimo mitigare la stupidità, sarebbe un successo.

Si invecchia con velocità sorprendente, ci si rende conto che una vita non equivale allo stesso tempo per due individui distinti, però ci s’illude di poter smettere quando si vuole: o ci si prova, trastullandosi tra rovine metaforiche.

Per sperimentare su sé stessi la libertà, o almeno il senso della medesima, bisognerebbe pedalare, su due o su tre ruote, com’era all’inizio della straordinaria avventura; come gli scrittori, drammaturghi, gli artisti di fine 800, del diciannovesimo secolo. La bicicletta era bambina, nuova fiammante, non solo novità e moda, ma strumento per annullare le catene (imprigionanti!), vere o metaforiche. Arthur Conan Doyle, per citare un Sir famoso e conosciuto (si spera), pedalava molto prima e meglio di partorire l’infallibile Sherlock Holmes. Lo stesso Emilio Salgari, padre nobile squattrinato della patria, era un provetto ciclista – lo garantisce Claudio Gregori in Vagamondi, Scrittori in bicicletta (per i tipi di 66thand2nd) – e partecipava a tutte le gare tricolori molto prima di inventare il celebre, venerato isolotto malese di formidabili pirati. Molto prima di immaginare mari, battaglie, mondi asiatici – e non solo – più reali del reale.

Maurice Leblanc, papà di quel gentiluomo con il vizietto dei furti firmati Arsenio Lupin, era possessore e utilizzatore di un biciclo, si scarrozzava con frequenza e soddisfazione tra la Normandia e Parigi e dei suoi viaggi sull’insolito mezzo, scriveva sui giornali; con dovizia di particolari e felicità.

Perfino Samuel Beckett, scoprì la bicicletta e la elesse suo strumento – forse “assurdo” – quasi esclusivo per gli spostamenti;

del resto, in attesa di Godot, della Giustizia, della Libertà e della Liberazione:

meglio pedalare.

Bottiglie recinti confini

Segui le linee, immaginarie o vere.

Segui le linee, dentro te stesso. Di solito, si prolungano nel mondo fuori.

Segui la musica, reale o quella che senti, prepotente, nella tua anima: non sbaglierai.

Cerca il sentiero che ti somiglia, cerca il nome che avevi in origine, questo è il segreto dell’inquietudine, di coloro che non riescono a mettere radici in un posto, fosse anche per qualche settimana o mese.

Ti sembra di essere rigido, di non essere più in grado di leggere le cartine e le guide; gettale via, tanto, prima o poi, la musica e le strade finiscono e rimani solo tu, con te stesso e con l’ansia di proseguire il viaggio.

Se non confidi in me – a ragione – credi almeno a Anna Maria: Ortese; anche perché, tu non te ne sei accorto, ma il mare non bagna Napoli.

Evita giochi da tavolo e bandiere, entra in the house of the Rising Sun e godi liberamente di quello che riuscirai a vedere, di quello che toccherai, poi esci senza rimpianti e continua la ricerca.

Non sempre le brutture della vita costringono a ripiegarsi su se stessi, anzi: spesso accade il contrario e ci si rifugia così lontano da non tornare mai più, da sopprimere quello che rimane, poco o tanto che sia, delle nostre vestigia mortali.

Se puoi, viaggia senza sovrastrutture, lo scrive anche Italo Calvino; sii non superficiale, ma leggero: plana sulle cose dall’alto, osservale interamente, non avere macigni sul cuore. Sarai più agile e scattante quando tornerai in cammino, dopo avere imparato un altro pezzo di vita. Del resto, come dice Kundera, la bellezza dell’essere, risiede spesso nella sua insostenibile leggerezza.

La leggerezza di vivere non è solo un metodo, una filosofia, ma una vera arte: non strumento da poeti e artisti, ma l’armonia nello dispiegare con cura ogni attività umana, per raggiungere equilibrio, serenità, benessere. O almeno: tentare, sempre.

Proteggi la Memoria, tecnologia e velocità – sostiene, a ragione, Shilpa Gupta, artista di Mumbai – rischiano pericolosamente di eliderla, cancellarla, distruggerla.

Non salverai le Parole, il tesoro più prezioso che ci è stato affidato, rinchiudendole nelle bottiglie; quelle che magari usi per lanciare al Mondo il tuo s.o.s. Gli Artisti sanno collocarsi a metà tra logica e amore, sanno creare recinti ove collocare le cose importanti, coltivando alacremente la speranza, nell’attesa che gli altri intuiscano e vogliano fare lo stesso. Del resto, Arte significa sfidare le convenzioni banali, le solite aspettative.

Affidati a follia e perseveranza, fidati di loro, ti aiuteranno quando sarà necessario, ti salveranno dalla banalità che è un peccato capitale, più della stessa cattiveria.

Il potere, (o i vari poteri), crede di controllare i confini e su di essi proietta se stesso, eppure esistono luoghi ‘invisibili’ che sfuggono al controllo, spazi di disperazione dove le persone magari spariscono, ma edificano la Storia: questo ci racconta quanto gli Umani siano resistenti e anche persistenti, nonostante i dolori, gli stenti.

Scrivi un diario della tua vita, meglio: un libro, senza fine. I libri sono strumenti formidabili, rivelano dell’essere umano tutto quello che resterebbe taciuto: travalicano i confini, culturali e fisici, sono il seme più rigoglioso a nostra disposizione per diffondere conoscenza.

Conosci te stesso: si conferma l’impresa più difficile,

la più alta.

dal libro di Bila Copellini

Anime nomadi

Pagina dell’Altrove, pagina della Primavera che intanto tarda ad arrivare.

Ci si dibatte sempre, ci si agita, si anela continuamente un altrove, perché la situazione presente scontenta, lo status quo è la stasi (rammenta qualcosa anche a voi?), l’immobilità, la morte civile e anche laica. Per chi crede, a tutti e a tutto.

Pagina di coloro che sono sempre in cammino, di quelli che, magari, sbagliano le mete – momentanee – ma non falliscono mai la direzione.

Venti, Rosa dei Venti: hanno bisogno di una direzione chiara – le correnti d’aria e gli umani – incontrovertibile; un luogo forse minuscolo o un incontro, meglio con persone ‘piccole’, umili, semplici. In America Latina, in Asia o comunque al Sud. Sempre al Sud.

Sì, viaggiare; perché la vita è un viaggio interminabile, anche rimanendo nella stessa stanza, anche volando, solo con la fantasia, perché gli occhi possano abbracciare tutto il Mondo. C’è chi naviga in lungo e in largo per i 7 mari, senza muoversi mai dallo stesso porto, eppure quell’approdo, insignificante, possiede tutte le caratteristiche più belle dei più nodali scali del Pianeta.

Dio è morto, anche noi non ci sentiamo troppo bene, l’importante è che chi di dovere, sappia comprendere e non censuri; Radio Vaticana a volte vede oltre, quello che i benpensanti non vedono, non vogliono vedere, non ammettono, nemmeno e soprattutto se si tratta di evidenze: universali.

Dio non esiste e provate a trovare voi un idraulico disponibile durante la fine della settimana: solo una delle situazioni è vera al 100%, scegliete voi quella giusta, poi, eventualmente, discutetene con il vicino, quello identico a Woody Allen.

Viaggiare d’estate in costiera romagnola e credere di essere in California (esiste differenza?), incontrare molte persone, le più varie, rimanere colpiti e fermarsi a parlare con un giovane e barbuto nomade di Novellara, terra di contadini, poeti, artisti. Scoprire piano piano, parola dopo parola, passo di seguito al passo, le comuni passioni per il disegno e per gli alberi, possenti e protettivi. Intuire dopo ogni movenza, accurata e sicura, un’estensione vocale particolare e prodigiosa, da autentico mattatore delle scene e dei palchi; padrone dei palchi, senza mai essere padrone delle vite altrui: una benedizione del Cielo.

Quel 13 giugno 1963, Riccione assomigliava davvero tanto a Las Vegas – senza essere California! – i giovani inseguivano, come fanno i ragazzi di tutto il globo, l’ennesimo altrove (che mai deve essere raggiunto, altrimenti è un imbroglio) e nella balera sulla spiaggia nasceva inconsapevolmente una leggenda: del resto, tra la Via Emilia e il West, queste cose sono rare, non certo impossibili. La sottile differenza tra Emilia e Romagna stabilitela voi, se ne siete capaci e non temete confronti.

Le risposte, le soluzioni possono essere semplici, mai facili; rispecchiano la realtà: insieme infinito di complessità. In fondo, è quello che inseguiamo sempre: infinite possibilità per riuscire a essere persone finite, anzi, risolte; ma con la data di scadenza.

Anime nomadi sempre, anime vagabonde mai: non saprebbero dove andare. Un nomade erra, per definizione: non pretende dimora stabile, sbaglia spesso, indovina – sempre – la direzione.

Come Augusto, Beppe, Bila, Dante, Danilo e i circa 30 nomadi musicisti.

Importante, fondamentale: percorrere continuamente sentieri e strade, stringere nuove mani, restare con curiosità in cammino; anche senza palco, anche senza porto:

anche da fermo, per sfiorare qualcosa che c’è, senza raggiungerla mai.

Disperato erotico tramp

The oil machine (Mandrake o Goldrake?)

Pagina di Sir Mandrake, o, se ne avete necessità, Mandrache (Mandrake, alla romana!);

cioè colui che è in grado di organizzare una bella, buona, soprattutto efficace: mandrakata!

In questo terzo millennio ci avevano preannunciato trionfalmente la sparizione perenne di: fame (e sete), povertà, ingiustizie, virus. Come è andata a finire, lo sappiamo tutti, anche troppo bene, perfino quelli che per fedeltà a una ideologia – magara! direbbe sor Carletto Mazzone – o a una parte di qualcosa, non lo ammetterebbero mai.

Citare in dettaglio nomi, cognomi, circostanze esatte, sarebbe inopportuno e inelegante; sono le stesse persone, ad esempio, affrante dalla crisi climatica irreversibile – lavorando alacremente per le multinazionali globali – che in modo disinvolto entrano, partecipano, influenzano, decidono la nostra sorte nei frequenti summit internazionali che dovrebbero discutere e agire per salvare – tentare di – il nostro Pianeta.

Considerati i danni e in particolare la beffa, mi rivolgerei a Mandrake: se non il potentissimo mago a stelle e strisce – almeno… – opterei per il protagonista del fumetto erotico italiano (molto in voga, adesso) Goldrake, nelle edicole più malfamate, dal 1966 al 1980. Ispirato alle incredibili avventure dell’agente segreto di Sua Maestà, James Bond; nel fisico, molto somigliante a Jean Paul Belmondo: lui sì, saprebbe come trarci d’impiccio, impaccio o, perlomeno, baloccarci; assai.

Riflettiamo per qualche istante: viviamo immersi nel petrolio e suoi derivati al – se ci dice bene – 95%, tra plastiche e letali micro plastiche. Anche coloro che predicano il bio e il naturalismo, non riescono a campare indipendenti dal petra oleum. Eppure, lo abbiamo ‘scoperto’ solo nel 1850, siamo suoi schiavi dal 1900 in poi; l’Umanità si è giostrata benino, senza, per secoli e secoli, ma da un secolo e mezzo non riesce – soprattutto psicologicamente – ad affrancarsi da questa sostanza nata sotto il mare, protetta dalle rocce, formata in milioni di anni e riversata velocemente in atmosfera in questo ultimo scorcio di Storia. Un anziano e saggio scienziato ci avverte: quanto decideremo nei prossimi 5 anni, influenzerà la vita delle persone di tutto il mondo (speriamo) per il prossimo millennio. Basterebbe rammentare qualche cifra in libertà, senza arruolarsi per forza tra gli allarmisti: continuare a ballare sulla tolda del Titanic mentre affonda, significherebbe vedere verso il 2050 innalzarsi il livello del mare di circa 7,50 metri. Bangladesh e Vietnam, paesi che qualcuno fatica a individuare sulle carte geografiche, sarebbero sommersi, le risaie scomparirebbero. Cento milioni di esseri umani – gente come noi, per dirla tutta – più probabilmente, 200 o addirittura 300 milioni di persone, vagherebbero per il globo in cerca di un posto dove stabilirsi, di lavoro, di cibo. Chiedetelo all’attivista e regista irlandese Emma Davie, chiedete se la crisi climatica è solo uno scherzetto di pessimo gusto (Halloween…) o se davvero rischiamo l’estinzione, dopo un’era di indicibili tormenti globali. Chiedetelo ai protagonisti del documentario The oil machine (presentato in anteprima nazionale al Pordenone Docs Fest di Cinemazero, Pordenone), forse non vi riveleranno la soluzione, ma – questo è sicuro – vi illumineranno sull’annoso dilemma.

Per la crisi climatica, mi affiderei a Mandrake (alla romana), a Goldrake – non il disperato erotico tramp italiano, ma il robot di Go Nagai – eviterei di lasciare il mio futuro (meglio: delle nuove, fresche generazioni) nelle flessuose mani del vero, elegante mago Usa:

scoprirei, amaramente, che anche gli illusionismi appresi in Tibet, lasciano tutto come prima.

In ogni caso, attenti a non scivolare.

Buona Primavera e Buona Pasqua: senza trucco, senza inganno!

Vento e ferrovie (Messico e nuvole)

Pagina delle ferrovie, statali e messicane.

La tristezza, le nuvole: certo, cosa altro sennò? Eppure… esistono ferrovie statali, in Messico? La domanda non è poi così pellegrina – meglio: peregrina? – se perfino Hitler si era convinto che la chiave segreta per vincere la seconda guerra mondiale (WW2, mai) si annidasse proprio lì. O almeno, ne è convinto Gian Marco Griffi, “scrittore del lunedì“, direttore del meraviglioso golf club di Fubine (Alessandria, non d’Egitto), piemontese schivo e amante di libri, capace di vergare ottocento e passa pagine, per spiegare l’ossessione tricolore del Fuhrer. Tricolore nel senso di stati uniti: del Messico.

Perché cominciare così? Con il Messico, i dubbi sulle sue ferrovie, un libro all’apparenza improbabile che rischia di vincere lo Strega (appoggiato dallo storico e autore Alessandro Barbero, Brick for stone) dopo essere stato letto solo da qualche decina di persone, tra amici e conoscenti?

Chiedo io: perché no? In fondo, la vera vita si rivela ponendosi le domande più assurde, sgangherate, inopportune.

Se le ferrovie statali messicane esistessero davvero, sarebbe cosa non solo buona, ma anche giusta, considerando l’estensione (14° al mondo) e le asperità di questa terra, meravigliosa e incantatrice.

Dunque, se esistono binari pubblici in Messico – tra l’altro, nonostante le incertezze e le oscillazioni controllate del mercato, 14° economia in classifica – non dovremmo più stupirci nemmeno di tutte le altre incongruenze del pianeta: prima delle altre, le guerre e la clamorosa distanza tra i pochissimi ricchissimi e i sempre in aumento esponenziale, poverissimi.

La perfezione è il nulla fagocitante, viviamo nella migliore realtà possibile oggi, qualcuno trova soluzioni geniali, nonché epocali, a problemi che ridurrebbero in ginocchio generazioni di super donne e uomini.

Dunque: sorridi, potrebbe andare peggio, potrebbe piovere…

Ah già, forse la pioggia, quella vera, non esiste più.

Viva il Messico, viva Zapata (Emiliano Brando)!