Pagina dell’elucubrazione: solo pensando a questa parola ho smarrito equilibrio, mentre la via non l’ho proprio trovata.
Elucubrare – pessimo vizio, dall’infanzia in poi – potrebbe avere relazioni pericolose con antiche candele di cera e con interminabili notti insonni, tentando di rinvenire senso, sensi, idee, frammenti di realtà e anche pane e circensi, perché no.
Sguinzagliarsi per l’urbe composita, tra insenature e golfi di ombre e ruderi, senza riuscire a distinguere le une – le urne funerarie e quelle elettorali, spesso sovrapponibili – dagli altri; gli altri siamo ancora noi o qualcosa è mutato? Abbiamo aperto le gabbie della tecnica e dei tecnicismi senza freni, ma le nostre anime hanno ritmi diversi, sono rimaste lontane, forse scollate decollate, da noi e dal mondo.
Nella notte di plenilunio, quando anche i ragni sono mannari, come incaute falene urbane o mitiche pubblicane dei mondi perduti, lasciarsi attirare dai segni di fuoco che si stagliano nell’oscurità, che risaltano dal buio – esterno o endogeno? – come fiammeggianti bassorilievi, magnifici e inquietanti.
Organizzare un sabba, sgorloniano, pasoliniano: esistenzialismi onirici, lo scandalo dell’arte, oltre i primi piani per traslocare ai piani nobili della vita e della natura, ritrovare o trovare il sacro dell’Universo, affidandosi ai veri sapienti cui chiedere lumi: i paladini delle civiltà rurali. Quelle viuzze, quei sentieri che conducono agli orti e ai campi, conservano intatti volti e cure, di genti che senza chiedere qualcosa, senza avere mai posseduto qualcosa, hanno lottato e non smetteranno, oltre la fine della società umana, oltre la scadenza delle dimensioni spazio temporali.
Veli e maschere, merletti architettonici, guglie surreali, labirinti con e senza Minotauro con le indicazioni stampigliate sulle muratura rossa arancia sicula sanguinella, per giungere all’incontro con il mitologico uomo bestia: anche se, per incappare in uomini bestia, non serve avventurarsi nei dedali storti storici tentacolari, bastano il traffico cittadino congestionato e i centri commerciali, prima e perfino durante i dì di festa.
Cortese papavero solitario, appostato sul ciglio della strada, come il passatore di antiche datate rime, di consunte contrade: tendimi un agguato, di ribelle indomabile bellezza.
In un’aia abbandonata, papaveri spontanei in gruppo: collettivo di papaveri proletari con macchina agricola dimessa, dismessa.
Oltre le apparenze, al di là di fatui miraggi, di maggio rendere omaggio ai soli esseri superiori presenti su questa nostra Terra, affidare loro il governo del Pianeta; non saranno perfettissimi, ma tra i bipedi sono le uniche entità capaci di creare vita e tutelarla:
grazie, Mamme.