Per mutare, con le mani (permuta manuale?)

Tanto per cambiare – ma anche, tanto per cantare – vorrei vestire i panni di Giovanni Drogo; forse si chiamava Giuseppe? In fondo, nessuno lo conosceva davvero.

Indossare una divisa che non mi appartiene, lontana da ogni mio ideale, durante un’alba livida, afosa, con un sole nascente così pallido evanescente da convincermi che sia finto. Osservarmi allo specchio per verificare se il mio aspetto formale sia in ordine e proprio come Drogo – non drogo alcunché, né mi sono mai drogato – accorgermi di non provare la tanto attesa soddisfazione; la felicità, per pudore, meglio non menzionarla nemmeno.

Precipitare senza fretta, dopo una vita di interminabili, improbabili attese – alle fermate dei mezzi pubblici romani che somigliano tanto, troppo a quelle della vita – nel romanzo dell’attesa senza fine; sperare dentro la fortezza Bastiani – bastione allegorico di tutte quelle realtà immutabili di cui siamo prigionieri per nostre ignavia e indolenza – in una bella scaramuccia, gazzarra con orde di Tartari; i quali, dispettosi come non mai, o forse lontani cugini di Godot, non arrivano mai all’appuntamento. Fortezza dei Bastiani non più trafitti da dardi crudeli, ma finalmente Bastiani ostinati e contrari?

La vedetta giura vendetta per questa noia psicocosmica – se fossi colto, mi azzarderei a digitare spleen, ma don Bruno mi rifilerebbe a ragione uno scappellotto – più letale di un colpo di mortaio: li mejo mortai tuoi, esclamavano i romani arruolati a forza non nella legione di Cesare, ma in quella straniera. Anche perché Franza o Spagna, finché se magna, magnamose pure le palme del deserto.

Non lo facevo cosi arido e granuloso; non esistono più le lande di mezzo cammino: se non ti stai trascinando esausto, allucinato dal sole impietoso – questo sì, reale – disidratato, in cerca di un’oasi o almeno di una sala da the con gentili odalische/i, come puoi ingannare il tempo e la morte? Cosa puoi trovare nel deserto? Profeti pazzi, predoni, scorpioni, forse visioni?

Maledetto Tartaro, nel senso del fiume infernale e anche della placca che si deposita sullo smalto dei denti umani: quando dormi, se riesci, meglio non digrignare. Potresti atterrire e mettere in fuga i tuoi incubi preferiti. Una tartare di tonno rosso di Marzamemi, con pistacchio di Bronte?

Romanzi dell’attesa, strategie dell’attesa, scritti dal temporeggiatore; per tutta una vita mortale aspetti la vita, poi quella a bordo del bus – cui qualcuno darà alle fiamme, nottetempo – che a tutta velocità scavalca impunemente, beffardamente la tua fermata di riferimento, dal finestrino ti rivolge un sonoro pernacchio e si congeda con un perentorio, definitivo marameo. Consapevoli che la malvagità e la violenza non sono degli insetti, della vegetazione, dei fenomeni – naturali! – solo degli esseri presunti umani.

Ci si dovrebbe sempre rivolgere alla poetica saggezza di un Fiore:

chiediamo perdono, anche in posizione verticale;

tutto ciò che scorre in modo circolare, entro le leggi della Natura, è vita, in purezza.

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