Polpo

Pagina del racconto; si fa presto a dire: descrivi, racconta, scrivi.

Il racconto è dolore ma il silenzio è peggio. Cito male, citofono peggio a Eschilo, ma i veri giganti del pensiero di solito sono umili e comprensivi.

Se dovessi citare un moderno, contemporaneo gigante del pensiero citerei il Polpo: non si tratta di errore di battitura, di lettura o gratuita provocazione. La complessità della struttura cerebrale del polpo, la complessità e la raffinatezza delle sue capacità cognitive sono straordinarie, tanto da renderlo molto più simile a certi vertebrati, bipedi compresi (lui, il polpo, sarà d’accordo?), rispetto alle popolazioni di invertebrati, cui appartiene.

Ci attendono due mesi di ‘nani e ballerini’ – senza offese, ma solo come citazione storica – due mesi brutti, tra afa, roghi e soprattutto falò delle sciocchezze e delle oscenità, ormai consueti nelle famigerate campagne elettorali italopiteche. Per questo, se un Octopus vulgaris, scendesse in campo – o meglio, salisse in terraferma – per candidarsi con un solido, intelligente, lungimirante progetto politico, gli accorderei senza esitazioni tutti i miei voti e tutte le mie urne.

Del resto, quando attempati scorridori, occupanti perenni dei calcinati palazzi del potere, blaterano ai quattro venti di piantumazione di un milione (come si trattasse poi di una cifra mostruosa) di alberi quale promessa funambolica, mentre indicano il perdurare di un sistema economico fossile tutto incentrato su trivelle selvagge, inceneritori di quartiere, rigassificatori in ogni porto e/o simulacro di approdo, non ti resta che piangere e compiangere il Da Vinci e poi buttarti a pesce, come corpo morto sul partito del Polpo: estrema ratio, estrema ciambella di salvataggio.

Abbiamo un grande occhio nel cielo ed è cinese: il più grande radiotelescopio del Mondo, del nostro mondo. Anni fa, altri astronomi captarono misteriosi segnali da Proxima Centauri, ma poi con rammarico dovettero ammettere che erano interferenze generate da guasti delle sonde in servizio nel cosmo. Oggi, quelli registrati da Sky Eye – Eye in the Sky – con scarsa originalità, vengono attribuiti alle solite, immancabili ma mai palesate, civiltà aliene. Ecco, se davvero sono civili, forse non hanno alcuna intenzione di interagire con noi; anche un recente romanzo a fumetti lo ha raccontato molto bene: la nostra civiltà (umana) è sopravvalutata, soprattutto se pretende individui isolati, nevrotici, consumatori compulsivi, cittadini passivi, acritici. L’eventuale marziano a Villa Borghese, in questo mondo dopo, si ritroverebbe attonito ad esclamare: cosa ci faccio qui?

Il marziano, il Polpo, il bipede sarebbero in grado di comunicare tra loro? Il professor Ludwik Zamenhof risponderebbe in modo affermativo ed estrarrebbe da una tasca un certo manuale da lui stesso redatto, un vocabolario di Esperanto – esperanza de paco (non Paco il simpatico oste messicano, ma pace in Esperanto) – convinto e convincente che quando si è propensi, pronti, fautori di dialogo, i ponti e i sentieri si materializzano di colpo, davanti ai nostri piccoli occhi, mortali alieni o cefalopodi che siano.

Qualche volta però sorge, come fosse un’auretta assai gentile, la voglia naturale di ribellione, la voglia di assaltare i forni, anzi, no – viva i Fornai – certe caserme Moncada, per puro, cristallino, indomito istinto di sopravvivenza: rendendosi conto con sgomento che bisognerebbe fare da sé, mancando da un discreto numero di anni un comandante disponibile (lasciate in pace Ernesto, non è certo l’icona violentata dal furbo marketting capitalista per vendere lattine, magliette, spillette).

Quando si saldano gli interessi della scienza – con fiamma ossidrica – a quelli dell’industria e dell’invadente politica, per le persone sono guai. Chiedetelo agli abitanti di Seveso, a chi si ammalò di tumore, alle migliaia di evacuati, causa diossina. La pelle dei bambini bruciava, come l’erba dei campi, di colpo inariditi, gli animali morivano. L’unica colpa di quegli sventurati, ritrovarsi vicini di casa della Icmesa. Come sempre poi fu tutto un florilegio di colpevoli silenzi, omissioni colluse, mistificazioni, ipocrisie, trionfo dell’ignavia. A proposito di alberi, solo un grande pioppo rimase in piedi vicino alla fabbrica della morte, l’unico essere vivente e l’unico testimone meritevole di fiducia e di affetto. In seguito – sempre dopo, purtroppo – arrivò la direttiva europea sui rischi delle attività industriali, ma su quella terra di nessuno i cittadini riuscirono a impedire che fosse edificato un inceneritore (da non credere) e soprattutto che sopra le vasche delle discariche sorgesse quale memoria, monito, speranza il Bosco delle Querce, 40 ettari di terreno, ricoperti con 45.000 meravigliosi alberi.

Votiamo il Polpo, aspiriamo a diventare il popolo del Polpo:

ha tre cuori – dell’intelligenza, abbiamo detto – è flessibile, non presenta spigoli, vive più all’esterno che dentro se stesso;

così lo descrive lo scrittore Fabrizio Caramagna, ricercatore di meraviglie:

è un serbatoio di forme, movimenti, possibilità, è un continuo divenire.

Un candidato imbattibile.

P.S. poetico

Un polpo nel vaso in fondo al mare:
il sogno è effimero,
sotto la luna d’estate.
(Matsuo Basho)