Paaaazo, divinoooooooooooooo mondo di tampon tax und taxis, non quelli gialli che un tempo decollavano, né la nobile famiglia blasonata, ma – pane al pane vino al vino, beati coloro che ne hanno – le orrende gabelle.
Thurn und Taxis, nobili principi da nobile principato, inventori del servizio postale moderno, gioco da tavolo di stampo teutonico, origini italiche dalla famiglia del Tasso, quello della Gerusalemme liberata, non della golosa cedrata, celebrata anche dalla voce della Tigre di Cremona, per i non addetti: Mina.
Mina virtuosa, Mina internazionale e intergenerazionale: se le Tribù di Giovani manifestano – senza mascherine, in teoria senza produrre inquinamento (anche se permangono dubbi sulla autenticità della Flotta di Pedalò che avrebbe invaso i porti di Glasgow) – per rinfacciare agli impotenti della Terra ignavia e inadeguatezza, cantando in coro Parole Parole Parole; certo, manca come elemento fondamentale la voce di Alberto Lupo; consoliamoci con le vignette spiritose di Lupo Alberto.
Attenzione poi ai club, alle balere, alle stazioni balneari che espongono Bandiera Gialla; nel Mondo Prima simbolo di ribellismo giovanile, anelito di libertà, almeno nei gusti musicali e con la danza; nello scombinato Mondo Dopo, simbolo della quarantena, come in origine sulle navi costrette a restare in alto mare, per segnalare la presenza a bordo di letali epidemie e per evitare la diffusione del contagio nei porti del Globo; meglio sfumare in una grigia indistinta dissolvenza, meglio non pensare al secondo Natale consecutivo a scacchi, dietro le sbarre, con i codici a sbarre di tristi regali, senza calore senza gioia umana.
Per accedere alle sale del ballo, biglietti salatissimi, tamponi ogni 12 ore, ritenuti validi solo in caso di esito positivo (cui prodest?); in caso di negatività, complottismo boicottaggio palese dai soliti famigerati swing terroristi.
Aumenta a dismisura, galoppa veloce l’inflazione per non citare ogni tipo di bolletta, eppure fioccano più della neve natalizia, lodi sperticate al governo che non c’è – non in senso antico e istituzionale – e alla fantasmagorica ripresa economica, merito sedicente di una serie impressionante di sigle acronimi anonimi – vi siete iscritti anche voi alle sedute degli acronimi anonimi? – una litania così lunga, oscura, incomprensibile che nemmeno gli autori sarebbero in grado di rammentare e/o spiegare l’ipotetico significato.
Giusto un paravento ché nella realtà le questioni e le vite vanno in altro modo e da altre parti e paraventi servono più nemmeno alle scenette a favore di telecamere, da quando il nostro mare e le nostre isole e coste sono spazzate tempestate tormentate da scionj tornados bufere, mai visti in precedenza.
In Irlanda – verde di natura e non per marketing – quasi tutti si sono sottoposti al rito magico di protezione, eppure detengono il record mondiale di contagi: nessuno però dubiti o discuta la Gilda degli alchimisti, né il Dogma miracoloso.
Restiamo umani, nonostante gli apocalittici, apocalittici poco integrati molto integralisti; apocalittici nel senso di profeti mercenari di sventure, non in quello etimologico di disvelatori di verità, anche perché pare che i bipedi poco apprezzino le verità, poco siano propensi a registrarle, nemmeno quando sono conclamate gigantesche enormi, come il buon Godzilla e loro camminando, ci vadano a sbattere.
L’Alfabeto Forse – il più diffuso e onesto dall’alba dei Tempi e anche dei Templi – di Maurizio Maggiani ci invita a riflettere sulla inquietante potenziale radice comune del trittico: amore amaro avaro; dotte dissertazioni filologiche glottologiche etimologiche filosofiche non mi appartengono per mancanza di predisposizione attitudini culture, purtroppo. Amore egocentrico egoistico non può che possedere un forte retrogusto amaro, pretenzioso di attenzioni e dolcezze esclusive per sé, avaro avarissimo nell’elargizione altruistica; l’avaro immaginario di Moliere? No, quello della porta accanto o peggio, nella stessa casa.
La Libertà è un fatto semplice, una cosa minuscola ma non minima: andare con una bicicletta in stazione, balzare su un treno – anche in corsa, per gli spericolati esperti – e tornare a Trieste; non so se quella di Svevo per capire le mille anime della Mittel Europa, rimasta nostalgica orfana di un imperatore immaginifico ideale; o quella di Scerbanenco, sempre bellissima, ma dall’atmosfera incombente inquietante come la triade del Maggiani dolente nell’incertezza della sorte tra pace e guerra, tra l’appartenenza a un blocco atlantico o a quello a polarità sovietica, crocevia di mille interessi diversi confliggenti;
in fondo, ognuno di noi è un mondo, a parte, che entrando nell’orbita altrui crea attriti dissonanze, contende spazi; un pazzo universo di tasse gravitazionali e tamponamenti cosmici, in attesa di un giorno senza più buchi neri, oppure sì, se davvero come nella migliore tradizione fantascientifica fossero portali dimensionali.
Da Indiani metropolitani, sarebbe un sogno diventare Indiani galattici, resistenti – non resilienti, per carità – come i nobili Popoli Nativi delle Americhe del Mondo Prima;
più nessuno, né con balzelli iniqui, né con sedicenti leggi “potrebbe portarsi via la nostra autentica identità, quella scritta dentro ognuno noi”.