Pagina del silenzio che ferisce. Fero – ‘sta mano pò esse piuma o pò esse fero – fers (Fersen, il Principe?) tuli latum blem blum ferre. Siamo davvero ai ferre corti, con la nostra scienza senza coscienza.
Il tuo silenzio mi ferisce; ritrovarsi alla guida dentro un incubo, però reale, parlando ad un navigatore satellitare ermetico (e se lo dico io), silente ormai da decine di chilometri, immersi in un traffico veicolare caotico e ferino (come il salame? no, quello almeno è felino);
oh, navigatore satellitare silente, come i tapini addetti dei fast food nelle moderne – moderne? – stazioni ferroviarie contemporanee, ormai tramutati in automi umani – ex umani automizzati – formattati per servire meccanicamente orrendi orridi panini a persone altrettanto, parimenti (menti parificate) silenti silenziose, mute che dialogano con difficoltà attraverso un rudimentale linguaggio gestuale, coadiuvati eterodiretti da strumenti elettronici in contatto continuo e ininterrotto con terminali video che emettono luce blu elettrica disumana, fredda.
Inservienti e clienti inconsapevoli che scaldano i posti a coloro che presto li sostituiranno in toto e per todo modo: automi veri, sofisticatissimi droni senzienti, Cyborg che ruberanno loro non solo il lavoro, ma il posto in società, ruberanno non l’anima – ché forse quella sdrucita da tempo, l’abbiamo smarrita da soli per incuria permettendo tutto questo – e dunque le nuove battaglie sindacali dell’evo 4.0 saranno adeguate alle intemperie dei tempi pseudo moderni: cyborg sostitutivi degli umani sì, però – sul punto saremo tetragoni e inflessibili – cyborg di progettazione e costruzione orgogliosamente nazionale.
Non uno sparo, ma finalmente una voce nel buio: fra 800 metri, girare a destra, imboccare – siamo in uno spot plasmon? – via (non è uno scherzo, purtroppo) via Ke Guevara. Forse non ho capito io, molto probabile, non si trattava di pronuncia sbagliata, ma di affermazione di meraviglia e ammirazione: Ke Guevara, l’Ernesto!
Ke Guevara certo, ma anche Ke Scipione, Africano per giunta e per Bacco: a Zama, Annibale e tutto il suo parco di Elefanti non se la passarono bene. A proposito, vi sarete chiesti spesso anche voi dove accipicchia sorgesse questa Zama; Africa settentrionale, indicazione un po’ vaga, ancora peggio se le stesse accreditate fonti storiche ci raccontano che all’epoca esistevano addirittura tre insediamenti urbani con lo stesso nome. Grande è sempre stata la confusione sotto il Cielo e speriamo che almeno quello resti lo stesso e non ci frani sulla capa.
Dormire, pensare, sognare forse, ma sognare come fanno le foreste: ci credereste voi? Esiste una biologia neurovegetale, forse se imparassimo a pensare e soprattutto a sognare come le Foreste riusciremmo a comporre la frattura tragica esiziale tra noi e la Natura. In fondo, i nativi dell’Amazzonia – come ad esempio i visionari (con qualche coadiuvante micologico) Runa – ci insegnano che il cosmo in ogni sua espressione possiede un’anima, un grande respiro vitale che pervade l’Universo; perché non potremmo anche noi cominciare a vedere il mondo attraverso le stesse immagini che ‘vedono’ gli alberi? L’antropologo Eduardo Kohn, origini familiari che meriterebbero una saga romanzesca, da anni sostiene sia giunto il momento per l’antropologia di varcare nuovi confini, esplorare i sentieri che conducono oltre gli steccati ormai vetusti tra cultura e natura. E’ stata l’artificiosa strumentale acefala separazione tra Popoli e habitat a farci deragliare ad un passo dal disastro ecologico finale.
Caro Orhan, che ti dibatti nelle notti della peste, o delle pesti varie variabili duplici, anzi molteplici, insegnaci se puoi, se ti senti generoso, a cavarcela nelle circostanze – con circospezione che non è l’ispezione del circo – complicate e misteriose di questa vita sedicente moderna.
Servirebbe una vera transizione umanistica, come predica e bene per il bene comune Gael Giraud, economista gesuita: generazione 1970, questo depone a suo favore. Sostiene da anni – guardato a vista con sospetto dai suoi colleghi – che serva presto, da ieri, riscrivere i codici del capitalismo per archiviare quello neoliberista e generare invece quello ecologico; rottamando una volta e per sempre il famigerato PIL, “misura stupida delle cose, in quanto distorta, ristretta, parziale”. La transizione ecologica senza benessere comune non esiste, infatti al momento non esiste ed è anzi ipocrita perché i più importanti gruppi bancari mondiali continuano a finanziare e a scommettere solo sulle fonti fossili, ridipinte – anche malamente, maldestramente – di verde. Serviranno in fretta gli antichi valori europei per fondare un nuovo umanesimo e una nuova antropologia relazionale.
Non ci credi, figliuolo? Eppure, senza nemmeno necessità di arrampicata sugli specchi con o senza ventose, già negli Atti degli Apostoli – siamo non nella campo personale della fede, ma in quello dei testi storici – nelle prime comunità cristiane i beni essenziali erano condivisi; anche per San Tommaso d’Acquino, la res communis è superiore ad ogni diritto alla proprietà privata. “Per questo – sostiene con convinzione Giraud – i cristiani europei potrebbero rivelarsi decisivi per il cammino verso una democrazia decentralizzata, nella quale i beni fondamentali per la sussistenza dell’Umanità sono beni comunitari”.
Dovremmo, prima o poi, magari come evoluzionaria forma di class action globale, chiedere tutti – nel senso di tutti i Popoli – la cittadinanza dell’Ecuador, primo paese al Mondo a riconoscere Madre Natura come soggetto portatore di diritti: pare eccessivo formulare la richiesta di inserire questo semplice articolo in tutte le Costituzioni del Mondo, affinché diventino sane e robuste?
Possiamo, dobbiamo riuscirci; psicologia silvana applicata e scienza psichedelica:
il gioco è (sarà?) fatto.