Se perfino un buco nero genera stelle, crea, immagina futuri – anteriori posteriori futuribili, io a cosa servo?
Notizia buona o pessima? Per chi ha sempre creduto in altri mondi nel cosmo, una gioiosa conferma.
Le stelle figlie di quel nero vuoto – domanda sciocca – sono impastate in proprio con la creta primigenia, oppure vengono aspirate da altri universi e poi catapultate nel nostro?
Il Buco Nero Artista potrebbe diventare uno strumento utile per lanciare gruppi di persone – non necessariamente turisti allo sbaraglio – nel giardino fiorito – no Eden, sobrietà – in quello di Claude Monet, per una colazione (di lavoro, giammai) idilliaca, bucolica, anche arcadica; ne avremmo bisogno, assai.
Da ragazzo passeggiavo spesso presso le rive, le sponde, gli argini del Reno; al mattino ante lucano, quando un lucore flebile tentava di intrufolarsi e farsi notare tra le fitte maglie della nebbia, compatta uniforme, quasi imbattibile: sapevo che anche lui era già lì, quel vecchio misterioso squinternato pittore, da una vita deciso a catturare l’istante preciso e irripetibile del primo albeggiare e del primo fotogramma visibile della sagoma scura dell’antico mulino, tra alte spighe di grano, avamposto ormai abbandonato di civiltà rurale, ma draconiano contro le ingiurie dell’incuria umana e del passo inesorabile di Kronos.
Una abitudine sana che coltivo ancora, con costanza.
Anche tra gli uomini bravi, esistono quelli più bravi e quelli, nonostante tutto, nonostante ogni esasperante tentativo di melassa politicamente corretta (corrotta), indispensabili; così, qualcuno riesce a diventare grazie al proprio ingegno e alle proprie portentose qualità un aggettivo, come Federico Fellini – felliniano – qualcuno, un saggio detto popolare, come il tennista iberico Rafa Nadal – quando credi non esistano più speranze, pensa a Nadal.
Mondo marcio! Nessuna divagazione da rapper, solo una semplice considerazione; andrebbe circostanziata: non il mondo, non l’umanità, una parte, ma come nella teoria della mela bacata nel cestino di quelle buone, è più facile che la decomposizione morale si propaghi dai pochi ai molti, mentre per invertire il procedimento di solito servono generazioni, investimenti illimitati in cultura e educazione, ottimi modelli ed esempi concreti, soprattutto familiari. Come dice e scrive il critico Tomaso Montanari viviamo in un certo senso nell’epoca del Tintoretto, in una temperie sociale globale immersa in quella luce meridiana eppure malata, luce finita di una congregazione antropologica le cui strutture, i cui modelli sono morti e in decomposizione, eppure per ignavia viltà pigrizia, rifiutiamo di registrare la realtà e soprattutto di reagire, anzi, programmare per tornare ad agire; agire i nostri destini, individuali e collettivi, per edificare una società globale finalmente fresca e nuova: democratica equa ecologica.
Cara Isadora, me lo hai insegnato tu: la ciucaggine può essere una risorsa, se equivale alla caparbietà tesa verso un ampio orizzonte, diventa un peccato mortale, se sinonimo di ignoranza conclamata, auto compiaciuta, reiterata.
Diventare crisalide, crisalide cruciale, auspicando nella trasformazione in farfalla: sempre più spesso, ci affidiamo a gusci vuoti, incartapecoriti, aridi, finiti. Quelli non sono gusci del miracolo, solo tombe calcinate da riti stantii, anacronistici, anti storici.
Ieri, quel vecchio eccentrico – l’ultimo degli infimi, come si definisce lui – mi ha parlato per la prima volta:
ragazzo, se domani qualcuno troverà in te delle qualità, stai certo che sono dentro te già oggi; la gente giudica in fretta, senza conoscere; anche qui, dove mi apposto sempre a lavorare, loro vedevano solo erba inutile, ma era grano in attesa di maturare. Ascoltami, di notte, guarda prima le stelle e poi dormi e sogna la tua vita come un dipinto, quando sarai di nuovo sveglio, dipingi la tua vita con i colori dei tuoi sogni.
Che strano, oggi sono tornato per parlare con lui, ma ho trovato solo erba alta e raggi solari arancioni che facevano capolino nella nebbia, per una volta, remissiva.