Agone

Discesa agli inferi, scendere, o risalire, nell’Ade; con o senza guardiani, ché in assenza di indicazioni, magari rischi di intraprendere la strada, quella giusta.

Speriamo non sia il sentiero delle buone intenzioni: tutti innamorati, appassionati della pace, ma la guerra fatale vanta sostenitori, corteggiatori – sponsor – migliori; meglio strutturati, economicamente, mediaticamente.

Calarsi, anche senza apnea, nei sotterranei, nei bassifondi, nelle viscere oscure dell’umanità; accorgersi poi di essere precipitati dentro lo stadio, non finale, non ultimo, di Domiziano, dannata – anche d’annata – memoria; sotto, dentro piazza Navona, senza sciocco mercimonio; purtroppo, senza fontane.

Servirebbe una botte di rovere, quale riparo e un lumicino non funebre, non funereo, per ricercare con costanza l’uomo; prima o poi, da qualche anfratto, da qualche recesso – senza allusioni – dovrà saltare fuori.

Nel buio, con ostinazione, coraggio, financo ottimismo ché a volte, più c’è luce – istituto della luce – più arduo distinguere le questioni, i dettagli essenziali. Vorrei essere trasparenza totale, per accogliere il cielo, mare calmo senza minima increspatura per riflettere fedelmente le cose, visibili invisibili. Marguerite e Margaret ci hanno mostrato come e cosa fare; se non le conoscete, presentatevi, con sollecitudine.

Lo sapete – avrete certo avvistato anche voi – Moby Dick, o il di lei daimon: come in un capolavoro di Miyazaki, galleggia, imperturbabile, sopra la piazza. Forse vuole verificare di persona – anzi, di cetaceo – se la leggenda metropolitana dello stadio riconvertibile in arena acquatica per naumachie abbia qualche fondamento.

Di sicuro, per non fare buchi nell’acqua, le fondamenta della piazza e dei suoi palazzi, affondano, poggiano, sullo stato, stadion, sotterraneo; stadio agonistico: buone corse, buon pancrazio, per tutti.

Dovremmo essere di nuovo e sempre in agone, come umanità, nei confronti della vita, della politica, prima di terminare in agonia afona da resa incondizionata.

Servirebbe una secessione, come quella di Klimt e dei suoi colleghi: spalancare finestre e orizzonti, per aerare ambienti asfittici, scardinare convenzioni, disarcionare mummie incartapecorite.

Vivere almeno per un giorno sul battello fluviale fantasma, ormeggiato in mezzo al Tevere; condividere pasti pensieri passioni progetti, con gabbiani e sans papier.

Congedarsi dalla giornata, osservando insieme a questi nuovi amici un tramonto marziano e un arcobaleno invertito, detto circumzenitale;

nato dalla rifrazione della luce su frammenti di ghiaccio nei cirri, a picco sopra di noi, ci invita a alzare la testa:

per sorriderci, con nuovi vividi colori.

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