Tempio Puro della Terra

Gli unici indiani buoni non sono quelli morti – come diceva forse il sanguinario ‘generale’ Custer – ma quelli che cavalcano nelle praterie superstiti, che scalano le montagne inviolate, che dialogano con i Venti;

che soffiano impetuosi nei cieli.

Il realismo capitalista, massivamente e massimamente concreto egoista e gretto, è davvero finito con il covid? Davvero il nostro corpo, limitato concreto e desiderante, è la sola “tecnologia sociale” – Chiara Valerio dixit, dopo aver letto Dysphoria Mundi di Paul B. Preciado – che può scrivere una storia nuova del Mondo? Auspichiamo di .

Conoscete voi – come non lo conosco io, ignorante supremo – Salvatore Mannuzzu? Uomo sardo, colto saggio e gentile, magistrato, politico e, soprattutto, scrittore: parole precise e belle, parole su cui riflettere, con attenzione e lentezza, parole magiche che però non salvano da destini cinici e sgraziati. Sarebbe magnifico compulsare come lui, “con lingua sincopata da una punteggiatura jazzistica e insieme giuridica“.

Un sogno, a pupille spalancate e mente sempre sveglia viva osservante.

Se volete capire come funzionano i sentimenti, se volete sul serio modificare la realtà attorno a voi – in prima analisi, il Pianeta sul quale viviamo – osservate con attenzione un film nipponico a disegni animati, un capolavoro: La città incantata, di Miyazaki San. Se davvero volete cambiare tutto attorno a voi, scrivete un libro, “è come dirigere un film con un budget infinito“. Se non mi credete, confrontatevi con lo scrittore Joe Todd Stanton e finirete per inseguire una stella e per scoprire, ancora, la bellezza: che ci circonda e ci “assedia”, ovunque.

La fotografia è un’arte, ma non si tratta di immagini, se non in superficie; appena sotto, esistono le fondamenta. La fotografa Irene Alison grazie alle immagini che scattava alla figlia e a sé stessa, madre adottiva – sono le madri che erigono le figlie o viceversa? – ha percorso un lungo, faticoso viaggio di scoperta formazione rinascita. Crisi, fragilità e una nuova coscienza di sé sono diventate un libro, di immagini e parole: La madre attesa. Le foto di famiglia, rigorosamente senza cornice, rivelano molto più di quanto si creda: “le cose più care non ti abbandonano“.

Molte case di produzione cinematografica, al varo di un film o di una serie, ritengono giusto telefonare alle Sceneggiatrici, per ottenere uno sguardo femminile sul materiale: per fortuna, le Donne riagganciano immediatamente. Una sciocchezza imperdonabile, tutti siamo – più o meno – impastati di bene e male, di maschile e femminile.

Abbandoniamo, in fretta se possibile, quei luoghi dove il Male viene considerato una “risorsa, un’occasione non per redimersi, ma per realizzare affari“, come sostiene, a ragione, il regista Roberto Andò. Nato a Palermo, sa parlare in analisi e profondità, di località straordinarie, ma difficili: impossibili, da vivere.

Il progresso, come lo intendiamo noi nel 2023 post Covid, è un dato troppo grande da mandare in fallimento, ma un cannibale gigantesco che sta per ingoiare l’Umanità e la Terra; per questo Prometeo è l’archetipo dell’Eroe – anzi, degli eroi, pochi ma veri – “generoso verso i deboli, gli ultimi, gli avanzi; è l’Eroe contro uno sviluppo che ha finito per prosciugare sé stesso“. Lo dice con assoluta convinzione Leo Muscato, nel Prometeo incatenato di Eschilo nella traduzione di Roberto Vecchioni, che sottolinea l’importanza di condivisione dell’arte creativa e civilizzatrice. Per salvarci, ripartire, risanare il Pianeta.

E’ la legge della Grande Madre, “che tutto sia in pace nel suo territorio“; “la terra che ho sotto i piedi non l’ho mai venduta o ceduta, desideravo solo tirare su la mia famiglia in tranquillità“.

Questo diceva Toro Seduto, capo tribù del popolo Sioux Hunkpapa, mentre consegnava l’ultimo fucile della rivolta contro il potere;

questa, in fondo, la legge del Tempio Puro della Terra.

Porci cremisi

Pagina del progresso scorsoio, come lo definiva il grande poeta Andra Zanzotto.

Scorsoio, come il nodo dell’impiccato e non si tratta di un gioco, ma della croce – poco virtuale, molto solida – alla quale ci siamo appesi, optando per lo sviluppo di marca fossil capitalistica.

I veri Poeti hanno occhi formidabili, sanno guardare molto più in profondità, molto più lontano, scandagliando tutte e quattro le dimensioni principali, spesso anche quelle ancora non teorizzate, non individuate dalla fallibilissima scienza.

Pagina del rapporto Forrester che non è il rapporto Pelican – anche se le attinenze esistono, eccome – né si tratta del business plan di una casa di moda di infimo livello di Los Angeles; Jay Wright Forrester, ingegnere del Mit di Boston, già nel preistorico 1970, pungolato da quei pazzi del Club di Roma, fondato da Aurelio Peccei, aveva redatto un modello matematico che – mannaggia alle coincidenze – individuava nell’anno 2020 l’inizio del collasso finale della civiltà umana.

Un modello non campato in aria, non dedotto da un lancio nell’etere di dadi griffati Alea, né su oscuri indecifrabili incomprensibili vaticini, in stile Nostradamus: una previsione scaturita dall’analisi approfondita di quel criminale, suicida stile di vita incentrato sullo sfruttamento indiscriminato delle risorse comuni e sulla produzione senza limiti di merci di ogni tipo, incuranti dello spreco e del conseguente inquinamento, all’ennesima potenza. Di questo passo, il riscaldamento globale supererà i tre fatidici gradi centigradi – rispetto ai livelli del mondo pre industriale – al ritmo di una ouverture rossiniana, con un epilogo noto che, al confronto, le pellicole catastrofiste di Hollywood apparirebbero comiche dell’era del muto, interpretate da Ridolini.

Siamo precipitati nell’evo spurio, senza speranza e senza respiro: l’umanità forse si salverà – grazie a una qualche forma di memoria – mentre si estingueranno gli umani, rei della colpa più grave e inemendabile, avere mutato per egoismo egotismo, egolatria autoreferenziale la natura della morte, in cultura unica e monocratica della morte.

Chi guadagna con la guerra e con l’inquinamento è un farabutto, un criminale contro i Popoli e contro la Terra.

Stormi di biplani – esistono ancora, dunque? – graffiano un cielo colore carta da zucchero:

è come ritrovarsi catapultati dentro un film di Sensei Miyazaki, con un balzo logico, perfetto.

Parafrasando l’intrepido aviatore Marco Pagot, meglio diventare porci rossi che guerraforieri e avvelenatori, prima che anche la fase del collasso diventi irreversibile, meglio diventare porci cremisi (con le ali), per imparare:

a prendersi cura della Natura, del Mondo, di noi stessi.

Agone

Discesa agli inferi, scendere, o risalire, nell’Ade; con o senza guardiani, ché in assenza di indicazioni, magari rischi di intraprendere la strada, quella giusta.

Speriamo non sia il sentiero delle buone intenzioni: tutti innamorati, appassionati della pace, ma la guerra fatale vanta sostenitori, corteggiatori – sponsor – migliori; meglio strutturati, economicamente, mediaticamente.

Calarsi, anche senza apnea, nei sotterranei, nei bassifondi, nelle viscere oscure dell’umanità; accorgersi poi di essere precipitati dentro lo stadio, non finale, non ultimo, di Domiziano, dannata – anche d’annata – memoria; sotto, dentro piazza Navona, senza sciocco mercimonio; purtroppo, senza fontane.

Servirebbe una botte di rovere, quale riparo e un lumicino non funebre, non funereo, per ricercare con costanza l’uomo; prima o poi, da qualche anfratto, da qualche recesso – senza allusioni – dovrà saltare fuori.

Nel buio, con ostinazione, coraggio, financo ottimismo ché a volte, più c’è luce – istituto della luce – più arduo distinguere le questioni, i dettagli essenziali. Vorrei essere trasparenza totale, per accogliere il cielo, mare calmo senza minima increspatura per riflettere fedelmente le cose, visibili invisibili. Marguerite e Margaret ci hanno mostrato come e cosa fare; se non le conoscete, presentatevi, con sollecitudine.

Lo sapete – avrete certo avvistato anche voi – Moby Dick, o il di lei daimon: come in un capolavoro di Miyazaki, galleggia, imperturbabile, sopra la piazza. Forse vuole verificare di persona – anzi, di cetaceo – se la leggenda metropolitana dello stadio riconvertibile in arena acquatica per naumachie abbia qualche fondamento.

Di sicuro, per non fare buchi nell’acqua, le fondamenta della piazza e dei suoi palazzi, affondano, poggiano, sullo stato, stadion, sotterraneo; stadio agonistico: buone corse, buon pancrazio, per tutti.

Dovremmo essere di nuovo e sempre in agone, come umanità, nei confronti della vita, della politica, prima di terminare in agonia afona da resa incondizionata.

Servirebbe una secessione, come quella di Klimt e dei suoi colleghi: spalancare finestre e orizzonti, per aerare ambienti asfittici, scardinare convenzioni, disarcionare mummie incartapecorite.

Vivere almeno per un giorno sul battello fluviale fantasma, ormeggiato in mezzo al Tevere; condividere pasti pensieri passioni progetti, con gabbiani e sans papier.

Congedarsi dalla giornata, osservando insieme a questi nuovi amici un tramonto marziano e un arcobaleno invertito, detto circumzenitale;

nato dalla rifrazione della luce su frammenti di ghiaccio nei cirri, a picco sopra di noi, ci invita a alzare la testa:

per sorriderci, con nuovi vividi colori.

Iato

Pagina dello Iato, specifico subito a scanso di equivoci, scansioni, scansie: non ho detto Cato.

Cato Fong, maggiordomo, fido nel senso di fidato, non felino, assistente maestro e allenatore alle Arti, marziali; cinese, ma non sono razzista e nutro molta stima per le antiche civiltà e per il popolo dei Pipistrelli.

Referenziato ottimaMente dall’ispettore Jacques Clouseau della Surete.

Mentre scrivo, non sarebbe davvero il lasso da rodeo propizio opportuno adatto per combattere, né sul serio né per allenamento; anche se resta la percezione che il momento della pugna stia per giungere, stia per sopravvenire il redde rationem, così i grandi sostenitori della metafora bellica troveranno appagamento, pagamento e pane duro, per i loro dentini.

Sarò pedante – no Dante, no party – puntiglioso avrò le pigne, dentro la capa: non ho scritto nemmeno Jago.

Lo iato è forse una iattanza, una iattura (frittura)? Etimo etimo, salvaci tu, dalla nostra abissale pomposa pavida ignoranza: ignoro, quindi sentenzio. Sprofondo nelle mie orride lagune culturali. Sono morti i tempi – al bando i tempi morti, a morte i sommi capi – del conoscere per deliberare; e poi, scusi, Lei chi conosce, se nel frattempo i sani 6 gradi di separazione sono stati divelti, spianati, annichiliti: da social vergognosi in quanto senza vergogna, da bipedi ormai inumani, metà app metà gregge.

Tanto cresce la monità – concetto derivante dalla Sacra Mona, culto delle genti venete e friulane – di gregge che i Lupi del branco pregustano già lauti abbondanti pantagruelici banchetti. Avete già scaricato l’imperdibile app ‘InMona’? Tutto va in Mona, Madama la Marchesa; tutto è bene, quel che finisce in Mona; se son Monalise, fioriranno (saggi di proverbiale saggezza popolare).

Iato mio, iato mio, per piccino che tu sio – De Sio, le Sorelle partenopee – sei più perniciosetto di uno sbadiglio, sempre mio; mi apro come fossi una cozza non più abbarbicata, spalanco la bocca coprendola, per pudore per rispetto, della bocca e delle parole che potrebbero fluire, senza controllo senza briglia senza autorizzazione.

Non voglio lasciapassare, né anelo marchiatura come bestia da soma.

Iattanza è un menare: vanto, sempre meglio del povero cane per l’aia. Una millanteria, una mattanza di fatti e verità, un’ostentazione, del nulla. Eterno ma reiterato, purtroppo.

Vedo che il tuo iato è grande quanto il mio: il divario, l’Oceano ormai placido e silenzioso – non ne sarei così sicuro – tra la vita che avrei voluto e quella svolta, un po’ a braccio, un po’ a mente, non sempre libera; uno svolgimento un po’ così, con quella faccia un po’ così di noi che la scriviamo direttamente in bella, tanto che alla fine del componimento non si capisce se la versione sia quella definitiva o solo la brutta copia. Uno iato enorme tra i Sogni che facevano volare, che trasformavano un traballante armadio del ripostiglio in una formidabile cosmonave e in un magico portale per viaggiare tra i Tempi, e le più modeste grigie aspirazioni poco ispirate attuali, in un mondo dopo nel quale perfino il naturale istinto di sopravvivenza viene censurato come disfattismo anti sistema, ribellismo, negazionismo.

Di cosa, di grazia?

La Grazia l’Umanità la Bellezza le negate e le uccidete voi che instillate fobie paura terrore contro la Vita, contro gli esseri della razza: umana.

Confidare di nuovo, ancora e sempre nei miraggi della Fantasia, unici ormeggi approdi viaggi sicuri per un’esistenza se non gloriosa, dignitosa, impugnando penne bussole matite spade, del Sole:

perché tutti un giorno siamo stati protagonisti al fianco del Principe Valiant della più grande e bella avventura del Mondo.