Scorie scandalose

Pagina dello scandalo, non ho scritto sandalo; del resto, non sono degno di scrivere, né di allacciare i calzari, a chicchessia.

Chi sarà mai questo Chessia (assonanze, prima che ci colga il sonno)? Forse un lontano cugino di Carneade.

Non riusciamo a decidere in modo radicale una strategia operativa per eliminare e soprattutto non produrre monnezza inquinante sulla Terra, ma siamo già riusciti a colmare lo spazio sopra le nostre teste – spesso vacue, vuote – di detriti di fabbricazione antropica, compreso il moncherino di razzo cinese che il 4 marzo si schianterà ufficialmente sulla nostra Luna smarrita; battezzandola quale ennesima discarica abusiva dei nostri veleni, mentali e spirituali.

Bisognerebbe sperare in un Drago volante come la magnifica illusione sotto forma di aurora verde fluorescente, nel cielo d’Irlanda, nel febbraio del 2019, un drago sputafuoco in grado di eliminare all’istante con il suo alito venefico, salvifico, ogni corpo solido nel suo raggio d’azione; sarebbe comodo, troppo comodo e come sempre assolutorio per la nostra idiozia, la medesima da decenni; la stessa che, nonostante la drammatica situazione ambientale, per ignavia e pigrizia demoniache, ci spinge a illuderci sulla improbabile, inattuabile soluzione criminogena di sempre: nascondere polvere e briciole tossiche sotto il tappeto. Come nel Lazio, come a Roma, dove qualche anima bella, anzi brutta, pessima, mutando nome alle consuete, consunte schifezze di palazzo, ha creduto di poter riesumare impunemente uno pseudo progetto di discarica – abusiva già dalla sola idea, prima che criminale per il buon senso e per le leggi – accanto a Villa Adriana, patrimonio Unesco dell’umanità (sempre più lisa, quasi elisa, disperata), vicino alle amene aree collinari di Tivoli, un paradiso sul pianeta, se non ci fossero gli interventi offensivi dei miseri, miserrimi bipedi; inadatti al volo, planare e non solo.

Nel tempo del pan nazionalismo – o pannazionalesimo, come avrebbero detto i saggi all’osteria – di stretta osservanza europea (niente popò di meno che), non ci siamo accorti delle 30 guerre che dilaniavano il nostro piccolo pianeta, ma quando ci hanno imposto di condannarne una, ci siamo allineati, scattando in piedi all’unisono, sorvolando come bombardieri sulle armi costruite e vendute dalle nostre aziende, sicuramente a fine del bene. Come scrive Francesco Merlo, a certi iper cattedratici (ansiosi di censurare un corso su Dostoevskij, colpevole di essere nato in Russia), bisognerebbe regalare in formato audiolibro L’idiota; costoro poi forse ignorano, postilla personale, che spesso, perfino il re, annoiato dal servilismo bolso e acefalo di certi realisti più realisti di lui, per scuotersi dalla noia e rinnovare il sollazzo, ordina ai suoi soldati: celeri decapitazioni degli stessi laudatori, fino al giorno prima in gara spasmodica per magnificare le gesta, le imprese, i progetti audaci del sovrano.

Idee scandalose, in accezione negativa; non come il corpo nudo del Poeta, ritratto su pellicola dal fedele amico fotografo, non come il suo corpo straziato, riverso sulla rena (sopra un brandello di litorale popolare, trasformato in arena, per farne carne da macello, martire da offrire in estremo sacrificio alle menti ristrette, alle coscienze sdrucite): scandalosa ogni sua parola, perché il poeta vero, proprio come il vero profeta, scandalizza, deve scuotere dalle viscere, con le sue parole, con le sue azioni, con la sua stessa presenza fisica sulla terra, accanto a noi, in mezzo a noi; un destino lucente e crudele: condanna l’eletto a vivere dentro il consesso umano, additato, in fondo ostracizzato per la sua preziosa alterità, capace di abbracciare e scandagliare con la mente superiore ogni anima dei suoi simili e per questo condannato nel momentaneo transito planetario, all’invidia generale, all’odio insulso delle élite e delle masse – l’ipocrisia dello stigma collettivo, per rimuovere le colpe individuali – ad una suprema solitudine esistenziale. Dall’Olocausto – caustico finale – ai giardini dell’empireo: Olimpo, con pioggia di foglioline d’alloro.

Una Olivetti lettera 22 non è un orpello archeologico, ma la miniera delle parole, la fabbrica della fantasia, il tesoro dello zio, detto Mario l’aviatore.

La vera libertà non è mai gratuita e agli eretici, come premio, di solito spetta il rogo, da protagonisti:

sulla pubblica piazza, con mordacchia sul viso.

La guerra non mi è mai sembrata tanto schifosamente orribile come ora: ma non si è mai pensato cos’è una vita umana?” (da una lettera di PPP all’amico Franco Farolfi, estate 1943).

Sakura si sposa Speranza, l’Albero: Fiori di Ciliegio

Cuba Libre, non ti sopporto più.

Capitan, mi Capitan: il brigantino è in mano nostra; Ottimo, ciurmaglia, dirotta su Cuba; No, giammai, Cuba no mas.

Castristi, castranti, castrati a me – all’improvviso, quante voci bianche filoliberiste nei liberi autorevoli professionali media occidentali – Cuba regime disumano, oppressivo, assassino (ha rubato banane a Palermo?): lo stesso che durante la fase cruciale della prima clausura pandemica ha inviato in Italia un’equipe medica di alto livello, prezioso ausilio per le terapie intensive nostrane, in stato di apnea; agonia causa annientamento politico della sanità pubblica, non causa suono flautato di Pan Demia.

Maledetti cubani, sempre in sella alla moto del Che: furbi, spietati, lo hanno pianificato per sviare i sospetti dai loro comandanti, dal loro Buena Vista Social Club; ma noi, grandissimi figli di Machiavelli non l’abbiamo trangugiata – la pinta di rum? – noi scafati più che mai conosciamo, se non le leggi del Mondo, quello del marcio mercato, per questo insistiamo a regalare vagonate di soldi pubblici ai criminali della guardia costiera libica; a noi non la si fa (meglio: do re mi ciak gulp!), guardate come stoppiamo l’invasione, come risolviamo il problema, alla radice. Con voto concorde dei parlamentari, ignari dell’articolo 11. e anche di tutti gli altri: in fondo la Costituzione 1948 vige, a nostra insaputa.

Vituperare la pagliuzza cubana nell’occhio altrui, per non riconoscere la trave di regime piantata qui da noi, nell’occidente libero e democratico, piantata ove a ognuno garba maggiorMente; un antico vezzo, addirittura biblico.

A proposito di problemi, Ambiente antipatico e dispettoso: non facciamo in tempo ad annunciare in replica per la miliardesima volta – con l’invidia rosicona del commissario Montalbano – la svolta storica dello stop alle emissioni in Europa, che Giove Pluvio, un po’ alterato, devasta furibondo il nord del continente, quello vecchio: il continente, non il nord. Comunque, piano con la super green transition, potrebbe essere dolorosa, per le care multinazionali fossili: pensiamoci ancora, riflettiamo, cerchiamo un compromesso. In fondo, che fretta c’era, maledetta Primavera?

Cade e auspichiamo sia lieve l’atterraggio, il bicentenario delle nascite di Dostoevskij e Flaubert; chi erano costoro? Coincidenze parentele somiglianze? Forse niuna, unica caratteristica comune: leggere, che fatica. Peccato, perché nonostante i duecento anni, le loro opere non sono antiche, ma parlano del nostro ipotetico futuro. Santa pazienza, quanta pazienza ci vuole con i Demoni di Madame Bovary.

Gli inoculati contagiano e possono contagiarsi – o viceversa, con la zuppa è sempre pan bagnato, anche senza vino – quanto gli oculati: non pensate male, maliziosi, oculati perché utilizzano gli oculi per non precipitare nei loculi; non a tutti i figli del Signore è stata concessa la facoltà di risorgere dal sepolcro – la tomba nella roccia, non la sacra spada – dopo il terzo giorno, anche perché la pietra da rimuovere, di solito, pesa come un macigno.

Da ‘Albé, facce Tarzan!’, a ‘Albé facce Ercole!’, il salto è notevole.

All’ennesima volta che i Prosciuttisti (copyleft Ludovica Ferrante, grazie) – coloro che si coprono le pupille con notevoli prosciutti di San Daniele e/o Sauris – negheranno la realtà davanti ai loro occhi, concederemo il regio fregio titolo di negazionisti ad honorem?

Ovomaltina maltodestrina ivermectina, Amico Sportivo scegli la colazione più sostanziosa, la più opportuna per la salute; le varianti le abbiamo ribattezzate con le lettere dell’alfabeto greco antico – torna utile, a comando – per essere politicamente corretti, per non suscitare il comprensibile sdegno delle aree geografiche rovinate dalla calunnia mediatica; la delta e la epsilon, disponibili però solo presso le migliori concessionarie, tenendo a mente, molto, anzi assai bene a mente, che il rischio, per il doppio inoculato, risulta doppio, quando non all’ennesima potenza. Per eccesso di varianti, abbiamo già esaurito le lettere.

La Terra, autarchica, risolverà da sé tutti i dilemmi più angoscianti, angosciosi, arrembanti.

Da qui all’eternità, magari non sarà un attimo, in ogni caso, sarebbe bello assistere da invitati alle nozze tra Sakura e l’Albero Speranza: Fiori di Ciliegio per tutti, come da leggenda nipponica;

magari, chissà.