Bianco, quanti giorni a Natale?

Il mondo avvampa, aspettando qualcosa.

Aspettando Corot, dipingo. Non sono più così convinto che la frase, il titolo – nobiliare? ancora? ampiamente post litteram – la battuta fosse di codesto tenore; aspettando, mi chiedo ancora chi aspetta chi o quale evento, avvento.

Sono io in attesa? Da solo? Accompagnato dai genitori con libretto personale e giustificazione ufficiale? Insieme a mio fratello, ad un gruppo di amici? Un assembramento o, peggio, una radunata silenziosa?

Chi è che aspetta? Solo questo angoscioso dilemma, già mi spacca il capello, il cuoio capelluto, il cranio.

Corot, chi fu costui? Lui sì – Giovanni Battista – per mio massimo scuorno, sapeva destreggiarsi con la pittura: essere beato e supremo. Vedutista sarà Lei, con tutto il Suo Paesaggio.

Tela bianca, pagina bianca, paloma blanca; scherzi, non solo di un dottore nomato Destino.

Foto bianca, scatto anomalo senza razzismo implicito esplicitato dai simboli; impressionare l’Universo – quale, di grazia? – che potrebbe essere una luce bianca, un foglio ancora in bianco, un pensiero vergine intonso.

Esiste ancora oggi, nel Mondo Dopo, un’isola laggiù, i cui abitanti indigeni – solo loro, davvero padroni della loro isola – si chiamano tutti Arturo; massimo della democrazia, peccato non siano (possiamo dare loro torto o condannarli?) un fulgido modello di ospitalità: se qualche estraneo fa solo la mossa di avvicinarsi o tentare lo sbarco, finisce infilzato o nel pentolone di acqua bollente (un po’ di razzismo nella coda velenosa, è quasi salvifico nell’era del buonismo ipocrita).

Tra l’altro, fischiettando e balzando di (Porto) palo in frasca, oggi la nostra spettacolare satellitare Luna è nuova, il Pianeta quasi, siamo noi ad essere consunti vintage vagamente avariati, anche se ancora qualche ironico con stile è convinto che il Mondo resti bello proprio per questo; nella morsa incandescente dell’afa – per citare decennali reportage giornalistici di eccelsa originalissima qualità – aumenta la voglia di deambulare nottetempo, con il fervore delle tenebre; magari dalla mezzanotte in poi, in rispettabile compagnia di Streghe e Vampiri.

Un giorno qualcuno scriverà racconti su un uomo fuori dal tempo prigioniero dentro un oscuro maniero senza cancelli, né ponti levatoi, non il solito re nudo, ma un altero inafferrabile duca; un giorno qualcuno scriverà decine di racconti in teoria fantastici – erroneamente scambiati per fantasy – sulla questione delle questioni: le iene del profitto sono gente misera, senza fantasia perché l’oro nero (neo globale) o petra oleum è il terribile nulla onnivoro; ci costringeranno, quelle parole, a spogliarci del superfluo, a tornare al punto zero che non sarà il nastro riavvolto della cassetta, ma la nuova presa di coscienza: senza fratellanza e condivisione, senza comune senso di umanità siamo niente.

Magari genitori biologicamente, eppure aridi, incapaci di generare qualcosa d’altro, da noi, qualcosa di utile e virtuoso non solo per noi.

Tutto scompare, fagocitato da un puntino luminoso – rubare Bellezza, rubare Sublime, trafugare e poi darsi alla fuga con tre Van Gogh (nel senso di quadri), relativo e ininfluente il volgare valore commerciale – abbacinante (come negli schermi delle antiche, rudimentali tv). Al bianco Natale, comunque: – 180 giorni; tanto ormai si sa, dopo le Ferie d’Augusto, plana rapido San Nicola.

Le anime empatiche sanno connettersi, anche senza bisogno di rete (virtuale e/o di protezione), come rammenta il grande avventuriero letterato Marco Steiner, citando il poeta W. B. Yates:

Credo nella magia, nell’evocazione degli spiriti, anche se non so che cosa sono; credo nel potere di creare a occhi chiusi magiche illusioni nella mente e credo che i margini della mente siano mobili, che le menti possano fluire l’una nell’altra, così creando o svelando una mente o energia unica, poiché le nostre memorie sono parti dell’unica memoria della natura.

Alfa delta omega, varianti alianti vitamine

Pagina del dilemma, di stagione: ferie o vacanze?

Ferie sono storicamente quelle di Augusto, accolte bene – senza dubbio – ma una festa di fine lavoro agricolo, una lieta concessione del Potere; solo dopo qualche secolo, non sempre mirabile, quando ci siamo ritrovati popolo repubblicano e democratico – vero? – grazie alla Costituzione scritta per noi con il sangue e le menti dei Grandi, si sono trasformate in un diritto civile umano inalienabile.

Vacanze sono altro, sono un regalo che decidiamo di fare a noi stessi: vacatio, non legis, né governativa, ma astensione dai doveri quotidiani, quelli da rispettare in ogni istante dell’anno, solare o legale (terrore nei palazzi della politica) una sospensione dal tram tram, un breve periodo durante il quale è lecito mollare gli ormeggi e navigare a vista su rotte impreviste e sconosciute. Catartico necessario rigenerante. Uscire da noi stessi per rientrarci, forse più consapevoli, più saldi nelle convinzioni e nei progetti.

Dilemma, dolce dilemma anche senza stil novo: vacanze provenzali, di amori e atteggiamenti cortesi, donne reali angelicate molto concrete: da non innalzare mai sui piedistalli delle statue, ché oggi una insensata furia iconoclasta, senza vocabolario, pretende di abbattere e/o lordare tutto quello che non capisce, non conosce, non ha studiato, nemmeno per sbaglio di striscio o di struscio.

Vacanze, per non pensare più ai misteri della Repubblica, ove un presidente troppo cauto e timido invoca verità più solide su crimini che gridano vendetta contro il Cielo, anzi contro le istituzioni, commessi oltre 40/50 anni fa: la verità vera scolora impallidisce, anzi arrossisce di vergogna, in vece nostra.

Non pensare più ai magnager, quelli che sono artefici dei crolli di ponti scuole case, ma per auto assolversi, blaterano di costruzioni edificate con difetto prima della nascita – la loro e delle strutture; non si rendono conto che la puerile scusa diventa una terribile, imperdonabile aggravante delle loro responsabilità, delle loro colpe, delle loro nefandezze, contro l’Umanità in primis.

Non pensare più al pnrr e bravo chi traduce e spiega cosa diavolo sia; meglio il sacro prrrrrrrrr, ché come enunciava con poesia e maestria Edoardo D.F. il pernacchio è un’arte, quindi non adatta a questi mediocri travestiti da furfanti, o viceversa; allungano gli artigli e ghermiscono i soldi dei contribuenti, quelli riservati alla transizione ecologica, deturpata violentata degradata a solita famigerata transazione sporca agli amici degli amici, per reiterare stupide attività antropiche, però letali, contro la Terra, contro la Salute di tutti noi.

La prima canzone di successo di Louise Veronica Ciccone si intitolava Holiday e non suoni blasfemo, né il 45 giri in vinile, né l’accostamento tra sacro e profano, tra alto e basso – sconsigliabile sempre capovolgerli e/o scambiarli – ma quelle sì, erano sul serio vacanze di Madonna; chissà se almeno una volta nella Sua vita, Miriam abbia potuto concedersele.

Non pensare ad Alfa – base Alfa? – ad Omega, a Delta, come fosse una struttura di intelligence, ma sarebbe meglio d’Intelligenza; non si capisce più se parlino in codice – alfa numerico cifrato cuneiforme – se starnazzino, sempre viva le Oche, di vitamine o grassi, se annuncino varianti al piano regolatore, al naturale corso degli eventi.

Meglio salire sull’Aliante dell’Infanzia, quello con le ali di polistirolo e volare sospinti dal vento caldo, dell’Estate e dei Sogni – ché in estate i fantasmi sono più forti, più vivi.

Osgood, ma non capisci proprio niente: sono un uomo.

Pazienza, nessuno è perfetto.

Billy Wilder, Marilyn, Jack & Tony, dove siete? Ispirateci la vacanza perfetta, il road movie più divertente, da girare nelle nostre pallide vite.

La battuta finale più bella di sempre nella breve storia del Cinema, sia lezione monito divertimento, prospettiva non solo Nievski.

Più grande Baryshnikov o Nureyev? Fred Astaire o Roberto Bolle? Forse, meglio Ginger Rogers o Carla Fracci? Propendo per Ginger, sempre sorridente su tacchi persecutori.

Some like it hot (la cantavano i Power Station, ma erano sempre i Duran Duran), a qualcuno piace caldo, nonostante l’estate: non solo il jazz, il sassofono, perfino il caffé.

L’animale che mi porto dentro vuole tutto, si prende tutto, perfino una tazzina di sopraffino espresso italiano.

Comunque sia, lapalissiano chiaro luminoso:

anche in vacanza, vacui più che mai, vuoti senza paura, difficilmente riusciremo a trovare l’alba dentro l’imbrunire.

p.s. I nottambuli, al limite, li confonderanno.