Pazza Gioia dello Smarrimento

Pagina della pazza gioia, gioia per la pizza.

Pazza pizza gioiosa, abbandoniamoci alla pazza gioia, anzi passa gioia – prego, prima tu, graziosa creatura del cielo – passa gioia senza freni, passa la gioia, eccome, soprattutto quando e se ti illudi che sia eterno il sollazzo.

Gaudeamus: della sacra pizza.

Finché ce n’è – si scriverà davvero così? per fortuna, la glossa madre è un’opinione da balera – meglio tutelarla, averne cura, dimostrarle gratitudine. Del domani, anzi dell’istante successivo, certezza alcuna. C’è o non c’é? Ci è o ci fa.

Balliamo sul filo, non si sa se sia più rassicurante quello teso tra due vette irraggiungibili o quello affilato a puntino del rasoio di Jack Occam; optare per una colonna sonora adeguata in previsione – ah, la previdenza – di una fine, per un fine, per il fine del Mondo, quale abbiamo creduto di conoscere: i più coltivati nei vasti campi dell’anima, vorranno lasciarsi cullare al congedo dalla sonata (o era una sinfonia di fine vita in Leningrad?) numero 7 di Shostakovich, le persone più popolari magari preferiranno votare, ma solo in caso di attacco nucleare – opzione Kubrick – per la canzone We’ll meet again, della Vera diva Lynn;

anche se il giorno dopo, il centro città potrebbe somigliare più al deserto dei Tartari, che a quello immaginario, avventuroso di Tartarin di Tarascona. Al netto, della scorta dei Leoni dell’atomo.

Attenzione alle fumate – figlie e figli dei fiori, ci siete ancora? – mentre con il lanternino, anzi, con l’insopportabile luce blu di schermi inesauribili, cerchiamo l’uomo giusto o quello meno sbagliato tra torme e tormenti di bipedi senza qualità, le enormi aggregazioni gassose bianche o nere, non indicano solo un esito, un risultato di uno spoglio, ma potrebbero segnalare, eruzioni cutanee, esplosioni, di gioia.

Qualcuno gioisce di sicuro in questo Mondo Dopo: pare che l’era dei virus mutanti non abbiano cambiato le tradizionali abitudini inique in vigore tra i gruppi più o meno umani, che prevedono l’aumento indiscriminato della ricchezza dei soliti noti, all’aumentare delle difficoltà, delle angosce, delle disdette – delle vacanze, senza dubbi – di tutti gli altri, senza santi né sarti in paradiso (fiscale).

Lasciate o raddoppiate? Loro raddoppiano.

Vi arrendete? Come dicevano agli avversari con ghigno beffardo i mitologici – quelli sì – blancos del Real Madrid, negli anni ’50 del 1900, quando in Iberia e sui campi della Coppa dei Campioni, i trofei erano loro appannaggio per diritto di piedi, divini; miedo escenico? Paura del palcoscenico? Molto di più, anche senza fantasmi o misteriose maledizioni. A proposito, adios senor Gento e grazie per ogni meraviglia.

Sfidare la morte, ma al chiaro di Luna, come se non sfidassimo la Nera Signora ogni giorno, anche nel pieno fulgore del Sole; auspicare che almeno una volta nella Storia – che bella storia sarebbe – trionfi la rivolta degli appesi (non gli insaccati, sia chiaro), quelli che da sempre patiscono per la repressioni delle voci, dei diritti, della libertà;

rammentare di andare, nella giusta stagione, a raccogliere le fragole nel loro posto, quello giusto e rammentare la domanda della commissione d’esame a quel giovane aspirante dottore: qual è il primo dovere di ogni medico? Per tacere del buon caro vecchio Ippocrate, chiedere perdono.

Anche Tolkien smarrì il sentiero, in una terra di mezzo, forse la sua, ma vivendo una favola per adulti, soprattutto, raccontandola, trovò un piccolo pittore di foglie e un albero meraviglioso che gli (ri) donarono coordinate e sensi, dell’orientamento esistenziale:

l’Albero della Vita, quello che, (d)al centro dell’Universo, sostiene e alimenta tutto il Creato.

La rivoluzione delle Api

Luci a San Siro, Golden Rivera da un po’ non segna più, almeno non con il pallone.

Fuochi piccoli nella nebbia densa come maglia di ferro, fuochi ai bordi delle strade, fagocitati dal vecchio che avanza come torma militare, fuochi nel porto, invaso dalle nebbie mefitiche, più che da Migranti.

Luci della Ribalta e anche – cara a Fabio il Narratore, quindi ai malati di Narrazione – luci della ribaltina per scrivere di notte nella notte sulla notte e chissà se basterà viaggiare fino al termine del buio e all’estremo limite del Mondo Dopo, per non cadere di sotto. Confidiamo nelle possenti spalle di Titano.

Se girando un film in un’area protetta, spettacolare esteticamente, funzionale alla bisogna, comparissero i No Ciak, come dovrebbe reagire la produzione? Intanto, qualora la pellicola si rivelasse un flop al botteghino e sul successivo mercatino di riparazione delle web tv, avrebbe pronti infiocchettati auto immolati i capri, quelli espiatori; fanno sempre comodo e anche tanta compagnia, in questo incomprensibile – oddio… – Mondo Dopo.

L’Universo conosciuto segnala la presenza – all’improvviso uno sconosciuto alle porte della Via Lattea! – di decine di Pianeti potenzialmente più ‘abitabili’ della cara, vecchia, obsoleta Terra: del resto, qualche anno luce di cammino in più o in meno quale differenza potrebbe mai fare, con la prospettiva realistica dell’Eternità, partendo da qui, adesso?

Geppetto parte per un tour, un povero diavolo come tanti; costretto dalle ristrettezze della vita grama a sostituirsi al suo burattino – o al sogno di realizzare un burattino di legno, un sorta di surrogato di un figliuolo vero – per non disperdere le memorie del sottosuolo (auguri Fedor Dostoevskij), ché senza più parole, nemmeno una briciola di verbo nelle tasche tarlate, diventa complicato capire esprimere creare il mondo, almeno il proprio piccolo mondo, sempre più antico.

Un tour senza lusso senza nastrini senza lustrini, con altri demoni disperati, come lui, un tour da pagliaccio, triste, stralunato surreale; per questo, bersaglio ideale di scherno beffe canzonature, delle genti senza cuore.

Affacciarsi alla finestra, notare i tizi della finestra di fronte, indistinguibili mentre di sera fumano placidi guardando il Mar Nero; scrivere lettere dopo avere aperto la ribaltina, scelto con calma carta pregiata, penna e inchiostro poco simpatico, ponderare le parole delle missive da spedire alla famiglia, ideale, e soprattutto al mio giudice, non so se a Berlino o a L’Avana; accorgersi, alzando gli occhi ad un compatto gruppo nebuloso grigio sporco, quanto somigli alla neve sporca, nella quale affondava piedi senza stivali il viaggiatore solitario del giorno dei morti. In attesa di tornare all’hotel, quello della Natura.

Scoprire che gli scherani del sultano vietano le manifestazioni di protesta, in quanto gli assembramenti arrecherebbero nocumento all’economia e alla salute pubbliche; categorico invece, non vietare gli assembramenti sui mezzi pubblici e sulle stesse vie viali piazze dei centri urbani, propedeutici all’acquisto compulsivo nei negozi; logica ferrea, logica scientifica, tanto come dice Kristina di Romolo e Akira, i virus, educati e pazienti, ci attendono alle uscite.

Robert, forse non lo sai: i due tizi che millantano di avere inventato la tua tecnologia farmacologica nuova, ora che i dubbi sull’efficacia del rimedio contro il primo – l’apripista, il battistrada, lo scalda pubblico, l’avanguardista – dei bacilli dell’esercito virale dell’era pandemica, si stanno moltiplicando in ogni angolo, pertugio del Globo, con ammirevole tempestività, annunciano alle folle la possibilità – tra cinque anni, dopo opportuno, necessario piano quinquennale – grazie a loro (ovvio) di sconfiggere il cancro e l’Alzheimer; così Geppetto non solo tornerebbe alla vita, ma di colpo, ritroverebbe tutte le parole dell’Universo.

Nel frattempo, i due tizi – il Gatto e la Volpe, falsi invalidi nella satirica versione degli Oblivion – realizzano nuovi ricavi record, grazie alle azioni quotate in borsa, non quella di Ippocrate ed Esculapio; gli eredi del buon Sabin, intanto, masticano amaro e danno del fesso al proprio illustre antenato.

Pretendo una task force di Biovigilanza attiva e la pretendo formata da esseri superiori e di comprovata, certificata competenza: le sacre Api, Sentinelle della Biodiversità!

Pretendo la Democrazia, non quella del V secolo di Atene, quella delle Api, vere amiche dell’Umanità, capaci con rito collettivo di scegliere ogni anno il programma politico migliore, per il bene comune.

L’ecocidio è solo un complotto inventato da ambientalisti radicali? Cosa sareste disposti a fare – anche commettere omicidio? – per scongiurare l’ecocidio? Serge Quadruppani, Amico del commissario Montalbano, docet.

La rivoluzione delle Api è pacifica:

chi adotta un’arnia, salva tutto il Mondo.