Vita plastica e nuvole

Pagina del Mancuso, Stefano.

Per scriverlo con le sue parole – ma non solo, nel senso che anche altri scienziati, intellettuali, artisti, semplici cittadini del Mondo (in fondo, ognuno di noi è anche qualche volta un po’ tutto questo) – lo denunciano: dal 2020 in poi, sorbole raccapriccianti, i materiali prodotti dall’uomo hanno superato la vita (tutti e tutto ciò che vive) nell’occupazione di spazio sul Pianeta, in termini di peso specifico e volumetrico.

Sani! Continua a urlare Marco Paolini in un meritevole e meritorio spettacolo che denuncia tutto questo e soprattutto le sue conseguenze, facendoci sorridere amaraMente e con la mente che sorride e mastica amaro, riflettere. I trisavoli dicevano che, in fondo, nella vita, l’importante è la salute, ma i disincanti delle ere successive ci hanno indotti a replicare con cinica ironia: avercela.

Sarà come sempre solo una bieca questione di quattrini – e dunque, al dunque, i diritti, tra i quali la preziosa salute, restano appannaggio di vetri appannati, di esclusiva proprietà di chi, avendone accumulati da rendere pallido Creso, può permetterseli – ma la sedicente evoluzione umana e il sedicentissimo progresso (in realtà, solo crescita dopata del mercato neoliberista) appaiono l’approdo finale dell’umanità stremata dalla regata plurimillenaria; sia lode a PPP perché come lui nessuno mai ha saputo, dall’infanzia alla morte violenta, raccontare e scandagliare il XX secolo, l’Italia e tutte le ipocrisie e nefandezze dell’animo degli uomini, nessuno come lui ha saputo diventare carne, sangue e vita vissuta, consumata, delle sue stesse opere.

Soffochiamo tra cemento, asfalto, metalli, plastica, mentre potremmo respirare poesia, perché le soluzioni esistono e non sono quelle che conducono alla povertà generalizzata – come se fosse una colpa, o un virus pandemico, nella strumentale visione di chi detiene le leve del potere – ma, forse, alla vera felicità. O a varie forme alternative e armoniose di felicità comune.

La creatività si accende quando meno te lo aspetti, quando credi che la tua situazione sia spiacevole o addirittura dolorosa; bloccati, ostaggi di un conglomerato congestionato di immobili scatolette di latta – se ti sembra caotico il traffico di Napoli, Roma, Milano, cimentati con quello di Tokyo – respirando gas venefici, a chi mai potrebbe venire in mente, balzare in capa, tutto un universo popolato da formidabili robot che, a seconda del libero arbitrio e del cuore di coloro che di volta in volta ne assumono il controllo, hanno la facoltà di rendere il pilota un dio benevolo o un demone annientatore? Non siete, non siamo tutti Go Nagai. Per scrittori e artisti delle immagini è facile declamare quale proprio motto il detto latino nulla die sine linea – frase attribuita a Apelle non figliolo di Apollo, ma comunque artista – più complicato per bipedi comuni che come tratto di demarcazione e orientamento hanno spesso solo la propria linea d’orizzonte degli eventi quotidiani personali. Eppure, ciascuno potrebbe rendere i propri limiti e la propria stranezza punti di forza e di svolta dell’esistenza. Un’acrobata circense zoppa, un’ala destra con una gamba più piccola dell’altra a causa della polio contratta durante l’infanzia, un autore sull’orlo della paranoia tormentato da personaggi creati dalla sua mente, mai messi scena e che, all’improvviso, non si accontentano più solo di comparire in uno spettacolo teatrale, ma avanzano la pretesa di vivere, nella realtà reale.

Rinunciare ai propri documenti d’identità, provare il brivido da sans papier – quali documenti, se quel filosofo rompiscatole ammoniva di continuo Conosci te stesso! – con il sogno dolce di offrire una propria novella, poesia o disegno per essere riconosciuti nella propria identità, senza margine d’errore: come David Wiesner, uno tra i più grandi illustratori viventi, capace di disegnare storie che non hanno necessità, corredo, aggiunta di testi scritti. Testa tra le nuvole, nuvole di fantasia al galoppo dentro la testa: immagini così potenti e immaginifiche da rendere espliciti anche i vuoti, da riuscire a parlare a chi sa vedere – i Bambini – anche in totale assenza di parole, dialogo muto grazie a una gamma infinita, un caleidoscopio emozionale così vasto che anche solo una battuta onomatopeica risulterebbe un orpello ridondante.

Fabbriche in cielo che dalle ciminiere espellono magnifiche nuvole, non gas inquinanti, come quella fabbrica terrestre, antitetica alla vita, produttrice di nuvole artificiali e letali. Volare tra le nubi di multiforme fogge e ingegno, come solo i Bambini sanno fare, magari in compagnia di uno strano, bizzarro elegante signore con bombetta in testa, perché le Nuvole sono vive e vagano in cerca di amici. Ritrovarsi dentro realtà metafisiche, madidi di gocce a forma di pendole e clessidre, dopo una corsa a perdifiato su piazze scalene poco euclidee, una dopo l’altra, senza soluzione di continuità, in compagnia di tigri di carta colorata.

Cestinare una volta e per sempre il ciarpame delle merci e delle parole inutili, ingannevoli, ipocrite degli Uomini:

lasciare che i Fanciulli, “molto più perspicaci degli adulti nella lettura delle immagini, capaci di vedere molto di più“, contemplino le meraviglie del Mondo, inventando nuove narrazioni, nuove parole vere;

per raccontare una storia nuova, per (ri)generare un’Umanità pronta a sognare, senza più interruzioni.

Scienza, viaggi, proverbi (ad libitum)

In Artide i ghiacci hanno cominciato a sciogliersi ad una velocità quadrupla rispetto alle previsioni più infauste, ma centinaia di metri sotto la crosta gelida che ancora resiste pare sia presente un ambiente rigoglioso di vita, di vite; chissà se una volta liberato e libero di vagare ancora sul pianeta tutto quel gruppo, quell’accozzaglia brulicante si rivelerà positiva o negativa per gli stolidi bipedi che ancora si illudono di dominare, di controllare ogni singolo accadimento nel mondo.

Abbiamo ufficialmente inquinato tutto, compresa la pioggia che non è più potabile (con i campi coltivati e gli orti, come, anzi, dove la mettiamo?), eppure esultiamo come per un goal decisivo ai mondiali – ah, già, pare non ci riguardi nemmeno stavolta – tutte le volte (almeno una a settimana, ormai) che la Scienza ci comunica di avere individuato una potenziale Super Terra (cosa vorranno mai dire, benedetti ragazzi: si sono laureati ai corsi di marketing scientifico neurospin?), potenzialmente abitabile, però di solito a molte decine, centinaia, migliaia di anni luce dal vetusto Pianeta Azzurro. Forse, passate le follie della villeggiatura agostana, ancora immuni dai deliri natalizi, magari con buone biciclette, gambe solide e fiato da vendere, per il 25 dicembre potremmo raggiungerla. Salvo ingorghi da partenze scaglionate.

Su Marte, rosso pianeta un tempo bolscevico, ora solo impallidito, tracce evidenti di monnezza terrestre: servirebbe un corpo di polizia (pulizia, morale innanzitutto) ecologica del nostro sistema solare.

Sarò il classico dinosauro nostalgico, ma non vorrei facessimo la fine del terrestre che per anni aveva invocato l’arrivo di ET per chiedergli un passaggio su altra destinazione cosmica, per poi pentirsi amaramente e sperare che l’alieno – lui o l’altro? – fosse ancora nei paraggi per convincerlo a riportarlo alla casella astrale di partenza.

Occhio non duole, cuore non vede: proviamo a giocarcela con i saggi proverbi antichi e con il loro rovesciamento surreale.

Potremmo alimentare in modo sereno, compassato, lo scetticismo o l’arte filosofica e legittima del dubbio, senza essere etichettati quali anti qualcosa/qualcuno? Nessuno nega o vorrebbe negare l’importanza della scienza e dei mutamenti tecnologici, resterebbe salutare capire se i ritmi vorticosi degli annunci e dei relativi cambiamenti fruttino reale progresso all’Umanità o contribuiscano a creare, aggiungere, amplificare i danni già perpetrati e non sanabili. Per tacere, delle opportunità e conseguenze etiche che troppi di questi stravolgimenti minuto per minuto implicano e che colgono i bipedi completamente inadeguati, sotto tutti i profili: dal migliore al peggiore, senza esclusione di inquadrature.

Spesso, la carta da giocare è quella sbagliata, o una scartina – con deferenza parlando – spesso, l’ultimo ritrovato epocale (sigh) della tecnica si rivela solo un escamotage (espediente, suona malavitoso di mezza tacca, ma rende più efficace il concetto) per continuare imperterriti nello status quo che dagli anni ’80 a oggi ci ha resi responsabili addirittura di estinzione di alcune specie, di massacro di biodiversità. Gli scienziati hanno sintetizzato un enzima in grado di rendere la plastica biodegradabile, quanto non inquinante non si sa. Immaginare questo enzima mangia plastica come è stato subito definito, fa immaginare – a proposito degli immarcescibili anni ’80 – quel videogioco ossessionante, Pacman. Dalla vita in fondo, non solo dal famigerato decennio del 1900, non si esce vivi.

Quella donna e quell’uomo, gentili, dal fiero aspetto, si sorpresero in perfetta reciproca sintonia a sognare di viaggiare (grazie sempre, Marco Steiner, raffinato autore), si chiesero dunque perché non viaggiare davvero? La decisione fu presa: avrebbero trasformato le loro vite in un viaggio.

In fondo, cos’è un viaggio se non un sogno? Come la vita e viceversa.

Viaggiate sì, in ogni modo, leggeri se possibile.

P.S. Come disse il Capitano Nemo – o quella poetessa solitaria? – se non hai sottomano il Nautilus o l’Enterprise, per viaggiare ti basta un buon libro. A spanne (non il libro, la citazione).