Scienza, viaggi, proverbi (ad libitum)

In Artide i ghiacci hanno cominciato a sciogliersi ad una velocità quadrupla rispetto alle previsioni più infauste, ma centinaia di metri sotto la crosta gelida che ancora resiste pare sia presente un ambiente rigoglioso di vita, di vite; chissà se una volta liberato e libero di vagare ancora sul pianeta tutto quel gruppo, quell’accozzaglia brulicante si rivelerà positiva o negativa per gli stolidi bipedi che ancora si illudono di dominare, di controllare ogni singolo accadimento nel mondo.

Abbiamo ufficialmente inquinato tutto, compresa la pioggia che non è più potabile (con i campi coltivati e gli orti, come, anzi, dove la mettiamo?), eppure esultiamo come per un goal decisivo ai mondiali – ah, già, pare non ci riguardi nemmeno stavolta – tutte le volte (almeno una a settimana, ormai) che la Scienza ci comunica di avere individuato una potenziale Super Terra (cosa vorranno mai dire, benedetti ragazzi: si sono laureati ai corsi di marketing scientifico neurospin?), potenzialmente abitabile, però di solito a molte decine, centinaia, migliaia di anni luce dal vetusto Pianeta Azzurro. Forse, passate le follie della villeggiatura agostana, ancora immuni dai deliri natalizi, magari con buone biciclette, gambe solide e fiato da vendere, per il 25 dicembre potremmo raggiungerla. Salvo ingorghi da partenze scaglionate.

Su Marte, rosso pianeta un tempo bolscevico, ora solo impallidito, tracce evidenti di monnezza terrestre: servirebbe un corpo di polizia (pulizia, morale innanzitutto) ecologica del nostro sistema solare.

Sarò il classico dinosauro nostalgico, ma non vorrei facessimo la fine del terrestre che per anni aveva invocato l’arrivo di ET per chiedergli un passaggio su altra destinazione cosmica, per poi pentirsi amaramente e sperare che l’alieno – lui o l’altro? – fosse ancora nei paraggi per convincerlo a riportarlo alla casella astrale di partenza.

Occhio non duole, cuore non vede: proviamo a giocarcela con i saggi proverbi antichi e con il loro rovesciamento surreale.

Potremmo alimentare in modo sereno, compassato, lo scetticismo o l’arte filosofica e legittima del dubbio, senza essere etichettati quali anti qualcosa/qualcuno? Nessuno nega o vorrebbe negare l’importanza della scienza e dei mutamenti tecnologici, resterebbe salutare capire se i ritmi vorticosi degli annunci e dei relativi cambiamenti fruttino reale progresso all’Umanità o contribuiscano a creare, aggiungere, amplificare i danni già perpetrati e non sanabili. Per tacere, delle opportunità e conseguenze etiche che troppi di questi stravolgimenti minuto per minuto implicano e che colgono i bipedi completamente inadeguati, sotto tutti i profili: dal migliore al peggiore, senza esclusione di inquadrature.

Spesso, la carta da giocare è quella sbagliata, o una scartina – con deferenza parlando – spesso, l’ultimo ritrovato epocale (sigh) della tecnica si rivela solo un escamotage (espediente, suona malavitoso di mezza tacca, ma rende più efficace il concetto) per continuare imperterriti nello status quo che dagli anni ’80 a oggi ci ha resi responsabili addirittura di estinzione di alcune specie, di massacro di biodiversità. Gli scienziati hanno sintetizzato un enzima in grado di rendere la plastica biodegradabile, quanto non inquinante non si sa. Immaginare questo enzima mangia plastica come è stato subito definito, fa immaginare – a proposito degli immarcescibili anni ’80 – quel videogioco ossessionante, Pacman. Dalla vita in fondo, non solo dal famigerato decennio del 1900, non si esce vivi.

Quella donna e quell’uomo, gentili, dal fiero aspetto, si sorpresero in perfetta reciproca sintonia a sognare di viaggiare (grazie sempre, Marco Steiner, raffinato autore), si chiesero dunque perché non viaggiare davvero? La decisione fu presa: avrebbero trasformato le loro vite in un viaggio.

In fondo, cos’è un viaggio se non un sogno? Come la vita e viceversa.

Viaggiate sì, in ogni modo, leggeri se possibile.

P.S. Come disse il Capitano Nemo – o quella poetessa solitaria? – se non hai sottomano il Nautilus o l’Enterprise, per viaggiare ti basta un buon libro. A spanne (non il libro, la citazione).

Dissolvenza

(post multimediale)

Pagina Bianca, Pagina della Dissolvenza.

Come in quei vecchi film del Cinema Muto, pagina dell’immagine che lentamente si diluisce fino a scomparire, passaggio dolce da racconto a nuovo racconto o a capitolo successivo, passaggio di consegne e testimone tra sequenze di una stessa storia o tra storie che vogliono essere raccontate, che vogliono dialogare; pagina dei personaggi che senza frenesia perdono definizione, sfumano come avvolti in una nebbia improvvisa generata misteriosamente, poi all’improvviso scompaiono come se ci fosse un Deus ex Machina (da presa) di nome Houdini, fagocitati dentro una dissolvenza al nero o in qualche gradazione di grigio, fagocitati dentro un solo minuscolo punto luminoso, pulviscolo di Luce bianca.

La Luce Bianca e la Pagina Bianca rappresentano la fine della pellicola e della narrazione? Alfa e/o Omega? Incipit o epilogo? Salvezza o dannazione?

Un Gabbiano maestoso plana veloce sotto il Ponte di Ferro, sfiora appena le acque limacciose del fiume un tempo, molte ere fa, biondo e eterno (finché è durato), afferra e ghermisce con il becco qualcosa che solo la sua vista e il suo istinto gli hanno segnalato (alga, pesciolino o ennesimo rifiuto di plastica?), con destrezza armoniosa, senza perdere il suo bottino, riprende quota; in piena apertura alare sale quasi in verticale, si staglia contro il tramonto che solo qui, nonostante la deturpazione dell’uomo. continua a offrire e offrirsi generosamente alla vista con ogni gamma dell’oro e dell’arancio, sapientemente miscelati dalla mano divina di un Van Gogh metafisico.

Il Gabbiano, tornando monarca del Cielo, lancia agli umani il suo monito più stridulo, il suo sgraziato, ma incontrastato inno alla Vittoria.

Sopra e sotto quel ponte, nel Mondo Prima, estati infinite. Il Fiume scorreva, ma lasciava scorrere bipedi, concedeva loro di organizzare sulle sue rive, feste e momenti di gioia senza atti di contrizione e penitenza.

Una ragazza, Emily Dickinson di Trastevere, percorreva silente argini e ponti, l’ingovernabile traffico inquinante si bloccava e dai finestrini aperti su nubi tossiche di smog, aspiranti vitelloni sgranavano pupille incredule: “Ma è Winona Ryder? Massì, quella de Edward mani di forbice e de Giovani carini e disoccupati…”.

Enigma mai risolto. Dilemma senza soluzione.

Raggi cosmici, Raggi Fotonici, nelle tiepide indolenti dolci notti stellate.

Cori di rane che nello stagno combattono per la Libertà. Batracomiomachia e Eros, Eros e Thanatos, ranocchi di fiume o Demetan & Ranatan che sognano girini del Domani?

Luminose fanciulle che ballano cantano e nelle loro teste belle fabbricano pensieri come coriandoli pancromatici.

Dove sei oggi Pat ragazza del baseball? Hai modificato regolamenti e inique usanze?

E Tu, Sugar, hai realizzato i tuoi sogni depurati dalla rabbia?

Mademoiselle Anne, avete infine rinvenuto il Vostro destino in fondo alle tazze di profumato te?

Una Donna che vede oltre muri e barriere piange, ha percepito per la prima volta, dopo anni di ascolto in lunghi viaggi e concerti itineranti, le parole di Stella d’Oriente.

La Notte qui scende piano, l’accompagna un ricordo lontano…

Seguo con gli occhi quell’eterna corrente, amo quelle visioni fluviali; anche se non ci sarai, tornerai: dal Fiume tornerai. Non è importante che Tu ci sia, o no, ma che T’amo e T’amerò.

Fade to Grey, Fade Out, Dissolvenza incrociata, Dissolvenza al nero.

Nero di seppia, parole eleganti, mondo anticato.