Veliero o giunca, siano mare e naufragi

Una giunca rosso fuoco, ormeggiata sulla pagina e nella darsena degli yacht; darsena di lusso per una imbarcazione cinese tirata a lucido, la cui invenzione e denominazione si confonde tra gli antichi echi delle leggendarie origini dell’impero del Dragone.

Giunca o sampan (champagne? Come hai potuto indovinare, Tiresia, grandissimo paragnosta?), per me ignoto ignorante digiuno, queste imbarcazioni pari non sono, anche se magari appartengono alla stessa famiglia. Viaggiare a bordo di una chiatta plebea malese, con un manipolo di sgarrupati ribelli o su un nobile veliero orientale, comodamente adagiati su preziosi cuscini di broccato, deliziando il palato con frutta secca ricoperta di miele, con deliziosa frutta fresca ad libitum, ascoltando ammirati le imprese esplorative e le scoperte di quell’intrepido giovin veneziano, nomato Marco Polo?

Le concrezioni del tempo – se non rimosse in tempo – rischiano di bloccare il timone, rendendo ingovernabile il nostro guscio di noce, in navigazione per incontrare il Sublime, per recuperare i frammenti di noi dispersi negli eoni dell’universo; ci credereste? Venezia è stata edificata sopra una magica foresta di alberi incantati che solo i folli, i matti, gli inclassificabili possono vedere, raggiungere e attraversare.

Avvistare sulla linea dell’orizzonte brancolanti barcollanti ma solidi pescherecci, scortati da stormi di stridenti voraci gabbiani – mentre sotto costa candidi eleganti aironi marini immergono il capo per banchettare con molluschi e piccoli crostacei – pronti a imbrigliare nelle reti banchi di pesci, nuvole e sogni: i pescatori, certo, ma credo anche gli aironi.

L’uomo con il Falcone si aggira per la città antica, dal suo guanto di cuoio gli fa spiccare il volo indicando le vie del Cielo, forse si illude di averlo addomesticato, domato il suo istinto di selvaggia libertà; non sa che il rapace fa volare anche lui, attraverso la sua vista acuta, gli permette di scoprire le terre inaccessibili del mondo e dell’oltre mondo, permette ai suoi sogni di librarsi nelle alte quote, senza mai perdere in leggerezza, né inestimabile valore.

Il ragazzo che venne dal Bangladesh sorrideva sempre per celare tutti i dolori, tutte i traumi dei Popoli, perché noi siamo parte del Tutto; sorrideva a ognuno, ma è semplice quando devi attraversare solo l’Oceano onirico, fluido e accogliente, dove non esistono confini, non esistono barriere, non ci sono muri né eserciti armati per respingere la tua vita, considerata illegale clandestina disturbante. Sorridere per celebrare, abbracciare la Vita.

Che voi siate zattera della Medusa o battello ebbro, sperate di incontrare la nona onda – o la settima – auspicate nell’istinto dei vecchi lupi di mare, affidatevi alla Grande Onda; la bonaccia genera solo malinconia, nostalgia, tetro declino.

Non abbiate timore del naufragare:

ci può essere allegria anche in quel frangente; ricomposti i frammenti, mondati dalle zavorre, lo slancio vitale prevale.

Muoversi

C’è chi a 18 anni non sa ancora di essere nato e chi invece scrive Frankenstein, moderno Prometeo.

C’è chi attizza la fiamma della vita e la dona, mentre altri, eminenze grigie emissari della tenebra, affidano ai propri scherani il compito di sopire con ogni metodo tutti i soffi, gli aneliti, gli slanci vitali.

C’è chi lancia razzi nel cosmo per cercare la vita – pretesto ufficiale – c’è chi continua a produrne, venderne, spararne qui sulla Terra contro altri Popoli per sopprimerla.

Il viaggio, solo il viaggio, non la destinazione; del resto, caro Marco il Maltese, proprio tu sai bene quanto il lemma destinazione abbia un eccesso di assonanza con destino; per sfuggire all’implacabile destino – proprio, altrui, casuale – meglio essere perennemente in viaggio, o, senza incomodare Leopardi, allenarsi a trasformare il destino in destinazione.

Non saprei dire se sia taumaturgica, ma meglio navigare nella Bellezza, salpare a bordo della Nave dei Folli – romanzo, dipinto, realtà – gli irregolari, quelli inclassificabili, quelli non addomesticabili, in eterno sfocati nelle foto di gruppo, in eterno irrintracciabili perfino dai mirini elettronici dei satelliti e dei droni.

Come diceva Ciro Ascione (una vaga somiglianza con l’attore Silvio Orlando), cicerone del manipolo di cavalieri e amazzoni post moderni che forse riuscirono a compiere l’impresa di cancellare il giogo televisivo che ammaliava il paese – manipolo che nei periodi di quiete si ristorava a Marzamemi – bisogna muoversi veloci, restare fermi per troppo tempo è un errore, dribbling stretti, triangolazioni rapide e continue, passaggi di prima, bisogna spiazzarli; anche perché – il Poeta ci ammoniva – il nemico dispone dell’idolo consumistico che ottenebra le menti, in una terra abitata dal popolo più analfabeta e dalla borghesia più ignorante del Continente. Curre curre, guagliò, finché hai gambe e fiato non fermare l’inseguimento ai sogni, oltre il quaggiù.

Gli antiinfiammatori sono la morte, gli antiinfiammatori sono la salvezza: converrete anche voi, tra gli estremi e soprattutto nella spiacevole morsa degli opposti estremismi, la capa gira, anche senza sangria. Comunque se non disponi di sangre nelle vene per impostazione genetica, anche la divina sangria è impotente.

Chetati, ma non troppo, sia vigile e attivo il tuo riposo: come dicevano argute e maliziose le sagge Nonne, meglio diffidare delle acque chete, per non ritrovarsi all’improvviso nel centro di una procella. Fortunati fortunelli – cari agli dei – coloro che cavalcano i fortunali e poi lo raccontano in osteria, senza essersi nemmeno troppo inzuppati le gialle cerate d’ordinanza.

Vorrei vedervi cavalcare orde di buchi neri, quelli super massicci (doping cosmico?): fluttuazioni – si dice così, no? – interstellari; sulla bislacca Terra riguardano i listini di borsa: si gonfia a dismisura quella dei soliti parassiti del profitto, si sgonfia fino a scomparire quella dei poveracci. Vorrei davvero ammirare il cimento tra voi e quella coppia rissosa di buchi neri che lassù, in una galassia lontana lontana – quanto accade nell’Universo, coinvolge anche noi – un miliardo di anni luce (fatemi un esempio, calzante) forse collideranno tra loro. Almeno secondo gli astronomi che hanno notato anomale fluttuazioni di luce, bulli spaziali oscuri – i già ‘eccitati’ buchi neri, non gli scienziati – la cui massa combinata equivarrebbe in termini energetici a 200 milioni di Soli. Una pacchia poterne disporre, ma immaginate poi l’entità delle bollette se anche queste fonti ricadessero tra le spire del listino di Amsterdam, ormai più temuto dell’Olandese Volante.

Come scrive sulla terza pagina (terminologia antica, antiquata) del Corriere, Massimo Cacciari: si ha esperienza del mondo per umbras. Per umbras – nel nord est, andare per umbras assume decisamente un’accezione bacchica – si riesce a rappresentare perfino il volo delle cose e i nostri viaggi volanti più audaci, consapevoli che le ombre prodotte dai nostri corpi resteranno comunque incollate al suolo, forse non per colpa o merito della gravità, ma per rammentare a noi stessi la fondamentale lezione: siamo esseri speciali, così speciali da riuscire a solcare anche solo con la mente il firmamento, il Creato, ma restiamo ontologicamente terrestri. Non sono sicuro di avere colto il senso profondo del pezzo dedicato alla memoria dello scrittore Daniele Del Giudice, ma le considerazioni offrono spunti e ispirazioni: aspirazioni, di viaggi voli meditazioni.

Viaggiare per carpire i segreti della felicità; non esistono ricette e/o corsi, la felicità è il viaggio in sé, meglio se raccontato poi con parole sghembe, ruvide su fogli un po’ ingialliti, un po’ increspati, come la nostra pelle, come le nostre vite.

Felici etimologicamente, come suggerisce Maurizio Maggiani:

felix – non il noto felino – latino, dal verbo feo in greco antico, ovvero produttivo, fecondo. Di parole opere pensieri, errori di percorso perché le vere scoperte, anche della felicità, procedono per tentativi.

Fondamentale muoversi, anche per non restare imprigionati in una delle uniche due categorie disponibili in questo III millennio da indietro tutta: sfruttatori, sfruttati.