Muoversi

C’è chi a 18 anni non sa ancora di essere nato e chi invece scrive Frankenstein, moderno Prometeo.

C’è chi attizza la fiamma della vita e la dona, mentre altri, eminenze grigie emissari della tenebra, affidano ai propri scherani il compito di sopire con ogni metodo tutti i soffi, gli aneliti, gli slanci vitali.

C’è chi lancia razzi nel cosmo per cercare la vita – pretesto ufficiale – c’è chi continua a produrne, venderne, spararne qui sulla Terra contro altri Popoli per sopprimerla.

Il viaggio, solo il viaggio, non la destinazione; del resto, caro Marco il Maltese, proprio tu sai bene quanto il lemma destinazione abbia un eccesso di assonanza con destino; per sfuggire all’implacabile destino – proprio, altrui, casuale – meglio essere perennemente in viaggio, o, senza incomodare Leopardi, allenarsi a trasformare il destino in destinazione.

Non saprei dire se sia taumaturgica, ma meglio navigare nella Bellezza, salpare a bordo della Nave dei Folli – romanzo, dipinto, realtà – gli irregolari, quelli inclassificabili, quelli non addomesticabili, in eterno sfocati nelle foto di gruppo, in eterno irrintracciabili perfino dai mirini elettronici dei satelliti e dei droni.

Come diceva Ciro Ascione (una vaga somiglianza con l’attore Silvio Orlando), cicerone del manipolo di cavalieri e amazzoni post moderni che forse riuscirono a compiere l’impresa di cancellare il giogo televisivo che ammaliava il paese – manipolo che nei periodi di quiete si ristorava a Marzamemi – bisogna muoversi veloci, restare fermi per troppo tempo è un errore, dribbling stretti, triangolazioni rapide e continue, passaggi di prima, bisogna spiazzarli; anche perché – il Poeta ci ammoniva – il nemico dispone dell’idolo consumistico che ottenebra le menti, in una terra abitata dal popolo più analfabeta e dalla borghesia più ignorante del Continente. Curre curre, guagliò, finché hai gambe e fiato non fermare l’inseguimento ai sogni, oltre il quaggiù.

Gli antiinfiammatori sono la morte, gli antiinfiammatori sono la salvezza: converrete anche voi, tra gli estremi e soprattutto nella spiacevole morsa degli opposti estremismi, la capa gira, anche senza sangria. Comunque se non disponi di sangre nelle vene per impostazione genetica, anche la divina sangria è impotente.

Chetati, ma non troppo, sia vigile e attivo il tuo riposo: come dicevano argute e maliziose le sagge Nonne, meglio diffidare delle acque chete, per non ritrovarsi all’improvviso nel centro di una procella. Fortunati fortunelli – cari agli dei – coloro che cavalcano i fortunali e poi lo raccontano in osteria, senza essersi nemmeno troppo inzuppati le gialle cerate d’ordinanza.

Vorrei vedervi cavalcare orde di buchi neri, quelli super massicci (doping cosmico?): fluttuazioni – si dice così, no? – interstellari; sulla bislacca Terra riguardano i listini di borsa: si gonfia a dismisura quella dei soliti parassiti del profitto, si sgonfia fino a scomparire quella dei poveracci. Vorrei davvero ammirare il cimento tra voi e quella coppia rissosa di buchi neri che lassù, in una galassia lontana lontana – quanto accade nell’Universo, coinvolge anche noi – un miliardo di anni luce (fatemi un esempio, calzante) forse collideranno tra loro. Almeno secondo gli astronomi che hanno notato anomale fluttuazioni di luce, bulli spaziali oscuri – i già ‘eccitati’ buchi neri, non gli scienziati – la cui massa combinata equivarrebbe in termini energetici a 200 milioni di Soli. Una pacchia poterne disporre, ma immaginate poi l’entità delle bollette se anche queste fonti ricadessero tra le spire del listino di Amsterdam, ormai più temuto dell’Olandese Volante.

Come scrive sulla terza pagina (terminologia antica, antiquata) del Corriere, Massimo Cacciari: si ha esperienza del mondo per umbras. Per umbras – nel nord est, andare per umbras assume decisamente un’accezione bacchica – si riesce a rappresentare perfino il volo delle cose e i nostri viaggi volanti più audaci, consapevoli che le ombre prodotte dai nostri corpi resteranno comunque incollate al suolo, forse non per colpa o merito della gravità, ma per rammentare a noi stessi la fondamentale lezione: siamo esseri speciali, così speciali da riuscire a solcare anche solo con la mente il firmamento, il Creato, ma restiamo ontologicamente terrestri. Non sono sicuro di avere colto il senso profondo del pezzo dedicato alla memoria dello scrittore Daniele Del Giudice, ma le considerazioni offrono spunti e ispirazioni: aspirazioni, di viaggi voli meditazioni.

Viaggiare per carpire i segreti della felicità; non esistono ricette e/o corsi, la felicità è il viaggio in sé, meglio se raccontato poi con parole sghembe, ruvide su fogli un po’ ingialliti, un po’ increspati, come la nostra pelle, come le nostre vite.

Felici etimologicamente, come suggerisce Maurizio Maggiani:

felix – non il noto felino – latino, dal verbo feo in greco antico, ovvero produttivo, fecondo. Di parole opere pensieri, errori di percorso perché le vere scoperte, anche della felicità, procedono per tentativi.

Fondamentale muoversi, anche per non restare imprigionati in una delle uniche due categorie disponibili in questo III millennio da indietro tutta: sfruttatori, sfruttati.

Aminta il pastore, le sue greggi

Ecumene, Periplo, Paolo Rumiz.

Ho capito, a stento, solo Paolo Rumiz;

grande autore, grande esploratore.

Chiare fresche dolci acque, almeno un tempo, nel Mondo Prima. Le acque per Natura per vocazione per identità ontologica sono simbolo della femminilità, eppure spesso ci ostiniamo a maschilizzarle; un fatto evidente, spiegato bene da Rumiz che nelle sue dotte illuminanti peregrinazioni ha tratto conferme e prove, a una teoria dimostrata in concreto non solo da liberi filosofi, ma da menti libere con libero pensiero e sentimento: nessun elemento meglio dell’Acqua e quindi del Mare rimanda in modo potente al protettivo abbraccio corporeo del ventre materno.

Si può ancora scrivere e pensare Mamma, senza essere tacciati di arcaica forma mentis? Si può ancora riconoscere che la responsabilità e al tempo stesso il potere più grande e magnifico è stato attribuito alla Donna, con la sua precipua qualità chiamata: procreazione?

Oh perché non sono io tra i miei pastori, non come padrone, solo quale ammiratore della categoria – transumanza e transustanziazione non sono sinonimi, meglio ribadire, anche se forse sono entrambi processi che riguardano il divino – ; cani pastori, certo, ma anche Aminta mitologico pastorello. Lui potrebbe magari spiegare la tendenza di molti gruppi umani a farsi gregge, eppure nelle ere arcaiche – quei selvaggi, trogloditi – erano coscienti dei dati di fatto inoppugnabili: anche i demoni più potenti non potevano modificare o cancellare il libero arbitrio dell’uomo, a meno che non fosse l’incauto bipede a firmare di sua sponte un contratto, nel quale, in modo esplicito, rinunciava a questa facoltà.

Fine pena mai, immunità per il gregge mai, purtroppo. Il magico siero allontana la chimera, favorisce le alterazioni transgeniche. Troppi mutanti in giro, ormai e non per colpa della movida festaiola, estiva o della torcida calcistica; anche gli X Men appaiono spiazzati confusi infelici indecisi.

Segni segnali forse sogni, chi avrebbe dovuto capire chissà cosa ha recepito, ma chi per sua natura aveva già spalancato i canali della percezione cosmica, ha capito da quel dì lontano lontano; caro Torquato, come tu mi insegni ogni favola pastorale è in realtà un dramma, infatti è ripartita con più violenza che pria, con nessuna umanità, la caccia ai ribelli, le persone sane e magari addirittura serene. Rovinano i piani non si fanno inquadrare non si rassegnano non si arrendono non si uniformano conformano appiattiscono, maledetti; vedi, esimio Tasso che la metaforica bellica non fu utilizzata da subito a caso? Servirebbero gli interventi ausiliari e salvifici di Sylvia e Dafne, servirebbe una nuova Arcadia impenetrabile per i resistenti del III millennio, servirebbe una cosmonave Arcadia del Mondo Dopo.

Una neo mitica Arcadia inespugnabile, con obbligo di lasciapassare per i richiedenti cittadinanza, non per spirito privo di empatia e accoglienza, ma per vitale tutela, considerando il virus di nazifascismo che pare aver contagiato molti, troppi della banda dei buoni. Ora, ennesimo esempio della sindrome non cinese ma globale, si sono inventati le trivelle sostenibili, per compiacere le multinazionali dell’inquinamento fossile, indispettite anche solo a sentir parlare di svolta ambientale ecologica; a molti amministratori delegati, poverini, andavano di traverso i cocktail e gli stuzzichini degli aperitivi sui rooftop (Eh???) panoramici esclusivi.

Nel frattempo, chissà che fine avrà fatto Aminta. Pare che la pastorizia gli risultasse stretta, pare che la vita bucolica lo tediasse, pare abbia preferito farsi Re, dei pastori delle greggi delle terre. Se non ci frantumassero l’anima, potremmo quasi inspirare fiducia, aspirare ad un pizzico di gioia di vivere.

La variante delta sta mutando, velocissimamente, in variante dittatoriale, meno male che – in teoria – dovremmo per Costituzione essere forniti di robusti anti corpi. In caso contrario, dosi a go go di punturine ri costituzionali.

La vera gioia è talvolta racchiusa in piccole cose: una spaghettata alla bottarga di Tonno rosso di Marzamemi, ad esempio.

Una bottarga e via, con il sorriso.

Barrique, senza barare

Pagina della Botte, di rovere, anche senza quarti – di vino – di nobiltà.

E’ nata prima la botte o la barricata? Il barrito dei Rivoltosi, copre la risposta.

Metodo barrique, sarà ancora attuale nel Mondo Dopo?

Le proteste – pro testa, un sasso di David ciascuno, una fionda pro capite, mi capite, costaggiù? – ormai non sono efficaci se restano invisibili, inutile andare in piazza se nessuno se ne accorge; più vigoroso il virtuale? Certo, se parliamo di fare l’Amore, con l’umore con il sapore della Folla…

Abbarbicati tenacemente, come mastice per riparare giare frantumate, abbarbicati allo scoglio di qualche tradizione – rupe Tarpea? – , ma anche ‘abbarricati’, che poi non si comprende se l’alfa senza omega sia privativo o rafforzativo del concetto, se non della sommossa.

Siamo la polis dell’apparire, più che una polis ontologica, pertanto non lamentiamoci quando su di noi calano mazzate, metaforiche metà sulle capocce, dolorose assai, soprattutto per gli effetti senza cause, a lungo termine.

Barricate popolari, ma fomentate dalla borghesia, quando vuole ottenere favori dai governicchi di turno? Abbocchi sempre all’amo, confermata la pericolosità del lemma e anche del verbo.

Masserizie, non nel tempio di Massenzio, sacro luogo culturale, andranno bene lo stesso? Storicamente, dalle Cinque giornate di Milano in giù – com’è bello fare la rivoluzione da Mediolanum in giù, come cantava la Raffa nazionalpopolare – hanno sempre avuto un successo notevole, anche simbolicamente, sul piano strettamente affettivo.

Rosa Luxemburg poneva il quesito annoso, forse dannoso: “Dove saremmo oggi senza quelle sconfitte?”. Ecco, da umile profano, vorrei ribaltare, non solo masserizie in fiamme e botticelle marce, ma la prospettiva: “Dove saremmo oggi, se qualche volta, fossimo riusciti a vincere?”.

Inutile arrovellarsi dentro botti di lamiera con quesiti spinosi più di un istrice furibondo, gli aedi del mercatismo senza equilibrismo, senza limitismo imperversano e vincono facile, come sempre, da troppo tempo.

I Barricaderi sono fuori dalla legge – comunque la si consideri, una violenza legittimata dalla maggioranza fatta sistema, però violenza – in quanto la infrangono, o solo perché osano sfidarla sul piano pratico e filosofico?

Prima o poi, volenti o nolenti, diventa imperativo categorico scegliere: da quale parte della barricata state? Schieratevi, per Bacco, senza dimenticare Giunone e Minerva!

Non sono contrario pregiudizialmente – tu sei per caso ‘premeditato’ nei miei confronti? – alle barricate, ma chiedo cortesemente: la protesta si concluderà per tempo, ché mammà con elvetica precisione, alle 12,00 spaccate, mezzodì, butta la pasta?

Come diceva Moretti, il regista, meglio precisare vista la temperie del periodo: mi si nota di più se vengo e mi siedo su una piccola botte in disparte, o se resto proprio contumace?

Io sono io, ma anche la mia botte, come disse Diogene Laertio, molto solerte nelle risposte, a tono, con tono polemico.

Diogene, chi fu mai costui? Mi servirebbe una lampada – anche una lampara di Marzamemi sarebbe manna marina – per scovare il nominativo sull’Enciclopedia cartacea, per fare luce:

dentro la botte, sul Mondo, dentro la mia scatola, cranica.