Pareidolia, dolce illusione sei tu

Idolatrare – l’incipit può essere un verbo che si protende verso l’infinito? – è il latrato adulatorio nei confronti di un idolo?

Esistono più cose nel greco antico e nella loro filosofia – come di chi? Dei Greci – di quante tu creda possano essere elaborate da tutti i calcolatori elettronici attuali, dentro o fuori dal metaverso.

Siamo tutti vittime di apofenia o colpiti in pieno da illusione pareidolitica? Avessi sottomano,  sott’occhio, a portata di mano un dizionario, potrei millantare conoscenze altolocate di dotti lemmi. Invece, brancolo: a naso, a orecchie, a incerti tentoni, nonché tentativi; pareidolia, la sciocca, umana convinzione subconscia di riuscire a interpretare e ricomporre le immagini e i frammenti sconosciuti e casuali dentro forme note, quotidiane, per noi familiari. Deliri della controra, ispirati da quella, geniale, non mia, sgorgata dalla creatività infinita di Rebecca, la prima penna, scrivente.

Meno male che all’improvviso arriva lui, il signor K., con quegli occhi grandi lucidi indagatori, capaci di scavare dentro le nostre anime, dentro le parole, per trovarne il significato più vero; capace, lui, di disegnare le persone e il mondo con una matita: fumetti muti, ricchi di immaginazione senza fine, senza briglie, senza confini.

Socrate o Isocrate? Bare o isobare, questo il dilemma: isobare, tutta la vita. Socrate fu costretto al decotto di cicuta, mentre Isocrate – non i Socrate, sit com in voga nel teatro ateniese del V secolo – fu retore e soprattutto maestro di giovani che avrebbero intrapreso la carriera politica. Se a tempo perso, potesse tornare, saremmo grati. Logos come parola e discorso, ma anche come pensiero e strumento per indagare la realtà. Quale? Tutte.

Non vorrei indispettire Emil Cioran, ma davvero mi convince sempre più il proposito di diventare vate del vuoto interiore, piuttosto che cloaca di indebite oppressioni esterne; alla fine della storia, come diceva lui, meglio avviarsi con un fiore all’occhiello.

Vogliono imporre ai popoli il costo dei loro crimini, ma chiamano l’operazione nuova necessaria sobrietà; lo dicano anche ai geni del marketting, che imperterriti descrivono il pianeta con spot incastonati nella resina anni ’80: edonismo e consumismo a go go.

Una casa si edifica cominciando dalle fondamenta, come insegnano messer De La Palisse e l’immortale Catalano, ma potrebbe capitare a qualcuno di tralasciare di ultimarla con il tetto (al gas e beni di prima necessità). Ne usufruiranno i soliti sospetti, ma potrebbe anche essere una soluzione per magioni con vista panoramica sul cielo, sulla volta stellata notturna. Certo, i più maliziosi notano che l’assenza di tetti potrebbe essere imputata al solito famigerato mercato, quello che non si auto regola, né ora, né mai. Questo increscioso fatto dei tetti complica non poco vita e lavoro a categorie molto amate e popolari: gatti, ussari, supereroi (Batman, Spiderman). Trasvolando con la fantasia, chissà poi come Marco Polo avrebbe potuto descrivere al Kublai Khan le 55 città calviniane, se nel corso del suo meraviglioso viaggio si fosse imbattuto in edifici completamente scoperti.

Bisogna però riconoscere che non tutti i privilegiati sono privi di dignità, non tutti i nobili al cospetto di avversità settembrine, si danno a precipitose, disordinate fughe, abbandonando nelle pesti i rispettivi popoli. Il conte Rostopchin, governatore di Mosca, dopo la disfatta di Borodino che sembrava il prologo al trionfo delle armate napoleoniche, diede l’ordine ai suoi concittadini, di incendiare ogni cosa, ogni casa; fornì lui in prima persona l’esempio, cominciando dalla propria abitazione.

In questo frangente – a proposito di celebrazioni, mezzo secolo dalla prima apparizione televisiva – nemmeno Ten, l’assistente cinese di Nick Carter (spassoso investigatore a fumetti, creato da Bonvi e Guido De Maria), potrebbe esclamare la fatidica frase: come dice il saggio, l’ultimo chiuda la porta.

I tetti non li hanno costruiti, le porte sono in cenere: speriamo che almeno buoi e muli siano riusciti a salvarsi.

Roulette russa, o roulotte: per vie di scampo

Pagina della roulette, russa.

Si fa presto a dire complotto spionistico. Lo dicono i complottardi, per primi, per spiazzare anticipare spezzare spazzare: le piazze e i Popoli, per le necessarie pulizie, di Primavera: quella che, intanto, tarda ad arrivare.

Si diventa spie e/o inviati speciali, per combattere la maledetta noia e i terribili nemici, soprattutto quelli endogeni, ché degli indigeni spesso facciamo parte noi e perfino la nostra famiglia.

Tutti conservano una profezia, nel cassetto, nel taschino del gilet, in un kiwi file o wiki? – , segretissimo; o una zia prof., amore giovanile segreto, ma di Pulcinella. Le celebri profezie del NostroAdamo, indeterminate quanto basta per adattarsi a tutto, come certi capi d’abbigliamento oltre le mode, come certi uomini – sui marciapiedi – per tutte le stagioni.

Da anni, abbiamo rinunciato al diritto, alla sacrosanta tranquillità, all’intimità, alla privatezza, da quando le esimie banche hanno inaugurato la remunerativa – sempre pro domo loro – abitudine di spiattellare intere banche, dati, con tutte le nostre informazioni, le più sensibili. Poi, la tecnologia, la tecnocrazia, poi gli amici amiconi amichetti, anzi i cari figli dello zar moscovita, dislocati in Parlamento, nei governicchi, nelle aziende strategiche ma fallite fallimentari: assoldare antichi spioni, più pasticcioni che abili, una spesa davvero inutile, superflua, un vezzo da satrapi annoiati. Ognuno si accende la pipa come preferisce.

Nel covo degli spioni, nel covo del covid; nel preistorico Mondo Prima, cartelli promozionali garantivano a viandanti affamati, a potenziali clienti di bocca buona e larga, a lavoratori a basso costo, ai gonzi i più varj da accalappiare: rancio ottimo e abbondante. Truppe da mandare allo sbaraglio e ciurme di disperati da spedire dove finivano i mari e restavano solo orrende creature, spesso venivano ingaggiate così. Mutatis mutandis, mutano i codici genetici, le forme le esigenze, cambiano le aspettative, i presunti bisogni vitali: torme di astinenti, da intelligenza salute verità, cercano solo bancali container vagonate di rimedi magici, magari spediti tramite amazon; come disegna Massimo Bucchi, più che il rancio – rancio in testa – nel Mondo Dopo è fondamentale che l’agognato ἀντίδοτον sia ottimo e abbondante. Gli ingredienti, li scopriremo, più avanti o forse mai; magari potremmo chiedere lumi a Zio Vladimiro, lui non ne saprà una più del diavolo, ma molte più di noi, certamente Да.

Oci ciornie, Compagni, pravda e glasnost siano sempre con voi.

Vi sorprenderà sapere che parte dei fondi in teoria destinati ai famigerati recovery e transizione ecocida, finiranno a finanziare – che governissimo, solo dei migliori e delle ‘migliorissime’! – armamenti e solite riverniciate multinazionali fossili. Meno male, mi stavo preoccupando, ero pronto a lanciare pubbliche raccolte di soldini, bit coin: oro alle patrie, nodose randellate ai dubbiosi disfattisti, nemici della nazione (il quotidiano fiorentino?).

Perfino gli alchimisti più integralisti ammettono, digrignando i denti, che questi elisir in teoria ‘anti contagio’ sono ancora in fase sperimentale: non ne sanno indicare efficacia, durata, effetti negativi a lungo termine, nemmeno scrutando tra le interiora della selvaggina, o tra i fondi di caffé e i fondi delle peggiori discariche continentali di munnezza. Comunque, dopo un anno di andrà tutto bene e misure draconiane, i contagi sono sei volte tanti, se non è magia questa, caro Gandalf, dimmelo tu cos’è.

Poche inesistenti labili certezze; la pandemia, come sempre, conviene a chi può permettersela, tra gite fuori porta alle Canarie e sabbiature con rito apotropaico a Dubai (ma n’dubai, se la grana nun ce l’hai???).

Agli altri, tutti gli altri, diseredati senza santi in paradiso o diavoli nell’Ade, disidratati financo, restano invocazioni di aiuto a Saturno:

quando non è contro, può inviare gli anelli in eccesso, salvagente.

Fondo pagina, della roulotte non necessariamente russa; magari rossa o arcobaleno, per vie di scampo di fuga sulle rotte degli scampi, per scampare in primis a noi stessi:

tassonomia dei crostacei, ricoperti da armatura, ma con indole delicata;

specie dei decapodi, forse con dieci piedi riusciremo a correre più in fretta, a giungere più lontano.