Aggiungi un titolo (e un posto al desco)

Non indugiare mai con lo sguardo sulle fiere pupille di un qualche predatore, non approfittare mai della proverbiale bonomia di un marsupiale, pacifico e vegetariano, nelle intenzioni.

La conosci la storia del nipponico a Cartagena? Neppure io, chiedo in giro con curiosità per colmare la mia lacuna. C’è sempre qualcuno pronto ad alimentare di nuovi aneddoti la leggendaria rivalità scacchistica tra Alechin e Capablanca, ma anche in questo caso – la necessaria virgola, aggiungetela voi – arduo distinguere tra invenzioni letterarie e resoconto storico.

Potrei, dovrei consultare Fabio Stassi e Paolo Maurensig, loro sì autentiche fonti, preziose miniere di gustose rarità storiche, immaginifiche; munifici dispensatori di saperi e di racconti, di storie che come tessere del mosaico, con certosina cura, perizia, pazienza vanno a comporre il complicato mosaico della Storia.

Aggiungi un titolo – autentico o virtuale – al tuo curriculum, tanto tra distopie multiversi metaversi (delle Scimmie?) sotto sopra (in primis, la Terra degli Italopitechi), la lista delle eventuali competenze e delle medaglie, vale come il due coppe e comunque meno della lista della spesa, quella delle sane, virtuose mai virtuali massaie dei tempi che furono. A proposito, l’ultima della scienza, quella con la acca, però muta (d’accento e di pensier): forse il Tempo, nel senso di Kronos, non esiste. Una scoperta, come definirla, vagaMente datata: Lui poi cosa ne pensa? Mi sta bene, a patto che tutta la società globale venga ridisegnata, ex novo, ex fantasia, considerato che al momento ogni singolo aspetto, anche il più infimo e/o intimo si basa proprio sui granelli di sabbia dentro la clessidra. Il tempo è una dimensione, qui presso il Pianeta Terra, una convenzione, una circo convenzione per ingannare bipedi limitati e mortali, che s’illudono d’essere onnipotenti, eterni.

Partire, partire sempre e comunque; vascelli alla rada in porto, con scafi integri e mele (vele) perennemente ammainate sono uno spreco, un peccato mortale: festival degli Hobbit – in contumacia dei rappresentanti della Terra di Mezzo, assenti per protesta – a Edimburgo, una qualsiasi cerimonia dentro giardini nipponici o sul Mar del Sol Levante. Levati da davanti ché mi oscuri il Sole e l’intelletto.

Chi mi ama mi segua; fu così che mi incamminai da solo. Ah sì? Non mi tange, correrò da solo. Bravo, corri e non fermarti. Non pensare a noi, ce ne faremo una ragione, di vita.

C’era una volta una sottomarca di Rodomonte (quelli che a parole spaccano montagne, nella realtà, altro), al bar del ‘Ciambellino‘ (rivale del Ciambellone) diceva che un tempo, in ambienti importanti, lo chiamavano drago; come negli stereotipi peggiori e più frusti, ne raccontava 6 o 7 alla volta, di imprese immaginarie e spesso gli astanti restavano a bocche così spalancate, da dimenticare di trangugiare la solita quantità di vinaccio dozzinale; quando un giorno qualcuno cominciò a porgli qualche domanda più specifica sulle sue presunte avventure mirabolanti, prima glissò, poi si eclissò, non senza sibilare una sorta di terribile vaticinio: senza di me, l’apocalisse – non quella etimologica, quella catastrofica. Speriamo sia almeno un apo calesse.

Ci sarà ancora un uomo in cima ad una duna, pronto a stagliarsi contro il cielo notturno, pronto a diluire la propria sagoma avvolta in una morbida veste di lino contro una gigantesca Luna dorata, pronto a scrutare l’orizzonte, capace di dire (l’uomo, non la Luna, né la duna) ai propri simili: non la carenza, ma gli sprechi e lo sfruttamento indiscriminato delle risorse, condanneranno il genere umano all’estinzione.

Hiroshima e Nagasaki del mio cuore, siete lontane, geograficamente, ma vicine alla sede dell’anima; ancora troppo attuali. Avremmo dovuto dire da quei giorni terribili, tutti i Popoli della Terra, mai più, sul serio. Non per la foto ricordo dei capi di stato o per l’ennesimo fatuo documento d’intenti ipocriti. Possiamo farlo ora, subito:

abolire la guerra, senza se senza ma, come chiede Emergency, la creatura di Gino Strada.

Per tutte queste ragioni, aggiungi tu il titolo e magari un posto al tuo desco.

Dna alieno

Camminare senza fretta, volgere lo sguardo verso il cielo – cielo, mio marito? – notare un uomo sopra un tetto o sopra tutto; non un ussaro, forse un fantastico operaio, acrobata, in bilico su coppi vermigli, a sentimento: sdrucciolevoli alquanto.

Infiltrarsi in un vecchio condominio, metropoli dei fantasmi; aggirarsi per il giardino, vagare per i corridoi lastricati, scovare a colpo sicuro mura del passato, cercando antichi murales infantili; consapevoli che, dopo più di 40 anni, non possano essere ancora visibili, eppure con gli occhi dell’anima riuscire a scorgerli, brillanti come fossero stati appena vergati, dipinti, tracciati; tra l’altro, con pennelli e pigmenti davvero e unicamente naturali, addirittura vegetali.

Un gruppo di scienziati nipponici – 5 astronomi (bisognerebbe avviare una lunga, documentata digressione sul simbolismo del numero nella narrativa eroica del Sol Levante) – pare abbiano individuato tracce di Dna e Rna su frammenti di asteroidi (da non confondere con steroidi né impianti stereo) alla deriva nello spazio; come abbiano effettuato i carotaggi necessari, resta un mistero, non della fede, solo della scienza; i professoroni stavano in realtà tentando di individuare la base segreta dei Meganoidi, comunque, questa scoperta, potrebbe condurre – se confermata e corroborata da ulteriori indizi, nonché dettagli – ad una conclusione attesa da decenni: c’è vita o possibilità di vita nell’Universo? Come direbbe con arguzia il Maestro: un po’, soprattutto il sabato sera, con o senza febbre.

Alieni alienati, carosello galattico, traffico siderale congestionato – come fosse un apparato digerente umano, dopo peperonata serale – alieni pronti all’alienazione dei propri pianeti natale – nemmeno fossero nipotini di Santa Klaus – a titolo oneroso e/o gratuito, per consentire alle multinazionali dei bipedi di aprire nuovi mercati, di inviare i container eccedenti colmi di rifiuti tossici radioattivi. Alla fine del cosmo, Alien sembra tutto sommato un buon diavolaccio: magari donandogli un nuovo dentifricio e scorte illimitate di caramelline alla clorofilla.

Sai, Paola, abbiamo spedito ai limiti – i nostri, quelli che noi non riusciamo a accettare, comprendere, quindi oltrepassare – delle galassie note (astenersi costellazioni poco o zero mediatiche) manufatti, perline colorate, collanine bigiotteria varia, brani musicali: nessuno ha per ora ringraziato o contraccambiato, nessuno però si è nemmeno lamentato; chissà, prima di quanto si creda, dovremo necessariaMente organizzarci a turno per inviare anche nello spazio squadre di volontari addetti alla raccolta e rimozione dei rifiuti. Meglio un netto, ma cortese rifiuto, che la totale assenza di risposte (soluzioni, progetti).

Il vero duello, il vero dilemma resta sempre quello: restare umani o mutarsi in disumani? Ecco la vera ‘alienazione’. Sarebbe opportuno diventare gandhiani in ogni aspetto della nostra esistenza quotidiana, optare per la non violenza radicale, perfino durante il sonno e nei viaggi onirici, perché la sfida globale è applicare ora e sempre, qui, sulla nostra Terra, giustizia ed equità; non causare, né tollerare o, peggio, considerare incidenti di percorso fisiologici inevitabili: altre vittime, nuove vittime, nemmeno una sola. – No mas – mai più.

Sono tra noi, sono gli insospettabili, i vicini di casa più vicini – prossimi, parrebbe un’esagerazione – sono quelli che ai matrimoni pretendono di essere la sposa, ai funerali il caro estinto; affidiamoci ai paradossi, anche perché viviamo un’epoca nelle quali la verità è l’alibi dei mediocri e gli esperti sono aliene/i che dietro cospicua mercede spiegano al volgo i motivi scientifici degli errori nelle precedenti valutazioni (fornite dagli stesse/i, sempre dietro compenso). In eterno, ammesso abbia un senso: grazie al carciofino sott’odio.

Pensare al quartetto cetra (di musici suonatori di cetra?) o a quello Razumovsky: due violini, viola, violoncello, solo per autentici appassionati, anche senza orecchio assoluto; la distanza più breve tra due punti è sempre una linea diagonale, gli intervalli, le pause del tempo in un grande movimento affollato di note, chissà. Permane, amletico, il dubbio annoso, angoscioso del ragionare di e sui quartetti: 3 + 1, o 4 ab origine? Non cambierà molto nella sostanza, ma le premesse e le formule sono essenziali, meglio non fallirle.

Si sente aria di rivoluzione, si percepisce e si respira nell’atmosfera (con i brani degli Area) esigenza non più rinviabile di rinascite, si avverte – avvisare in anticipo non vale, addio sorpresa – voglia incontenibile di gioia e rivoluzione, come nei formidabili anni 70, di un qualche secolo fa:

rivoluzione autentica, senza chiedere concessioni e/o permessi preventivi alle autorità (più o meno aliene).

Scorie in the village of people

Pagina dell’Epifania celebrata.

Sarebbe stata ampiaMente l’ora dell’epifania dell’intelligenza umana, appuntamento rimandato al 6 gennaio 2022.

Forse.

La Signora Vetusta ha distribuito a piene mani, anzi, a piene calze: carbone; consegne a singhiozzo, volendo essere pignoli, ma la pigmentazione delle zone da coprire non ha agevolato il compito. Carbone per tutti perché il suo giudizio – saprete che la pandemia ha di nuovo sconclusionato le pagelle scolastiche – è stato categorico: Ordinari, dall’ultimo all’ultimo, anche perché i primi, o si sono rintanati in solitudine, o sono esauriti, nella vita e anche nelle trattorie.

Costernato dalle sconvolgenti immagini giunte in diretta da Capitol Hill – non era una cosa serial, all right? – o Boot Hill, una collina capitale, da ogni lato d’osservazione, in ogni senso del pudore, soprattutto quello vietato: i manifestanti sembravano neri incazzati, invece erano tutti pallidini furenti, forse per questo sono riusciti a fare irruzione al Congresso – delle Streghe, dei rappresentanti door to door del Rimedio, degli Arrotini ambulanti? – degli stati sparpagliati in America.

Devo anche confessare una mia personale delusione: sarà stato il mio lato gay, ma i Village People alle cinque del mattino o durante scabrose telefonate su antiche linee telefoniche roventi, mi erano sempre piaciuti, tanto; oggi anche loro si sono convertiti all’odioso neo nazismo dell’Illinois – porci e ruffiani spiazzati – pare però che i click di approvazione sui loro social abbiano registrato un’impennata stratosferica.

Intanto, i cornuti, nel senso dell’elmo, padani, rosicano: al massimo dello splendore, invece della collina del disonore, sono riusciti a scalare un campanile, per tacere del ‘tanco’ in Piazza San Marco.

Alcuni bizzarri scienziati – non lo sono sempre, per tradizione secolare? – si sono messi in posa durante il rito di somministrazione dell’incantesimo apotropaico, per esclamare raggianti: Miracolo! Chi scrive loro i testi, sia più attento a non confondere argomenti temi rami, altrimenti la reputazione dei testimonial rischia di essere inficiata e soprattutto di perdere attrattività sui mercati. Le nozioni base, elementari come certe particelle.

Dopo l’avariante inglese (Houston – lo so è in Texas, ma non è colpa mia: abbiamo più di un problema), ora l’avariante sudafricana. Ingenuo più di sempre, mi ero fermato a quella degli Scacchi ritrovati: La variante di Luneburg di Paolo Maurensig. Calma, la variante è di Luneburg, ma il romanzo lo ha scritto il grande Maurensig.

Comunque, state sereni, a ogni avariante il suo proprio rimedio traumaturgico.

Il Mondo Prima era bello perché avariato, ma ora, caro Principe, se lo lasci dire, si esagera si trascende si tracima.

Macchinisti, fuochisti, ferrovieri, facchini, affini, collaterali, uomini di fatica!!! Attenti, nel Mondo Dopo, da certi treni, meglio scendere, a tempo in tempo per tempo. Le scorie erano itineranti errabonde ribelli, ma ora finalmente hanno trovato i loro 67 paradisi: 67 siti – dico SessantaSette! – uno più bello e funzionale dell’altro, con app incorporate per lo smaltimento idoneo e sicuro. Sicuro che sarà idoneo.

Chissà se il passaggio a livella funzionerà ancora.