Dna alieno

Camminare senza fretta, volgere lo sguardo verso il cielo – cielo, mio marito? – notare un uomo sopra un tetto o sopra tutto; non un ussaro, forse un fantastico operaio, acrobata, in bilico su coppi vermigli, a sentimento: sdrucciolevoli alquanto.

Infiltrarsi in un vecchio condominio, metropoli dei fantasmi; aggirarsi per il giardino, vagare per i corridoi lastricati, scovare a colpo sicuro mura del passato, cercando antichi murales infantili; consapevoli che, dopo più di 40 anni, non possano essere ancora visibili, eppure con gli occhi dell’anima riuscire a scorgerli, brillanti come fossero stati appena vergati, dipinti, tracciati; tra l’altro, con pennelli e pigmenti davvero e unicamente naturali, addirittura vegetali.

Un gruppo di scienziati nipponici – 5 astronomi (bisognerebbe avviare una lunga, documentata digressione sul simbolismo del numero nella narrativa eroica del Sol Levante) – pare abbiano individuato tracce di Dna e Rna su frammenti di asteroidi (da non confondere con steroidi né impianti stereo) alla deriva nello spazio; come abbiano effettuato i carotaggi necessari, resta un mistero, non della fede, solo della scienza; i professoroni stavano in realtà tentando di individuare la base segreta dei Meganoidi, comunque, questa scoperta, potrebbe condurre – se confermata e corroborata da ulteriori indizi, nonché dettagli – ad una conclusione attesa da decenni: c’è vita o possibilità di vita nell’Universo? Come direbbe con arguzia il Maestro: un po’, soprattutto il sabato sera, con o senza febbre.

Alieni alienati, carosello galattico, traffico siderale congestionato – come fosse un apparato digerente umano, dopo peperonata serale – alieni pronti all’alienazione dei propri pianeti natale – nemmeno fossero nipotini di Santa Klaus – a titolo oneroso e/o gratuito, per consentire alle multinazionali dei bipedi di aprire nuovi mercati, di inviare i container eccedenti colmi di rifiuti tossici radioattivi. Alla fine del cosmo, Alien sembra tutto sommato un buon diavolaccio: magari donandogli un nuovo dentifricio e scorte illimitate di caramelline alla clorofilla.

Sai, Paola, abbiamo spedito ai limiti – i nostri, quelli che noi non riusciamo a accettare, comprendere, quindi oltrepassare – delle galassie note (astenersi costellazioni poco o zero mediatiche) manufatti, perline colorate, collanine bigiotteria varia, brani musicali: nessuno ha per ora ringraziato o contraccambiato, nessuno però si è nemmeno lamentato; chissà, prima di quanto si creda, dovremo necessariaMente organizzarci a turno per inviare anche nello spazio squadre di volontari addetti alla raccolta e rimozione dei rifiuti. Meglio un netto, ma cortese rifiuto, che la totale assenza di risposte (soluzioni, progetti).

Il vero duello, il vero dilemma resta sempre quello: restare umani o mutarsi in disumani? Ecco la vera ‘alienazione’. Sarebbe opportuno diventare gandhiani in ogni aspetto della nostra esistenza quotidiana, optare per la non violenza radicale, perfino durante il sonno e nei viaggi onirici, perché la sfida globale è applicare ora e sempre, qui, sulla nostra Terra, giustizia ed equità; non causare, né tollerare o, peggio, considerare incidenti di percorso fisiologici inevitabili: altre vittime, nuove vittime, nemmeno una sola. – No mas – mai più.

Sono tra noi, sono gli insospettabili, i vicini di casa più vicini – prossimi, parrebbe un’esagerazione – sono quelli che ai matrimoni pretendono di essere la sposa, ai funerali il caro estinto; affidiamoci ai paradossi, anche perché viviamo un’epoca nelle quali la verità è l’alibi dei mediocri e gli esperti sono aliene/i che dietro cospicua mercede spiegano al volgo i motivi scientifici degli errori nelle precedenti valutazioni (fornite dagli stesse/i, sempre dietro compenso). In eterno, ammesso abbia un senso: grazie al carciofino sott’odio.

Pensare al quartetto cetra (di musici suonatori di cetra?) o a quello Razumovsky: due violini, viola, violoncello, solo per autentici appassionati, anche senza orecchio assoluto; la distanza più breve tra due punti è sempre una linea diagonale, gli intervalli, le pause del tempo in un grande movimento affollato di note, chissà. Permane, amletico, il dubbio annoso, angoscioso del ragionare di e sui quartetti: 3 + 1, o 4 ab origine? Non cambierà molto nella sostanza, ma le premesse e le formule sono essenziali, meglio non fallirle.

Si sente aria di rivoluzione, si percepisce e si respira nell’atmosfera (con i brani degli Area) esigenza non più rinviabile di rinascite, si avverte – avvisare in anticipo non vale, addio sorpresa – voglia incontenibile di gioia e rivoluzione, come nei formidabili anni 70, di un qualche secolo fa:

rivoluzione autentica, senza chiedere concessioni e/o permessi preventivi alle autorità (più o meno aliene).

Jungle of Stone

Cedo alla dura legge – ma legge? – del marketing:

infarcire il testo, scritto o parlato per me pari (non) son, di inglesorum, giusto per restare in disparte, occultato, occulto, mimetizzato, travisato – nel volto e nelle mie esternazioni – e osservare, decifrare, interpretare l’effetto che fa.

O il suo contrario.

Jungle of Stone, Heart of Stone, Age of Stone, età evo del vetusto mondo litico: ho calato subito il tris, resto in mutande o foglia di fico, anche se temo che non basterà a coprire le vergogne della sedicente civiltà umana occidentale.

La giungla di pietra; benvenuti nella giungla urlavano i Guns n Roses qualche annetto fa o anche più: non solo in fuga da NY, molto presto gli esodi programmati, subito alternati a nuove clausure globali – seguendo l’agenda del nuovo regime politicamente scorretto – diventeranno la quotidianità.

Quotidianità mesta dal cuore di pietra, narrata cantata celebrata da quei rapper, un tempo ribelli anti conformisti atei, improvvisamente caduti sulla via della pandemia – hanno visto la luce – improvvidaMente ri convertiti alle vie del Signore (a Sua solenne insaputa); lieti di averla scampata, per celebrare la loro incrollabile fede, dichiarano odio eterno e guerra senza quartiere a tutti coloro che magari pensano in altro modo o semplicemente coltivano ostinatamente l’arte del dubbio e del dialogo; forse questi fu rapper hanno confuso equivocato scambiato Dio con il lucido lucente apotropaico cornetto vermiglio partenopeo, parte napoletano.

Insomma, qualcuno asserisce di essere entrato in contatto con l’Altissimo, grazie al covid: Grazia, Graziella la bicicletta e grazie ar… covid che hai visto l’Altissimo, aggiungerei se fossi ancora cittadino romano; nel mio piccolo, senza ausilio virale, solo dopo serata molto eolica e nipponica, con bicicletta da corsa su è giù per la Pedemontana ho avuto un’autentica visione: mi è apparsa la Madonna, dietro un castello, dentro un’edicola, votiva – votiva l’edicola, non l’urna elettorale, giusto per chiarezza e precisione.

Si resta di sasso, talvolta, per le grandi scoperte della scienza; per la prima volta, ritrovato su un’isola dell’Indonesia – dove sarà mai? – il Dna completo di una donna vissuta in un gruppo umano arcaico litico, risalente a 7.300 anni fa: un’inezia per l’Universo, un lasso enorme – attenti a non farsi accalappiare – per noi bipedi miserelli; rinvenuto il codice genetico, ora tenteremo di interpretarlo, magari chiedendo lumi in una seduta spiritica ad Alan Turing.

Persiste la vaga sensazione che resuscitare resti un enigma insolubile, non liofilizzabile; le conferme sono tante: pare che la decrittazione sia riuscita solo una volta, Frankenstin a parte.

Gli scazzoni – pesci di acqua dolce, senza doppi sensi – sono scomparsi dai nostri fiumi; erano sentinelle e ambasciatori di corsi fluviali sani e puri; del resto, la nuova frontiera dell’ambientalismo governativo prevede trivelle verdi, prevede a Capri fonti di energia completamente rinnovabili e ecologiche, ma a partire – forse – dal 2036 (fuga dai Faraglioni, o Faraglioni in fuga dalla nostra stupidità): prima, disco verde, ma alle vecchie pratiche distruttive, con lasciapassare allo sversamento dei veleni di ogni tipo in mare. Altri paesi, nella scia esemplare di Danimarca e Costarica, certo meno moderni sviluppati avanzati di noi, hanno formato una lega – non quella che vorrebbe costringere a pagare chi sbaglia, dimenticando selettivamente i 49 milioni che deve allo stato, ma la Boga (Beyond Oil and Gas) – per uscire definitivamente dall’economia fossile e dalle sue logiche perverse; poverini.

Sarebbe bello aggregarsi al triumvirato della Cultura: Angelo Floramo, Alessandro Venier, Mauro Daltin;

in viaggio su Molly, adorabile scalcinato furgone reduce dagli anni ’80 del 1900, con il fiume a bordo, seguendo tragitti fluviali, dalla sorgente alla foce; discutendo amabilmente sul genere dei fiumi – femmina o masculo? – scoprendo la vera carta d’identità oro geografica e le storie affascinanti delle Persone che vivono attorno a quei percorsi (Tagliamento e Isonzo); apprezzare la Metafora del Ponte, ovvero la necessità di sviluppare nella propria esistenza la peculiarità di sapersi distruggere e ricostruire, proprio come certi fantastici passaggi sopraelevati, utili a congiungere rive che si fronteggiano senza contatto;

capire, infine, di essere ontologicamente pre socratici, socratici, pre moderni:

in buona sostanza, convintamente paleolitici.