Liberiamoci, dalle feste (rovine metaforiche)

Pagina del: “Arriva qualcuno? Sia festa, sia sacro”.

O viceversa.

Pagina della Liberazione: da tutto, da tutti; soprattutto, dagli obblighi, dalle imposizioni, da chi non si rende conto di essere schiavo e non vuole festeggiare.

Sia festa, ma vera e grande: chi non vuole accogliere, essere accolto, essere sacro, lo faccia pure, ma in altro paese, su un altro pianeta. Se lo trova.

Bandiamo i banditi – scontato, troppo facile – bendiamo i bendati, non affliggiamo gli afflitti (e nemmeno: gli affitti, i fittavoli, i locatori, qualunque significato abbiano); liberiamo le energie migliori, i repressi.

Riflettiamo, sdraiati – adagiati – mollemente, pigramente sul talamo: oibò, che sarà mai? Il talamo, ovvio. Il letto ove si incontrano lascive volontà, o quella parte di cervello (averne!) che rende la memoria valore stabile, eterno finché dura, condiviso?

Fasi lunari e cambiamenti climatici, esiste un nesso scientifico? Se potessimo mitigare la stupidità, sarebbe un successo.

Si invecchia con velocità sorprendente, ci si rende conto che una vita non equivale allo stesso tempo per due individui distinti, però ci s’illude di poter smettere quando si vuole: o ci si prova, trastullandosi tra rovine metaforiche.

Per sperimentare su sé stessi la libertà, o almeno il senso della medesima, bisognerebbe pedalare, su due o su tre ruote, com’era all’inizio della straordinaria avventura; come gli scrittori, drammaturghi, gli artisti di fine 800, del diciannovesimo secolo. La bicicletta era bambina, nuova fiammante, non solo novità e moda, ma strumento per annullare le catene (imprigionanti!), vere o metaforiche. Arthur Conan Doyle, per citare un Sir famoso e conosciuto (si spera), pedalava molto prima e meglio di partorire l’infallibile Sherlock Holmes. Lo stesso Emilio Salgari, padre nobile squattrinato della patria, era un provetto ciclista – lo garantisce Claudio Gregori in Vagamondi, Scrittori in bicicletta (per i tipi di 66thand2nd) – e partecipava a tutte le gare tricolori molto prima di inventare il celebre, venerato isolotto malese di formidabili pirati. Molto prima di immaginare mari, battaglie, mondi asiatici – e non solo – più reali del reale.

Maurice Leblanc, papà di quel gentiluomo con il vizietto dei furti firmati Arsenio Lupin, era possessore e utilizzatore di un biciclo, si scarrozzava con frequenza e soddisfazione tra la Normandia e Parigi e dei suoi viaggi sull’insolito mezzo, scriveva sui giornali; con dovizia di particolari e felicità.

Perfino Samuel Beckett, scoprì la bicicletta e la elesse suo strumento – forse “assurdo” – quasi esclusivo per gli spostamenti;

del resto, in attesa di Godot, della Giustizia, della Libertà e della Liberazione:

meglio pedalare.

SALGARI, LA NONNA E LA BRISCOLA

Ogni tanto, molto di rado, qualche anima bella, qualche scriba dei quotidiani locali, tirava fuori la trita storiella: per carità, bravo è bravo, ma non corre, nel calcio moderno nessuna squadra può permettersi giocatori fermi…

BradHypo tra le varie caratteristiche caratteriali non annoverava la permalosità: – Nel calcio c’è chi corre e io lo ringrazio, di cuore; e c’è chi pensa: io penso.

Le sue risposte somigliavano ad aforismi filosofici (o a certe battute dei film di Sergio Leone) e di solito avevano il potere di disarmare gli interlocutori più critici e polemici. In fondo, alla fine, tutti o quasi gli volevano bene e cominciavano a prenderlo in simpatia.

Solo una volta in effetti lasciò tutti noi interdetti esclamando una specie di simil blasfemia: – Zio Canaco, ho sbagliato carico!

Durante una finale del torneo annuale di briscola tra le osterie locali, si lasciò sfuggire, conscio dell’imminente disfatta, questa imprecazione che sembrava più una citazione geo letteraria: lo era. Con umiltà e senza sfoggio, raccontava che era stato dai tempi dell’infanzia un salgariano doc, anzi docg; quindi l’esclamazione era da ritenersi un omaggio al popolo dei Canachi, a Sandokan, ai Tigrotti della Malesia. Al Sandokan letterario, protagonista del ciclo malese (per Brad, la nostra squadra era una sorta di romantica Mompracem del calcio) e a quello cinematografico, l’unico: quello impersonato da Kabir Bedi nei lungometraggi – per il nostro fuoriclasse ‘accuratissime ricostruzioni storiche’ – dirette da Sergio Sollima.

Per le sconfitte sul campo di pallone, non si arrabbiava, mai: – E’ solo un gioco, Ragazzi…

Quella volta però al tavolo da briscola, sembrò, non potrei definirlo turbato, ma pacatamente contrariato, sì: – Come diceva mia Nonna Epifania (ennesima Figura mitica, da lui considerata eterna fonte d’ispirazione) chi ha una strategia vincente con le Trevigiane, ha una strategia vincente per la Vita.

Fu così che per un punto Martin BradHypo non perse la cappa, né la capa, ma la partita e l’ambita confezione da 6 bottiglie di Ribolla Gialla, messa in palio come premio finale per i Campioni di Briscola, sì.

BradHypo era questo e molto altro. Un tipo straordinario, ma che non lo dava a vedere; un tipo unico e originale, senza averne l’aria, senza darsi arie, senza farlo pesare sugli altri.

(Continuerà???)