Buse i fruts

Non avrai altro 10 all’infuori di me. Se mi hai visto giocare dal vivo, davvero, sarà così.

C’è stato un tempo della nostra vita mortale in cui un uomo venuto dal Brasile, da Rio de Janeiro, dimostrò che i palloni si potevano accarezzare, con i piedi.

Venne dalle spiagge di Copacabana, dal folle carnevale delle scuole di samba e dallo stadio Maracanà, venne in una sconosciuta, piccola regione di confine: indossò il cappello da alpino, parlò l’idioma locale come fosse il suo, lui carioca dal cuore puro amò – e fu amato senza limiti da – questa gente in apparenza dura e diffidente.

Una finta di Zico, soprattutto una sua punizione o calcio franco come usava dire una volta, aveva l’arcano potere di bloccare o almeno dilatare, sospendere la dimensione spazio temporale: si precipitava in una parentesi onirica nella quale tutta la magia del mondo diventava non solo possibile, ma reale. Parabole disse qualcuno, alludendo a racconti biblici e traiettorie euclidee; arcobaleni, scriverei io con più modestia: portenti della natura.

Eraclito, Mozart, Gabriel Garcia Marquez, Zico: funamboli dello spazio tempo. Poi una radio si sgola, gracchiando interferenze e una vecchia canzone brit pop e per quelle inspiegabili connessioni che nutrono i misteri e i poteri della musica e delle parole, all’improvviso alcune verità, alcuni segreti della vita e dell’universo diventano lampanti, accecanti, nonostante i percorsi tortuosi per raggiungerli: questo è il giorno, o dovrebbe/potrebbe esserlo, perché tu eri, sei, resterai il muro delle meraviglie, il nostro muro della fantasia, dell’allegria, della gioia, nel rispetto delle persone e delle regole.

Non esistono arrivi e partenze, non esistono addii e ritorni: esiste solo e sempre un eterno abbraccio, un eterno urlo di gioia verso il Cielo, come accadeva quando Tu disegnavi i tuoi arcobaleni. Due brevi, rapidi passi di rincorsa, la schiena si arcuava, la gamba destra diventava un tutt’uno con la sfera e all’improvviso sopra di noi – in noi – compariva l’iride.

Come dicevi Tu – questo lo hai imparato subito, naturale e spontaneo, come fosse un tuo colpo di tacco, o una tua punizione all’incrocio: buse i fruts.

Grazie Zico, mandi; simpri in tal cur.

Nelle segrete

Pagina delle segrete vie, sotterranee, carsiche in caso di fiumi, arcane traiettorie.

Parole d’ordine, frasi convenute, in forma di haiku classici, cui rispondere con haiku di pari livello e valore, però coerenti a quelli dei guardiani dei portali.

Orientarsi con un antico orologio da taschino – 85 anni di obsolescenza attiva – riesumato dai cimeli di famiglia: perfettamente funzionante. Esso. Cosa resterà di questi anni pandemici, brutti stupidi spietati, incapaci perfino di volare via? Quell’orologio abbinato alla bussola, sua coeva e cugina, di primo, anzi primissimo grado.

Mancherebbe un libro, il libro della Vita, a questa preziosa compagnia, ma sceglierlo, tra le migliaia, pare ora, ancora, impresa improbabile.

Per un giorno, solo per un giorno, giocare a pallone nello stadio Maracanà, insieme ai verde oro, se poi ci fosse Zico, meglio; oro verde, già, ne sparlano tutti – chiacchiere vuote, preferirei i crostoli, grazie – ma le chiacchiere dovrebbero essere bandite, ridotte a zero, come quelle letali emissioni di natura antropica che mai elimineremo, perché siamo ipocriti nei meandri più segreti di noi stessi; le nostre anime dannate angelicate, miasmi e meraviglie.

Per uscire a rivedere il cosmo, quando ti trovi recluso, segregato nelle segrete stanze, talvolta serve come ossigeno, una rottura: frantumare lo stallo, la stalla, financo gli specchi, e buonanotte a tutte le scaramanzie, cartomanzie, superstizioni, alle quali nessuno crede, ma, in fondo, teme che siano vere. I cocci di bottiglia o di specchi servono, soprattutto quelli di forma esagonale: tasselli di un mosaico immaginato, inventato dall’astronomo italiano Guido Horn, un destino nel nome di ognuno. Horn: Corno o tromba che sia, nato nella Trieste austriaca ma ebreo di famiglia, combatté per l’Italia nella Grande sanguinosa, indecente guerra: con le stelle nella mente e nel cuore, intuì che forse, per osservare con attenzione i segreti della volta cosmica, sarebbe stato più preciso e anche più economico realizzare non telescopi ciclopici con specchi enormi, ma ‘binocoli’ spaziali con lenti costituite dai famosi frammenti esagonali. Ancora oggi e nel futuro sfruttiamo e sfrutteremo quella sua formidabile idea.

Le verità che rammentavo erano verità del cactus, del resto la realtà è una pianta grassa, ricolma di aculei; esimio speculatore edilizio, se cerchi un nuovo inquilino da sistemare in collina, cercalo tra gli indigeni detti anche autoctoni (sempre meglio degli auto scimuniti): magari non sarà un genius, ma il vantaggio è che sarà già in loci, loco – matto più che mai.

Talvolta, dagli oscuri segreti meccanismi che regolano le nostre vite sociali e politiche vorremmo davvero evadere, ribellarci, ma il potere dei numeri – a proposito di kabbala, numerologia e filosofie occulte e sciamaniche – se non ci incatena, in qualche misura, ci condiziona: il 13 è un simbolo di buona o cattiva sorte? Un tempo arcaico vide gente esultare controllando 13 vaticini calcistici azzeccati su piccole schede targate Sisal/Totip. Meglio abbracciare il senso tibetano per il Creato e apprezzare le buone invenzioni umane, da ogni dove, di qualunque inventore geniale con ottimi propositi siano; anche perché, nel Mondo Dopo, altri 13, Lucifero e i suoi sodali, Angeli ribelli per tradizione traduzione e anche tradimento biblici, pare abbiano perso energia, intenzione, voglia di allestire nuove sommosse, contro i poteri pre costituiti:

rassegnazione o ribellione alternativa, l’ardua scelta e soprattutto azione, spetterà al solito consesso, quello delle donne, degli uomini & alieni varj.

Anche alla luce del Sole, fuori dal piccolo scrigno segreto.

Omero e i collettivi

Omero, chi era costui?

Forse non un personaggio solo, ma il primo collettivo letterario della Storia, una specie di Luther Blissett ante litteram?

Non ditelo all’ex calciatore inglese che indossando la maglia del Milan segnò un memorabile goal in un derby meneghino, umiliando in elevazione un certo Fulvio Collovati, campione del mondo (nessun parallelismo con Pelé nella finale del 1970, che si materializzò all’improvviso sopra una nuvola dell’Azteca per sorprendere uno sbigottito Burgnich, solo per rendere l’idea).

Collettivo letterario come il Bardo, William Shakespeare? Chissà. Sono così belle le leggende letterarie che sarebbe un peccato mortale, un oltraggio deturparle o tentare di demolirle con teorie verosimili, ma strampalate.

Restiamo concentrati sul narratore cieco, privo forse della vista fisica ma dotato di una straordinaria visione interiore, una inventiva e una sensibilità all’ennesima potenza, senza le distrazioni delle immagini del reale, più o meno reale.

Omero gruppo di autori, Omero cane nero e sfortunato, come Calimero, con le pupille opache, ma capace con il fiuto e con la percezione delle vibrazioni del Mondo di individuare capire interagire con gli esseri viventi attorno a Lui.

Abbandonato tanto tempo fa, dal solito bipede sciocco del Mondo Prima, che lo riteneva animale inutile e forse con questo giudizio sprezzante e inumano classificava solo sé stesso.

Autisti con una mano sola, autisti di veicoli a trazione tradizionale, non traditrice, non pilotata da una app, da una intelligenza artificiale in remoto, remota nel senso di virtuale, non lontana nel tempo – magari, sarebbe magnifico – batteristi di gruppi rock con una sola mano di poker, capaci di sbaragliare gambler professionisti e batterie, nel senso della sezione ritmica non delle pentole.

Falsi profeti, dalla mente cieca, ottusa: promettevano futuri da nababbi – a nababbo morto? – da sceicchi da emiri, ma dopo 20 anni di trivellazioni il romanzo storico narra solo di devastazione ambientale e assoluta povertà: sociale culturale morale, tranne che per multinazionali e sodali.

I saggi orbati, i facitori con maschere senza occhi, con facce senza volto né pupille, consiglieri ispiratori, eminenze grigie senza scala – grigio unico uniforme, a perdita d’occhi per restare in tema – della politica occidentale, quella auto proclamata superiore e vincente causa mercato, ha percepito che la sedicente democrazia non è esportabile in altre culture in Popoli con storie differenti dalle nostre, soprattutto a suon di bombe; difficile inculcare loro che stai donando libertà, insegnando l’arte della vera vita democratica, mentre fai a pezzi povera gente, donne bambini anziani, senza esclusione, perché dall’alto dei nostri bombardieri, noi siamo spietatamente inclusivi.

Meno male che quello di Emergency ha lasciato il campo, un guastafeste rompiballe in meno.

Narrazione di leggendari sabati del villaggio, prima del villaggio ai Comboniani e di infiniti meriggi balneari, su sabbie selvagge infinite che nella fantasia della passione diventavano gli stadi più belli del mondo; con il calcio – lo abbiamo capito solo oggi in questo disumano Mondo Dopo, in cui tutto sembra lontano dall’uomo – trait d’union, detonatore buono, pretesto virtuoso per aggregazione sociale; meraviglioso lo sport, meraviglioso perché era il medium che ci permetteva di stare insieme, di dialogare, di condividere emozioni; come dice il nostro grande campione Luca, voi siete stati gli esempi, gli educatori nell’accezione latina, quelli che sapevano condurre con il sorriso con la gioia con la purezza e la semplicità.

I pomeriggi più belli sono stati insieme a Voi, grazie a Voi: Gino, Toni, Cesco. Irripetibili, eterni.

State preparando i campi nel Cielo, lunghi tornei impegnativi, perché saranno iscritte le squadre più forti della storia: Real Comboniani e ByByOne World Team (Triveneto docet).

La parabola del seminatore prodigo è perfetta, prodigo ma non sciocco, generoso perché getta chicchi di grano sano e forte a piene mani, sapendo che prima o poi riuscirà ad attecchire su terra ricettiva e fertile: con tutto il rispetto, niente male nemmeno le parabole di Zico.

Gli occhi dell’Anima vedono lontano, oltre: anche nel buio ancestrale dell’Universo.