Divano (nido?) vuoto

Pagina di quelli che parlano con se stessi, parlano con la Luna e si confidano con il suo volto nascosto.

Tutti gli altri interlocutori sono mimetizzati, in rotta strategica, in fuga o esiliati?

Chissà se almeno Astolfo e l’Ippogrifo si sono salvati; o saranno stati costretti a recitare in telenovelas e talk show (o nell’ennesima serie virale su Moonflix???);

confido nelle truppe di Re Vega, la loro base di sicuro esiste ancora e resisterà, non può essere stata espugnata, non da noi; nemmeno l’avamposto terrestre su Selene che ora e sempre dal 1999 veglia su di noi e sulle nostre traversie può essere caduto nell’argentea polvere satellitare…

Ama il tuo nemico come e più di te stesso, perché lui è il tuo cuore di tenebra, ma è comunque un cuore che diffonde vita; ogni avversario è un simbolo, ogni antagonista deve essere reale, necessario per mantenere viva vegeta reattiva l’Umanità – anche senza soccorso Atlas – , per illudersi ancora che una salvezza sia possibile.

Parlo con il Silenzio, dopo averlo invitato a entrare, accolto con gli onori dovuti e meritati, auscultato attentamente, senza interruzioni di insopportabili pause caffé o pause reclame.

Parlo con la Coscienza, anche se dubito che Lei abbia voglia di rivolgermi volto e parola, afono per troppi anni – io – , mai davvero riscattata per intero, nemmeno con grida dal e nel silenzio o con grida d’aiuto; gride imperiali che hanno imposto la cessazione della società civile, dei gesti di civiltà minima e umanità di base.

Parlo con Dio, poi in un raro momento di lucidità, noto che la teoria di quelli che parlano (a sproposito) con Lui, di Lui, per Lui… è già lunghissima, affollatissima, infinita.

Abdico e abiuro me stesso.

Parlo con i miei colleghi, gli dei dell’Olimpo o di un pantheon anche minore, anche più umano, anche proletario e di periferia disagiata, esterno ad ogni sacro GRA (Grande Raccordo Analgesico).

Vorrei parlare con la Grande Anima Mundi, con la Natura, con Pangea, con il vero nucleo ontologico di ogni essere vivente, animale o vegetale, terrestre o extraterrestre, perché se appartengo all’Universo, nessuna anima o cosa di questo Universo può essermi aliena.

Condivido la mia sorte (ria o attraversando il rio che scorre eternamente?) cercando sinceramente empatia e comprensione con gli Universi, presenti, paralleli, obliqui, ubiqui.

Parlo, parlo, parlo; parole fitte come nebbia padana, per ore, come ventriloquo a energia solare, ciarliero come mai in vita mia, né prima né dopo.

Parlo anche senza divano, senza divano rosso, senza divano dello psicanalista. Senza necessità di ipnosi, solo per desiderio di gnosi, di sofia. Di catarsi verbale mentale spirituale.

Attendo l’ora fatale, esiziale, quella delle rivelazioni ultime, i segreti di famiglia, inconfessabili anche al cospetto della fine del Mondo, anche in camera caritatis di fronte alla cattedra dei Reggitori Supremi.

Attendo senza respiro, anzi, con il respiro interrotto, quell’unico decisivo, fondamentale momento, come un goal da cineteca in zona Cesarini (dei Cesari, minori), attendo il rigore, calcistico e morale, finalmente vincente, capace di spezzare le catene delle colpe, vere o presunte, della stasi della vita, nella vita, dalla Vita.

Attendo me stesso: impostore magno, fuggiasco infingardo, travisato con i panni lisi del solito appassito Godot; attendo la Vita che scorreva impetuosa come fiume galattico, mentre restavo inerte, identico a me stesso, inutile burattino senza fili.

Eppure, sempre seduto sulla stessa riva dello stesso fiume, abbarbicato al saggio Salice che si specchia e piange per tutte le Ofelie fluttuanti, canto senza pudore inni stonati alle meraviglie del Cosmo, osservo, parlo con me dentro di me, attendo con fiducia.

Sperando che la prossima Ofelia in transito fluviale non sia me.

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