Sensazioni onirico seleniche

Notti di lune giganti, notti da licantropi, notti di strade vuote, grigie all’infinito, male illuminate da luci sinistre, talvolta maldestre.

Nell’oscurità, il profumo suadente, sensuale, soverchiante del gelsomino, candido – innocente, fino a prova contraria – anche dove il buio è più fitto, inestricabile.

Una musica può fare o potrebbe tutto quello che gli uomini non vogliono, o tutti quei procedimenti processi percorsi troppo faticosi ormai per una società spappolata che pretende e si ritiene smart, fast, green. Eppure, è una questione di frequenze e sequenze: un diapason potrebbe aiutare, anche perché lui – Monsieur Diapason – ha le orecchie lunghe, assolute, sa ascoltare, sa vibrare al momento opportuno e replicando perfettamente le frequenze vincenti, convincenti – auspichiamo anche benefiche, salvifiche – potrebbe dirimere, risolvere, chiudere: in bellezza, anzi sulle note di una marcia, magari non trionfale, forse popolare.

Anche Irene, prima di scrivere romanzi poesie riflessioni, amava pedalare senza fretta: stimolava la concentrazione, sprigionava energie e fantasia, l’immaginazione in sella al potere, il più grande, il migliore. Oggi qualcuno scrive ispirate suite in sua delicata, dedicata memoria, anche non aspettando la tempesta di giugno, né quella d’agosto, che in teoria sancisce la partenza dell’estate: per dove? Ma per altri lidi, dove sia ancora estate.

Avrete certo potuto ammirare anche voi quel magnifico, storico scatto fotografico: Gino Bartali, fresco vincitore del suo secondo tour de France, felice ricoperto di polvere raccolta su ogni strada del paese transalpino, in apparenza nemmeno troppo stanco – ma lui era Bartali! – e alle sue spalle, con un sorriso buono, colmo di gratitudine e d’ammirazione, Fernandel; che uomini, che artisti, con quei volti inimitabili sarebbero stati di sicuro anche una straordinaria coppia cinematografica.

A volte, basterebbe pensarci un po’ su, ma anche sottosopra, o di lato, in diagonale; proprio come quel meneghino di Manzoni. Che soffriva di agorafobia, soprattutto in presenza della moglie: ognuno tragga – se può – i suoi spunti, le sue riflessioni.

Quante lune, figliuolo? Quante ne hai sognate con sano desiderio di raggiungerle, esplorarle? Attento alla risposta.

Siamo proprio sicuri che in Cielo volteggi una sola Luna? O una luna sole.

In queste notti bislacche, potrebbero arrivarne altre, non solo quelle presenti nei libri di Murakami Haruki.

Non oso immaginare connessioni, correlazioni tra i balzi pindarici: buon compleanno Studio di animazione cinematografica Ghibli, in Tokyo, Giappone (15 giugno 1985):

grazie per tutti i sogni a colori (come quelli di Kurosawa, in fondo), Sensei Miyazaki.

Cosimo, a cavallo

Pagina degli eterni ritorni.

Nella città del Giglio e di Durante degli Alighieri, dopo anni.

Perbacco! Realizzare all’improvviso, all’impronta e financo all’impiedi (la posizione eretta, verticale, favorisce o ostacola l’attività cerebrale? Una teoria si regge sui presupposti?): il tempo è una dimensione anomala, soprattutto se noi sedicenti umani attribuiamo allo stesso – o stessa? – caratteristiche non sue o imprecise. Il tempo è un gigantesco, immane – infinito? – brodo primordiale nel quale tutto galleggia, prima o poi lungo le varie rotte concentriche esistono le possibilità di imbattersi, intrupparsi in cose, persone, eventi che galleggiavano sulla superficie, lontano da noi.

Perbacco, scontrarsi con Bacco adolescente – Bacchino? Di certo, non Bacone – dalle parti degli Uffizi; il Bacco di Michelangelo Merisi da Caravaggio – caro viaggio, ti adoro – per realizzare che quell’immagine, quel giovinetto, quel ritratto era rimasto custodito a nostra insaputa nella memoria visiva e nell’anima e da quei luoghi, di sicuro misteriosi, spesso inaccessibili, se non attraverso arcane procedure, aveva continuato in modo incessante a solleticare fantasia, immaginazione, rapimento estatico per la Bellezza: nasce così, origina da lì la fatale ossessione per il genio Caravaggio?

Fare il perdigiorno presso Piazza della Signoria e notare – impresa poco ardua, in verità – un cavaliere in groppa al proprio formidabile destriero: cavaliere con destrezza. Cosimo, iccome tu stai, bischero d’un bischero. Fo’ la mia parte per mia contrada e mia patria, perché spero che li miei concittadini mi proclamino un giorno padre della patria e tu, maremma impenitente, bada bene: padre e patria de li tempi miei. Ridestato da un colpo di zoccolo o dal fastidioso trillo del cellulare di un turista penso al mio fortuito, fortunato incontro: il Cosimo de’ Medici, nonno di quel Lorenzo che fu magnifico, davvero e anche sul serio. Entrambi furono magnifici, entrambi capirono la strategica importanza nel tessere fitte trame di relazioni per poter realizzare progetti, entrambi fecero ampio utilizzo di risorse bancarie per incentivare cultura, arte, magnificenza: anche in questo caso, non nella concezione deviata e utilitaristica – se non in minima, trascurabile parte – che ne abbiamo noi moderni, noi evoluti, noi bipedi:

quelli che hanno appaltato il proprio futuro – non esiste il futuro senza il presente, non esiste il presente senza memoria dei presenti andati; il futuro, come diceva la Saggia nella sperduta foresta montana dei Sogni, è di chi se lo piglia – a droni e applicazioni, ma hanno deturpato, desertificato il proprio patrimonio delle parole a non più di 100 superstiti.

Un altro colpo di zoccolo, la capa gira: stavolta è il fiero, imponente quadrupede a parlarmi direttaMente, Oh grullo, rammenta la umana commedia, mica un ghiribizzo di mente geniale tanto quanto bislacca, ma un compendio dello scibile umano, dalla poesia alla retorica, dalla filosofia alla matematica all’astronomia alle più raffinate questioni teologiche, oh grullo, e voi?

Peccato, perbacco. Stordito, ammutolisco. Allibisco, nell’etimo originale, di allividire, restare livido:

causa scorno, vergogna, palese inferiorità.

Chiedo venia all’Arno, biondo schiumoso come birra, non da luppoli e fermenti passionali ma inquinamento antropico; un fiume non deve, non può, morire, ma un bipede sì.

In più, in peggio, quale rappresentante dell’involuto Mondo Dopo: indegno di posare le proprie membra – come fosse il Gange – più indegno di sciacquare i panni (e l’inadeguata glossa) nelle sacre acque.

Lettera bacio testamento

Lettera a Te, caro carissimo Fedor.

Hai molte colpe, a partire dalla nazionalità di nascita: ucraino, russo, russo ucraino, viceversa o all’unisono. Che confusione, sotto il Cielo tutto è ingarbugliato, l’animo umano e la mente sempre più, all’ennesima potenza, dell’impotenza congenita.

Come in una fulminante vignetta di Mauro Biani, Tu pensavi molto, troppo, e, soprattutto, scrivevi; questo ha decretato la Tua condanna postuma, oltre a quelle subite in vita per le tue idee libertarie, poco gradite al regime degli zar. Qualcuno dice che la storia – a differenza di Paganini – offre repliche: la prima in forma di tragedia, la seconda con l’abito della farsa. Noi, qui, siamo giunti all’idiozia conclamata, dispiegata, rivendicata con orgoglio.

Incredibile quanto le tue opere contemplassero e analizzassero con il pantascopio dell’intelletto tutte le nevrosi, i limiti dell’uomo moderno; schiacciato dalla geometrica potenza degli edifici urbani, spersonalizzato dalla massa che sono tutti, tutti contro l’individuo solo, monade inadatta, incapace di reagire agire affermare un proprio pensiero, assalito dallo spleen, dalla noia del vivere che si muta spesso in risentimento, in odio anche per le offese non ancora ricevute e che rischia di tracimare in volontà di auto cancellazione o di annientamento dei propri simili.

Capisci anche Tu che meriti il rogo, la condanna alla damnatio memoriae.

Come la cultura latina, come Dante, come lo stesso Luigi Pirandello: ammirati, studiati in tutto il mondo, ma oggi meritevoli del marchio d’infamia, meritevoli di essere messi al bando, all’indice, rei in toto di non avere mai preso le distanze dal regime fascista, espressione impura di una pseudo cultura, autoritaria repressiva coloniale. Tié.

Si resta poi sbigottiti al cospetto dell’arrogante impudenza con la quale certi politicanti, ex o in attività, pretenderebbero anche applausi e patenti di santità per i loro ruoli, alquanto opachi, di consulenti speciali per aziende nazionali, auto proclamati, auto innalzati paladini dei prodotti indigeni sui mercati internazionali: misteriosamente, quasi sempre, tali prodigiosi prodotti sono armamenti letali o fonti fossili inquinanti di energia; mai parmigiano e prosciutti, per fornire un esempio banale, ma saporito assai.

Il tempo scivola via: come i Nomadi vorrei cantare non è stato tutto inutile, ma che le bombe non siano propense all’ascolto delle altrui ragioni, lo sapevamo prima di costruirle e venderle; mi preoccupano di più le sordità intellettive selettive delle degli smidollati smidollate in teoria rappresentanti del mondo dei buoni. Invio un bacio al cielo, consapevole che scrivere missive non sia mai stato una questione semplice; scrutando lo spazio, spero possa un giorno arrivare, da qualche galassia indipendente, l’Arcadia di Capitan Harlock.

Se fossimo costretti a vergare un testamento – soprattutto spirituale – sarebbe confortante, auspicabile applicare il metodo Ennio (Morricone, assai simile a quello del Manzoni):

pensarci su, al cospetto della pagina intonsa e bianca, pensarci bene, per poi regalare all’umanità bellezza senza tempo, bellezza autentica, bellezza universale.

Come una musica inafferrabile, nel vento astrale.