Pedalare tra i campi, accompagnati da uno stormo radente e festoso di rondini.
Il mattino avrà certo l’oro in bocca, però per prudenza – nei confronti del mattino – eviterei di ripeterlo con frequenza: esiste il rischio che qualcuno si metta in testa di farglielo sputare, con le buone o con le cattive.
Ore in palio, al palio di contrada. Volete ore da vivere o oro? Dentro la pentola in cima al palo, una pregevole, gradita sorpresa. Forse. E la cuccagna?
La buona educazione richiede un lungo, faticoso, laborioso processo di apprendimento, quella cattiva è immediata, soprattutto le truci applicazioni pratiche. Per la semplicità, la sobrietà, lo stesso; si raggiunge scalando vette, scalpellando via tutto il superfluo.
Forse l’amore è apolide e somiglia a qualcosa che muore – del resto, cosa non deperisce per obsolescenza geneticamente predisposta? – ma anche solo la reminiscenza di un amore, continua a restare amore.
Ogni tanto, qualche sedicente guru – grandissimo figlio di paragnosta – ci vorrebbe convincere a mutare punto di vista (vita?), ma chi osserva il mondo da una bicicletta, lo sa e lo fa, per istinto e necessità; come Giuan Guareschi, da Milano alla Riviera romagnola e ritorno, a colpi di pedali, nel 1941. Prima di don Camillo e del compagno Peppone. Sapeva che in bici lo spazio diventa la dimensione dell’infinito. Le carovane, come sosteneva Alvaro Mutis, sono simbolo di nulla, essenza ontologica, teleologica della deriva; la nostra, anche se fingiamo di ignorarla. Resta il racconto, quello in e dal velocipede: è eterno movimento, senza le sbarre e le barriere della fissità del ricordo (ingannevole la memoria umana, più di ogni cosa)
Come un cammello in una grondaia, certo; come l’ombra della luce; come un orologio svizzero al polso di un cieco: per il passato, gli storici veri, ma se volessimo vivere ancora un po’, potremmo scegliere poeti comandanti, intimi conoscenti, anzi amici del futuro:
magari in bicicletta, dentro campi di grano.