Pedalate pedemontane (quasi autunnali)

Autunno incipiente

foriero capiente di altri colori e profumi,

mentre Elio l’estivo lesto – o ratto – si dilegua;

il cuore si accende, divampa,

fossero anche malinconie e rimpianti,

di nuove antiche passioni.

Oro, non per forza alla patria

Pedalare tra i campi, accompagnati da uno stormo radente e festoso di rondini.

Il mattino avrà certo l’oro in bocca, però per prudenza – nei confronti del mattino – eviterei di ripeterlo con frequenza: esiste il rischio che qualcuno si metta in testa di farglielo sputare, con le buone o con le cattive.

Ore in palio, al palio di contrada. Volete ore da vivere o oro? Dentro la pentola in cima al palo, una pregevole, gradita sorpresa. Forse. E la cuccagna?

La buona educazione richiede un lungo, faticoso, laborioso processo di apprendimento, quella cattiva è immediata, soprattutto le truci applicazioni pratiche. Per la semplicità, la sobrietà, lo stesso; si raggiunge scalando vette, scalpellando via tutto il superfluo.

Forse l’amore è apolide e somiglia a qualcosa che muore – del resto, cosa non deperisce per obsolescenza geneticamente predisposta? – ma anche solo la reminiscenza di un amore, continua a restare amore.

Ogni tanto, qualche sedicente guru – grandissimo figlio di paragnosta – ci vorrebbe convincere a mutare punto di vista (vita?), ma chi osserva il mondo da una bicicletta, lo sa e lo fa, per istinto e necessità; come Giuan Guareschi, da Milano alla Riviera romagnola e ritorno, a colpi di pedali, nel 1941. Prima di don Camillo e del compagno Peppone. Sapeva che in bici lo spazio diventa la dimensione dell’infinito. Le carovane, come sosteneva Alvaro Mutis, sono simbolo di nulla, essenza ontologica, teleologica della deriva; la nostra, anche se fingiamo di ignorarla. Resta il racconto, quello in e dal velocipede: è eterno movimento, senza le sbarre e le barriere della fissità del ricordo (ingannevole la memoria umana, più di ogni cosa)

Come un cammello in una grondaia, certo; come l’ombra della luce; come un orologio svizzero al polso di un cieco: per il passato, gli storici veri, ma se volessimo vivere ancora un po’, potremmo scegliere poeti comandanti, intimi conoscenti, anzi amici del futuro:

magari in bicicletta, dentro campi di grano.

Incredulità

Pagina della Luna o delle innumerevoli, multiformi Lune; non solo nostre.

Lune storte, come il mondo, quando si sveglia dal lato sbagliato: arduo capire quale sia il lato giusto di un corpo sferico, più o meno.

Luna illuminata al 65%: avete qualcosa in contrario, da obiettare? Prendetevela con l’obiettivo, quello dei fotografi o al limite, limitare, con i responsabili dell’illuminazione su Selene; potrebbe funzionare come per il cioccolato, il migliore, quello fondente; percentuale di cacao, più è alta la percentuale, più è amaro: ottimo per chi sta dalla parte giusta, della percentuale.

La sospensione dell’incredulità è il meccanismo narrativo più antico dell’universo, ma negli ultimi 2 anni abbiamo esagerato un tantinello – fuori e dentro il tinello – ne converrete.

Una sciocchezza, una falsità, un’idiozia ripetuta migliaia di volte al giorno, h24 come si usa in voga, attraverso tutti i media a disposizione, in modo ossessivo compulsivo invasivo, diventa vera in un battibaleno (ribadisco, non ho mai capito cosa sia davvero): milioni, miliardi di persone, ipnotizzate dalla reiterazione perversa della falsa informazione, si arrendono e si convincono sia una verità. Tanto poi, i vari poteri – o anche solo uno dei tanti della scala gerarchica – in caso remoto di malcontento popolare generalizzato o locale, offriranno in pasto alle masse qualcuno da odiare, per ricompattare il popolo e, soprattutto, rinvigorire la fiducia nelle decisioni – le più abiette, le più inique, le più repressive – del governicchio di turno. Tutto ricomincerà in allegra armonia.

Incredulità: dolce chimera sei tu, inebriante passione, fortissima fragilità.

Le verità, i fantasmi delle verità – verità fantasma o ectoplasmi guardiani delle verità – si trastullano in un piccolo castello abbandonato, dismesso, quasi un rudere; un castelletto celato alla vista dei più, in ombra dietro l’imponente mole della cattedrale cittadina, castelletto che appare e scompare a giorni alterni, come certe targhe, come certe viste individuali, selettive: sulle mura, anzi sui mozziconi residui di merli (litici), cercando con attenzione e libertà – di animo, pensiero, sguardo – è possibile notare un piccione, guardiano e messaggero, delle antiche mura e dei segreti in esse contenuti.

Le verità non interessano, come avviene per la cultura: ormai ai popoli pare più appetibile l’intrattenimento, anche di infimo livello. Le verità impegnano, costringono alla presa non per i fondelli, ma di coscienza e conseguenti – queste sì – responsabilità.

Tutto sommato, meglio sospendere a tempo indeterminato l’incredulità, ormai al futuro non crediamo più – non lo sappiamo coniugare – potremmo tentare con la futurità inventata dal pedagogista brasiliano Paulo Freire: il vero avvenire accade quando si regala un’esperienza di bene condiviso.

Anche perché la sua Pedagogia degli Oppressi, sempre attuale, rischia di tramutarsi in opera eterna.

Utopie? La grande risorsa umana è stata quella di trasformare le utopie in progetti concreti: come le umili biciclette dei Paesi Bassi, mezzi di trasporto che riescono a diventare cultura condivisa, cultura per il bene collettivo, ponte meccanico tra gruppi sociali, religiosi, etnici storicamente divisi.

Se l’altra realtà, quella dei soliti oppressori, risultasse infine indigesta, per ottenere realtà alternative o almeno confortevoli, confortanti – per 30 secondi – ci si potrebbe affidare, ultima ratio, ai creativi del marketing.

Con respiro sempre più corto.

Cattivi Maestri

Pagina dei Maestri Cattivi. Oh, Cattivi Maestri…

Inabili all’insegnamento, certo, se fosse solo questo, sarebbe il minimo danno insindacabile: pessimi esempi, modelli da non imitare eppure modelli unici di comportamenti incivili belluini ferini; non gettiamo loro addosso croci colonne del tempio sentenze, le peggiori; chi mai davvero chi davvero mai potrebbe conoscere le sofferenze le mutilazioni i tormenti intimi di una persona altra da sé?

PPP da 45 anni immortale, su quali mari perigliosi navighi oggi, su quali campi giochi a pallone, in quali studi sei immerso per riemergere con nuove poesie nuovi articoli romanzi scandalosi lungometraggi? Sei sempre il Capitano dei Tuoi Corsari, scritti?

Corvo Nero steso su una stesa di asfalto grigio impersonale inumano assassino, però impermeabile al sangue dei vinti; Fratello pennuto dalla livrea da grande soirée ci rivedremo in Paradiso che non è un’invitante trattoria di campagna, ma un auspicio carico di speranza, perché Tu ci sarai senza tema e anche lì il Cielo sarà tua pertinenza, noi non sappiamo, incerti di tutto anche del destino finale della destinazione finale del finale delle Stagioni, chissà se e quanto lieto.

Benvenuti nell’Incertocene, cene incerte, a certe cene sarebbe stato meglio non partecipare mai; cenacoli incerti, ma restano capolavori, gli ultimi, ahinoi!

Si stava meglio quando si stava meglio, garantiscono con certificato di assoluta garanzia di falsità, doppiezza menzognera, alacre ipocrisia i soliti quattro saggi assisi su seggi paleo promozionali televisivi da quattro soldi – averceli – ma quando dove e come si stava meglio, non è un dato da sapere: il volgo ignobile ignorante innominabile si controlla docilMente in assenza totale anche solo di vaghe nozioni culturali; all’Indice alla ghigliottina al rogo la Settimana Enigmistica. Un rebus prece.

Forse, semplicemente si stava: al Mondo con naturalezza e tanti grilli nei prati per la testa e con i quali conversare da muri includenti, perché se separi pensa a chi cosa quanto lasci fuori. Martelli martellate martellamenti proibiti.

Si stava, la Felicità era quella.

Nel Nevada – a proposito, gli ET sono grandi elettori? – nella segretissima Area Pulcinella 51, davvero conservano gli Ufo e tutti i progetti più audaci incomprensibili inconfessabili delle forme aliene di civiltà? Se sono civiltà evolute, dubito siano giunte sino a noi, con bastimenti cosmici più o meno carichi di menzogne utopie perline colorate con i colori dell’Universo, da barattare con i tesori esclusivi prodotti dai bipedi terrestri.

I quali, si sa, grazie allo sviluppo indefesso della crescita economica Tatcher Reagan, si accontentano delle promesse cangianti mutanti mutevoli, millesimo di social dopo millesimo sui social, degli sparuti spauriti spiritati miliardari scostumati e dei nuovi mediocri cloni di defunti dittatori.

Ormai, siamo costretti a mettere all’asta on line la tessera di appartenenza alla razza – umana? – per attrarre dal Deep Space o Deep State, Verdi Mostriciattoli facoltosi e un po’ borlotti per convincerli a risanare rin-curare rinfoltire il pil della vecchia cara ammaccata Terra.

Quando tu soffrirai sotto la schiavitù autoprodotta rigorosamente a casa tua, quando soffocherai dietro una mascherina cieca di smog, quando invisibili virus assassini sguinzagliati dalla nostra passiva sciocchezza globale imperverseranno sul Pianeta, su dal Ciel – prima che ci cada sulla testa in modo definitivo ultimativo incontrovertibile – non piomberà Mazinger; anche i Super Robots hanno un Anime preferito, un sindacato di riferimento deferimento de saturazione, uno Statuto che garantisce loro il diritto alle vacanze e alla meritatissima pensione nei Paradisi Animati.

Così lontana così vicina non è la fine del mondo – tra l’altro, in diretta streaming (prime time!), anche se, da futuribile Remoto, le emozioni non saranno le stesse – ma solo la fine del nostro sguardo dei nostri sensi che la bonaccia d’agosto non placava nel Mondo Prima, quello analogico, il lungo mesto amaro addio al nostro senso dello spazio fisico geografico, quello che ci definiva come animali pensanti sociali dediti alla conoscenza; abbiamo abiurato senso di noi, delle parole, delle stelle come bussole;

oh come vorrei morire in un campo di girasoli, un campo lungo sconfinato di Sergio Leone e Wim Wenders. Accanto a me solo la bicicletta, lo yo yo ligneo, Tre camere a Manhattan.

Tanto ormai anche gli angeli non sorvolano più il giudice a Berlino, né il Texas; inutile attendere l’Oltre, oltre Po mantovano virgiliano, oltre la siepe il giardino e anche la Patagonia è diventata una terra dei fuochi, fatui.

Sommersi da fuck things non respiriamo più con narici mente polmoni, inondati da fake news, fake history, fake politics, fake scientists, fake gods, perfino fake photography: quando la presunta (pregunta?) sedicente democratizzazione distrugge il Sacro il Profano l’Arte, annientando il Tutto attraverso il braccio armato composto da miliardi di immagini, scattate da chiunque nello stesso momento, miliardi di rozze goffe orride bugie su un set planetario di III millennio, III longa manus, III teatrale senza copione in atto unico ultimo ulcerante.

I Cattivi Maestri diventavano commestibili in salsa piccante, divorabili sino all’ultimo minuscolo boccone, il problema era la fase digestiva: la prima nella bocca, poi, nel caso, solo i più dotati di appetiti talenti tigna, riuscivano a metabolizzarli ridurli metà in bolo, metà in lezioni di Vita.

Mister Hopper hai regalato lustro al lavoro dei guardoni (fini osservatori pensatori) dalle finestre, lustrate senza windows, hai anticipato il futuro con i tuoi personaggi, imbrigliati nell’attimo della genesi pittorica, nella goccia di ambra cristallizzata, nella sorte da monade disturbata perturbata perturbante, nell’isolamento collettivo; ti sei dimenticato di narrarci la trama completa, spiattellando come nei saloni delle parrucchiere anche l’epilogo sorprendente.

O forse la tua Immensità è proprio questa: donarci ancora e sempre la possibilità di completare la storia la narrazione la ventura dentro il quadro con la nostra immaginazione:

sperando che nel frattempo non sia svanita svampita svaporata anche la nostra ultima fonte di Energia pulita.

Pedalare dentro

Pedalando nella magnificenza dell’Universo

ammantato di brume e silenzio autunnali

solo l’eco lieve delle mie catene, delle mie pedalate

Voltarsi, cercare inseguitori immaginari inesistenti

forse solo l’ombra, il fardello della mia identità

Impossibile staccarla, impossibile andare in fuga.