Hegel (o Kant? Chiedi a Popper)

Ritirarsi a pensare nel deserto californiano di Joshua Tree.

Per cinque anni. Come un piano sovietico, quinquennale. Per essere precisi.

Come un lungometraggio, di Wim Wenders.

Come la fenomenologia dello Spirito, del Supremo.

In silenzio assoluto, totale: per fare in modo che la temporalità vinca sulla spazialità, perché la musica trovi casa e trionfi sulle parole.

Rarefatte, vuote, inutili. Come pensava, forse, lo stesso Lucio Battisti.

Scoprire, infine, se sia vero o meno poco importa, che la sceneggiatura di Wenders fu ultimata solo grazie all’intervento salvifico e alla guida saggia e ispirata – Paris (Paris, Texas) è una città molto diversa da come appare nelle immagini – di … Kit Carson.

Lasciarsi andare (dove?), senza corporeità, senza vincoli dimensionali: vagare con la soggettività nella bolla in cui domina l’Arte, quella pura, senza necessità di complicate spiegazioni, senza l’inganno delle fragili parole.

Anima e musica fuse insieme, una sola realtà, inscindibile.

Nella musica, volare; o illudersi di riuscirci. Sulle note mai imparate, librarsi nell’aere, liberi dalla forza soggiogante della gravità, notare esseri viventi e asperità terrestri, a testa in giù. Finché esistono, finché mi va, finché dura (lex!) gioco io.

Scoprire all’improvviso una differenza semplice ma sostanziale, scoprirla grazie ad Aldo Moro: quella tra sintesi e banalizzazione. La prima elimina il superfluo, ma la seconda distrugge il necessario e quello – aggiungo per un eccesso di puntiglio – non si recupera più, è perduto: per sempre.

Alla Giustizia servirebbe pietas cristiana, forse umanità; la stessa che sorreggeva e ispirava l’anarchico Fabrizio De André, come scrive con convinzione l’avvocato penalista Raffaele Caruso.

La Verità, quella storica, richiede soprattutto assunzione di responsabilità, non solo divagazioni colte, divertimento intellettuale, intrattenimento di alto livello.

Come sostiene il filosofo Luca Antonio Coppo, nella Gazzetta filosofica on line, vorrei, sempre più spesso in ultima analisi, diventare, essere Musica:

non per imparare meglio qualcosa, non per sperimentare qualcosa, ma per vivere, tutto;

con sentimento.

La solitudine, dei portieri e dei funamboli

Pagina – o paginetta, come quella di Didimo Chierico? – su Stradivari, Antonio.

Varie strade, strade varie, ma come avrebbe detto l’inimitabile Professor Alfio, Strativari, liutaio insuperabile e insuperato di Cremona, o forse cuoco sopraffino di una lasagna fenomenale, tra la via Emilia e il delta di Venere.

Entrambi, il liutaio e il cuoco, allievi misteriosi e straordinari di ottimi maestri; entrambi molto bravi – i ragazzi di bottega – poi, all’improvviso e anche in modo sorprendente, talenti senza pari. Alchimia alchimia, per arcana che tu sia, tu mi sembri una magia.

Soli, come portoni serrati – in assenza di ritmo – a doppia mandata, come portici deserti ove nessuno passeggia più conversando amabilmente, solitari come portieri d’albergo, durante desolati inverni urbani.

Caro Wim, sei un inguaribile, impagabile ottimista se davvero pensi che il simbolo della solitudine sia il portiere della squadra negli istanti che precedono la sfida contro un avversario sul dischetto del rigore. Per conferma, chiedi a Giuliano, finora l’unico – a livello di ipocrisia ufficiale – calciatore italiano sieropositivo della storia. Sesso droga rock and roll, nelle allegre combriccole dei vari Dieguitos manileste, alla fine della bisboccia però, nessuno tocchi – si avvicini, fisicamente, umanamente – all’appestato: non erano solo discolacci, bravi guaglioni, erano piccoli uomini, anzi: uomini piccoli, ominicchi. Forse. Un Giulio lasciato solo in più, che differenza potrebbe fare, rispetto alla fama e ai profitti garantiti dal sistema delle menzogne?

Sequenze frequenti di solitudini, più di undici, di sicuro: sequenze e frequenze, frequentazioni frequenti e frementi, menti in sequenza. Menti all’opera per decifrare una sequenza, quella di Fibonacci. Forse lui potrebbe spiegare come mai quegli strumenti a corda restino ad oggi i migliori mai creati da mano umana artigiana, perfetti nelle forme lignee, perfetti nella geometrica produzione di suono musicale, voce umana dell’armonia universale eterna. Dipingere ispirati dalle teorie del Fibonacci di cui sopra, nome di battaglia, anzi scienza, di Leonardo Pisano – sempre meglio un genio pisano alla porta che menti morte in casa – che a essere puntigliosi lasciò la successione – numerica e omonima, grande preziosa eredità – dopo essere stato il collettore e il fautore della sintesi tra la geometria euclidea e la scienza matematica di calcolo di origine islamica. Come minimo, meriterebbe una medaglia di traditore della patria europea, fosse vivo ai nostri mesti giorni.

Non confondere mai il Liber abbaci, con il libro degli abbracci – bello lo stesso, ma non della stessa materia trattiamo – o peggio con il romanesco Libro (di Sora Lella, forse) degli abbacchi. Silvia, rammenti ancora l’abaco elementare che ci insegnò a contare gli scandalosi numeri arabi?

Per espiare, per emendare, per perdonare le mie 11 solitudini personali (formazione completa, schierata con la tattica 3 – 4 – 3), vorrei imparare da un trattato enciclopedico l’arte del funambolismo e poi camminare sul filo teso tra una biblioteca civica poco frquentata e un campanile diroccato, dentro un cielo arancione e viola, insieme all’Uomo dell’aria e all’Uomo a colori; ognuno insieme agli altri, ognuno con il bagaglio comunitario delle proprie solitudini e dei propri limiti, in viaggio verso un apparente orrido cosmico oscuro, varco dimensionale per raggiungere sentieri siderali, lucidare stelle opache, salvare vecchi sogni, immaginarne e allevarne di nuovi.

Le mie lacrime nel vento del tramonto troveranno presto compagne di ventura:

in viaggio etereo, cureranno i mali del Mondo, cominciando dall’aridità delle anime, dalla desertificazione dei giardini sentimentali.

Cattivi Maestri

Pagina dei Maestri Cattivi. Oh, Cattivi Maestri…

Inabili all’insegnamento, certo, se fosse solo questo, sarebbe il minimo danno insindacabile: pessimi esempi, modelli da non imitare eppure modelli unici di comportamenti incivili belluini ferini; non gettiamo loro addosso croci colonne del tempio sentenze, le peggiori; chi mai davvero chi davvero mai potrebbe conoscere le sofferenze le mutilazioni i tormenti intimi di una persona altra da sé?

PPP da 45 anni immortale, su quali mari perigliosi navighi oggi, su quali campi giochi a pallone, in quali studi sei immerso per riemergere con nuove poesie nuovi articoli romanzi scandalosi lungometraggi? Sei sempre il Capitano dei Tuoi Corsari, scritti?

Corvo Nero steso su una stesa di asfalto grigio impersonale inumano assassino, però impermeabile al sangue dei vinti; Fratello pennuto dalla livrea da grande soirée ci rivedremo in Paradiso che non è un’invitante trattoria di campagna, ma un auspicio carico di speranza, perché Tu ci sarai senza tema e anche lì il Cielo sarà tua pertinenza, noi non sappiamo, incerti di tutto anche del destino finale della destinazione finale del finale delle Stagioni, chissà se e quanto lieto.

Benvenuti nell’Incertocene, cene incerte, a certe cene sarebbe stato meglio non partecipare mai; cenacoli incerti, ma restano capolavori, gli ultimi, ahinoi!

Si stava meglio quando si stava meglio, garantiscono con certificato di assoluta garanzia di falsità, doppiezza menzognera, alacre ipocrisia i soliti quattro saggi assisi su seggi paleo promozionali televisivi da quattro soldi – averceli – ma quando dove e come si stava meglio, non è un dato da sapere: il volgo ignobile ignorante innominabile si controlla docilMente in assenza totale anche solo di vaghe nozioni culturali; all’Indice alla ghigliottina al rogo la Settimana Enigmistica. Un rebus prece.

Forse, semplicemente si stava: al Mondo con naturalezza e tanti grilli nei prati per la testa e con i quali conversare da muri includenti, perché se separi pensa a chi cosa quanto lasci fuori. Martelli martellate martellamenti proibiti.

Si stava, la Felicità era quella.

Nel Nevada – a proposito, gli ET sono grandi elettori? – nella segretissima Area Pulcinella 51, davvero conservano gli Ufo e tutti i progetti più audaci incomprensibili inconfessabili delle forme aliene di civiltà? Se sono civiltà evolute, dubito siano giunte sino a noi, con bastimenti cosmici più o meno carichi di menzogne utopie perline colorate con i colori dell’Universo, da barattare con i tesori esclusivi prodotti dai bipedi terrestri.

I quali, si sa, grazie allo sviluppo indefesso della crescita economica Tatcher Reagan, si accontentano delle promesse cangianti mutanti mutevoli, millesimo di social dopo millesimo sui social, degli sparuti spauriti spiritati miliardari scostumati e dei nuovi mediocri cloni di defunti dittatori.

Ormai, siamo costretti a mettere all’asta on line la tessera di appartenenza alla razza – umana? – per attrarre dal Deep Space o Deep State, Verdi Mostriciattoli facoltosi e un po’ borlotti per convincerli a risanare rin-curare rinfoltire il pil della vecchia cara ammaccata Terra.

Quando tu soffrirai sotto la schiavitù autoprodotta rigorosamente a casa tua, quando soffocherai dietro una mascherina cieca di smog, quando invisibili virus assassini sguinzagliati dalla nostra passiva sciocchezza globale imperverseranno sul Pianeta, su dal Ciel – prima che ci cada sulla testa in modo definitivo ultimativo incontrovertibile – non piomberà Mazinger; anche i Super Robots hanno un Anime preferito, un sindacato di riferimento deferimento de saturazione, uno Statuto che garantisce loro il diritto alle vacanze e alla meritatissima pensione nei Paradisi Animati.

Così lontana così vicina non è la fine del mondo – tra l’altro, in diretta streaming (prime time!), anche se, da futuribile Remoto, le emozioni non saranno le stesse – ma solo la fine del nostro sguardo dei nostri sensi che la bonaccia d’agosto non placava nel Mondo Prima, quello analogico, il lungo mesto amaro addio al nostro senso dello spazio fisico geografico, quello che ci definiva come animali pensanti sociali dediti alla conoscenza; abbiamo abiurato senso di noi, delle parole, delle stelle come bussole;

oh come vorrei morire in un campo di girasoli, un campo lungo sconfinato di Sergio Leone e Wim Wenders. Accanto a me solo la bicicletta, lo yo yo ligneo, Tre camere a Manhattan.

Tanto ormai anche gli angeli non sorvolano più il giudice a Berlino, né il Texas; inutile attendere l’Oltre, oltre Po mantovano virgiliano, oltre la siepe il giardino e anche la Patagonia è diventata una terra dei fuochi, fatui.

Sommersi da fuck things non respiriamo più con narici mente polmoni, inondati da fake news, fake history, fake politics, fake scientists, fake gods, perfino fake photography: quando la presunta (pregunta?) sedicente democratizzazione distrugge il Sacro il Profano l’Arte, annientando il Tutto attraverso il braccio armato composto da miliardi di immagini, scattate da chiunque nello stesso momento, miliardi di rozze goffe orride bugie su un set planetario di III millennio, III longa manus, III teatrale senza copione in atto unico ultimo ulcerante.

I Cattivi Maestri diventavano commestibili in salsa piccante, divorabili sino all’ultimo minuscolo boccone, il problema era la fase digestiva: la prima nella bocca, poi, nel caso, solo i più dotati di appetiti talenti tigna, riuscivano a metabolizzarli ridurli metà in bolo, metà in lezioni di Vita.

Mister Hopper hai regalato lustro al lavoro dei guardoni (fini osservatori pensatori) dalle finestre, lustrate senza windows, hai anticipato il futuro con i tuoi personaggi, imbrigliati nell’attimo della genesi pittorica, nella goccia di ambra cristallizzata, nella sorte da monade disturbata perturbata perturbante, nell’isolamento collettivo; ti sei dimenticato di narrarci la trama completa, spiattellando come nei saloni delle parrucchiere anche l’epilogo sorprendente.

O forse la tua Immensità è proprio questa: donarci ancora e sempre la possibilità di completare la storia la narrazione la ventura dentro il quadro con la nostra immaginazione:

sperando che nel frattempo non sia svanita svampita svaporata anche la nostra ultima fonte di Energia pulita.

ACA TORO ACHAB ACATAMA

Pagina Bianca del Deserto: dipinto, il Deserto.

Pagina dei Funghi, Mescaleros fiero Popolo, mescalina Messalina, succulento peyote pane divino, Quixote vagabondo a caccia di mulini e mance.

Musica lì (viva i Lupi), musica lisergica, note quaternarie, memorandum su antichi cartacei quaderni a righe quadretti di pagine bianco assoluto.

Visioni (Alice Battiato, sempre presenti) astrali, cosmo logiche – cos’altro? – , cosmogoniche con incursioni dei Goonies, al bando ogni cosmo agonia.

Voli pindarici, non di palo in frasca, pensiero comunque allettante; voli balzi balzelloni anche senza macinini scoppiettanti tra le dimensioni, viaggi allucinanti nella psiche e nel corpo, umani se possibile, perché alla fine della fiera del nord est, siamo – e restiamolo, cribbio! – terraquei e terraquei trasmigreremo nel buio oltre tutte le siepi leopardiane gattopardesche lillipuziane.

Rotta mai interrotta verso Paris, Texas; compagni di avventure Nastassja&Wim, per carpire attraversare percepire meraviglie e segreti dei (degli Dei) Deserti che esistono, anche invisibili agli Occhi, mentre mondi diversi collidono collaudano collimano, contendendosi spazi alternativi alternati alternautici.

Avrete visitato le plazas de Toro in Andalusia, fifa e arena, tifando sempre per il sacro Toro e la per sua Vita.

Ci vorrebbe una Corrida, ma di cervelli.

Nei Deserti, le prove provate le tracce tracciate i messaggi de criptati dell’aTerraggio degli ET; quando con battello a vapore navigherete sulle pericolose anse di Miss IssippY, attenti alle Balene Bianche, emergono all’improvviso e il Capitano Achab spesso è austero brillante alticcio!

Mani lorde di petrolio e carbone senza amuchina universale né redenzione, Acatama sarà presto di nuovo un Giardino:

Eden Infanzia Meraviglie, optate da soli, meglio insieme, Tutte & Tutti ensemble, together, All in One.

Caro Tex, cari texiani, certo saprete che il vecchio adorabile incorreggibile reprobo, Kit Carson ora scrive sceneggiature per quella diavoleria magica chiamata cinema.

Come disse il grande peccatore dagli occhi di ghiaccio – non Clint, non Paul – non Sundance Kid con Butch Cassidy, ma Fortebraccio sul manubrio:

sogno di smettere di pedalare, sdraiarmi in mezzo ai girasoli e se proprio non fosse possibile evitarlo, chiudere gli occhi e oltrepassare la soglia terrestre così.

Ultimo viaggio onirico floreale, da quel vetusto armadio sgarrupato nel condominio di periferia, alle magnifiche profondità infinite praterie celesti dell’Universo cosmico.

Inno alla non conformità, Inno per gli Animali Diversi, stivali in pelle umana, Steel Guitar di Ry Cooder a tracolla, perché laggiù nell’Arizona – non era il Texas? – è sempre tempo di canti chimere Utopie.

Giù la testa!

Angelo (Giacomo!) Puccini dai baffi arricciati

Pagina Bianca, mini Pagina Bianca, fuori corso fuori concorso fuori contesto fuori dal coro: ritrosa riottosa ribelle, non le garba farsi inchiostrare sfogliare osservare, non le garba farsi vergare graffiare da penne d’oca urogallo, penne nere degli Alpini, con canto montano incorporato.

Pagina che pretende di restare intonsa.

Intonsa e nivea (carta vellutata), in centri urbani sempre caldi come stufe infuocate, sempre olenti, male, di miasmi intollerabili.

Angeli senza identità sessuale (ché quelli ariani inquietano, grandi e piccini), mai ricevuti invitati ammessi alla Corte di Bisanzio, volano rapidi sapidi senza mulinare pedivelle leonardesche, nel cielo sopra Berlino, senza muri; in tutti i cieli possibili e immaginari.

Angeli nel fango, dalla faccia sporca (consequenziale causa – effetto), con ai piedi angelici scarpe da tip tap, perché anche fra le Nuvole non si sa mai; qui ogni tanto arrivano gli Angeli?

Angeli suonano il rock il blues perfino la pizzica, cercano sorrisi, umani se possibile, talvolta braccati tra broccati tendaggi pesanti che impediscono il decollo, braccati in quanto liberi trasvolatori trasognati, liberi pensatori, liberi di librare pensieri, candidi puri lucenti, senza ombre né… retropensieri.

Nuovi o antichi Angeli? Pioggia di Angeli, a catinelle, Angeli come se piovesse.

La Città degli Angeli sarà presto edificata, momento spiritualmente edificante per l’intera Umanità che celebrerà l’evento l’avvento con un coro globale di spirituals nel Vento: non solo polvere e risposte, quindi.

Nel frattempo, Angeli metropolitani vagano senza radar senza stelle senza rotta: mio caro nostro Angelo senza luce senza pace, magari non custode, solo portiere di notte, sempre presente come questi Fantasmi, se fossi ontologicamente tuo simile, sarei certo – forse chissà – un Angelo della nebbia.

Scontro finale sconto finale finale senza sconti: rifiutare la Scrittura, eppure annusarla guardingo, come un bravo Cane munito immusonito di olfatto indagatore, per fiutare rilevare rivelare potenziali insidie trappole agguati bocconi avvelenati.

Scontro, auto scontro nel Parco della Luna, duello titanico molto lillipuziano singolar tenzone sotto il tendone di un micro circo moderno, sfidanti in campo sulla pista, sul materasso ortopedico:

la Scrittura e me.

Scrittura, non sarai tortura, goccia cinese, fiume carsico – magari sì – ma levi lavi sollevi maschere corazze strati superflui di epidermide morta.

Tebaldi – Del Monaco si danno (alle) Arie:

nessun dorma, vissi d’arte, ma infine lucevan le Stelle.