Aganis o Strie: Streghe!

Vedere le Streghe!

Seguire il canto delle Sirene o quello delle Streghe? Dov’è l’inghippo il tranello la buggeratura? E se Sirene e Streghe fossero in combutta o parenti o affiliate o addirittura sempre le stesse Incantatrici, con nomi e fogge diversi, per meglio confondere le ingenue vittime?

Vorrei seguire il suono del cacerolazo – pentole pentoloni come tamburi, come in Argentina durante le vibranti proteste contro il fondo senza fondo monetario globale – delle Streghe: nella mia percezione, suono molto più armonioso, armonico, affidabile di certi flauti flautini, fraudolenti e ‘flautolenti’, dal castello del potere.

Aggregarmi con fiducia all’esercito delle Streghe, ché l’auto proclamato esercito del bene appare inquietante e senza umanità; meglio un esercito di non morti, molto più empatici e tolleranti, di queste masnade di non vivi, al servizio mercenario dei soliti sospetti.

Ci vorrebbe un’inchiesta di Maigret/Gino Cervi, in alternativa di Arturo Jelling (come Arturo Conan Doyle) o Duca Lamberti: per fortuna la sabbia non rammenta i traditori di tutti, autori di infamie e crimini, contro l’Umanità, nel suo complesso.

L’esercito dei buoni spaventa più delle Streghe, obtorto collo, ma anche torto muro, di Roma, per forza uno passa a parteggiare campanilisticamente per le Signore della Magia, per lo Tsunami di Hokusai e, come ultima spiaggia, con la sabbia del precedente capoverso, per gli Alieni, quelli molto cattivi, cattivissimi.

Attento, Astron, non affacciarti alla bocca del vulcano, non sporgerti sull’abisso, non cercare il Ragno nella crepa del muro, potresti essere costretto a rimirare il lato oscuro, non solo dell’Universo, ma il tuo personale; meglio un sabba di Strege, meglio un Saba, Umberto, meglio un sabato del villaggio, gallico. Cerchiamo pianeti replicanti della Terra, ci andrebbe bene perfino Mercurio l’incandescente, ma le foto dallo spazio profondo – selfie cosmici? comici, non tanto – ci mostrano catastrofi a catena, buchi neri, oscuri cuori di tenebra voracissimi che sgretolano con folle rapidità milioni di stelle e interi mondi.

Grandi come Lebowski o Valerosi, cioè con valori, come Borja: per amore, solo per amore, di una Donna di una Città di un’Idea, scendere dal dorato irreale palco dei professionisti e accettare di calcare campi dilettantistici; essere come Valero, vivere da uomini, non lasciarsi seppellire nel campo degli zecchini: non esiste e qualora esistesse sarebbero falsi, nemmeno di cioccolato fondente, gli zecchini.

Quando sarà, unico dato certo, tornare cenere e lasciandosi cullare dal vento che spira sempre sul e dal Castello di Odino, planare dolcemente in campo, il Campo delle Streghe. Non voglio essere tumulato nel campo dei luoghi comuni, anche perché come analizza con arguzia lo storico Carlo Greppi ‘anche non pensare per luoghi comuni’, si è trasformato in un affollato luogo comune; metodo socratico e navigare verso nuovi oceani, senza fobie, consci di non sapere, ansiosi assetati affamati di nuove conoscenze che incredibile visu possiamo partorire, anche da noi stessi; una volta liberati dagli ormeggi falsi che ci impediscono di prendere il largo.

Maledette Streghe, nere o rosse; lasciapassare obbligatorio per dimostrare che non potete più ammaliare, in caso contrario recluse nell’antro e sequestro di tutte le scope di saggina o a reazione. Vietato ogni consesso, sesso compreso.

Lasciarsi cullare inebetire ipnotizzare illuminare dal canto di lis Aganis – grazie, Claudio Aita – delle Strie, delle conturbanti Streghe: anche a costo di arrostire insieme a loro sul patibolo, come quelle di Salem o senza sconfinare troppo come quelle nostrane sui troppi roghi sempre pronti anche alle nostre latitudini, preparati con cura, estrema, dai bravi cittadini rispettosi delle regole, smemorati della legge morale.

Le Streghe come il Gran Nolano, come Giordano Bruno, perché chi ragiona in autonomia dice, sempre, anche con la mordacchia, anche tra le fiamme, l’amica Verità.

A differenza di chi si confessa.

Sweet Dreams, Annie

Pagina Bianca della nuova società del rischio.

Risiko? No grazie, giochino lemma termine ormai svalutato, causa improprio uso mediatico, di solito ad minchiam, con tante scuse al sacro totem della Fertilità.

Società dei magnaccioni, società dei magnaccia, società del rischio – Rischiatutto, signora Longari – o società a rischio per decesso dei neuroni? Mai tanti neuroni caduti al fronte dal lontano… non saprei indicare una data certa, incerta, casuale, affidiamoci all’aglioritmo, forse almeno potrà scongiurare l’invasione dei vampiri, assetati di materia grigia, già schierati alle porte delle città; auspicando che non sia qualche borgomastro in crisi d’astinenza da sondaggi positivi a consegnare loro le chiavi, in pompa magna, senza illusioni allusioni vietate.

Società liquida – talvolta, gassosa – se tutto e tutti scorrono, soprattutto via, anche questa beata società, morbosa ammorbante zeppa di morbi – vacanze di Natale 2020 all’insegna del ‘morbi e fuggi’ – (fondata e affondata a mia insaputa e senza il mio nome) presto scivolerà nelle tubature dei lavelli, sarà sgorgata da qualche nerboruto mastro mostro lindo, Lindo Ferretti però, e finirà nei 7 Mari, inquinandoli ancora di più.

Sweet Dreams, mia cara diva Annie; l’Euritmia è una filosofia, una scienza, un’arte, tutto questo insieme, inscindibilMente? Società dei 5 sensi? Magari. Ne cerchiamo una iper super sensoriale o extrasensoriale perché non sappiamo vivere in questa? I sogni ci usano per loro diletto o nel letto notturno li maltrattiamo? Chi sono io, marinaio e gentiluomo di vaga fortuna e soprattutto d’acqua dolce, per essere in disaccordo con la materia di cui sono fatti i sogni?

Tutti sembrano alla ricerca di qualcosa, ma servirebbe Maigret per capire cosa, tra un calvados e una nuvola di pensieri dalla sua pipa.

Il proverbiale scemo del villaggio globale invece di raccontare fanfaronate agli amichetti all’osteria – forse era già chiusa per coprifuoco – come eruzione vulcanica, incontenibile, ha sparato la sua opinione: in nome della superiorità dell’economia, apriamo tutto, se qualcuno morirà, pazienza. Il famigerato mercato, quello che non si auto regola mai; il fenomeno in questione per legge del contrabbasso dovrebbe essere costretto a emigrare in Uganda, per guardare negli occhi i bambini e i genitori di quel paese, per constatare di persona gli effetti del suo mercato, al netto del coronavirus.

Come direbbero nell’Urbe: tanti cari auguri e se entro il 25 non ci vedremo più, speriamo sia per colpa tua.

I balconi e le terrazze italici avevano sentenziato, tra un canto e una preghiera – a proposito, anche San Gennaro s’è stufato e senza ristoro non concede più miracoli – che ne saremmo usciti migliori;

certo, non sarebbe stata un’impresa fatica conquista erculea, al momento, in bilico tra un sereno Natale, blindato e una minaccia da terzo tsunami virale, angosciati interroghiamo Margherita, o anche volentieri il Suo Maestro, Cocciante:

ne usciremo?

Magari per tornare a colorare i muri, raccogliere nuovi fiori.