Pagina dell’Alzheimer, ogni anno una festa per questa patologia neurodegenerativa.
Non in senso stretto, festa intesa come celebrazione per sensibilizzare, per evitare che la società – come spesso avviene per le realtà e addirittura per le persone poco gradite – dimentichi e cancelli la malattia della dimenticanza.
Qualcuno, colto preparato sensibile – ha scritto che l’uomo più che un animale sociale è un animal obliviscens, un animale che oblia: una vita di sacrifici fatiche studi per apprendere e poi magari in pochi mesi, un colpo di spugna e dentro di noi tutto torna, in modo crudele imprevisto inaccettabile, tabula rasa. Un palinsesto su cui niente e nessuno potrà più vergare segno o parola.
Talvolta eliminare rimembranze è una necessità, una forma di salvezza attraverso il sale dell’oblio: sale che disinfetta le ferite e oblio per distruggere quanto ci ha fatto male, fino a spingerci quasi alla pazzia o al suicidio. Ma il sale non solo cauterizza, può servire – delenda Carthago – anche a rendere sterile un terreno sul quale sono rimaste solo macerie.
Percorrere una strada che non esiste, eppure vera concreta di asfalto grigio topo, come scrivevamo alle elementari negli anni 70. Una strada nella quale mai ci eravamo imbattuti in precedenza o un portentoso parto della nostra immaginazione? Le vie della mente sono infinite e non hanno bisogno di asfalto e cemento.
Qualcuno sostiene – non Pereira – che la malattia della dimenticanza causi ai volti l’espressione da Lion’s face: magari. C’è chi cerca gli occhi della Tigre, ma se li incontra, prega che sia impagliata e trema lo stesso come foglia travolta dal vento degli eventi. Sarebbe bello anche perdendo l’hard disk della materia grigia, conservare un secondo stomaco – a Napoli lo ribattezzerebbero, come il caffé, stomaco sospeso – quello sociale; come le formiche, una sacca di cibo di riserva da mettere a disposizione di chi sta male e per vari motivi non riesce a procacciarselo. Emulare il grande popolo delle formiche: mettere a disposizione della comunità, del bene comune, i propri talenti e le proprie competenze, come i giovani della parrocchia veneziana di Santa Maria dell’Orto che dopo tanto impegno, passione, studio, lavoro recuperano l’archivio storico della chiesa e la pergamena preziosa con l’atto di morte di Jacopo Robusti (o Comin, errore, scherzo di memoria?), forse più noto come Tintoretto pintor.
Perdersi tra i sentieri della vita, per averne cercate e vissute troppe (vite); smarrire la memoria per avere sognato troppo, senza mai tradirne e/o abbandonarne uno (sogni); perdere la bisaccia onirica, senza perdere se stessi.
Immergersi nel fiume dell’oblio per emergere uomini nuovi; poi essere solo nuovi uomini e cercare disperatamente il fiume gemello, quello del buon ricordo, ove risalire la corrente come leggendari salmoni o annegare, lasciando però al pianeta dopo (futuro?), almeno un frammento positivo, una scheggia degna di rimembranza: rimembranza azzurra, dove immerse le belle membra colei che a ognuno pare Donna.
Per quando l’Umanità sarà finalmente maggiorenne, adulta, saggia – come una filosofa presocratica che sapeva quanto la scrittura fosse uno strumento diabolico e meraviglioso – potremmo erigere una Fletcher Memorial Home, quella immaginata da Roger Waters: ove rinchiudere tutti i mali del mondo, senza connessione con l’universo o con i metaversi, applicando finalmente la soluzione finale, senza soluzione di continuità, e in questo caso, solo in questo, conferire pieni poteri all’Oblio. Se vuoi uscire dal labirinto, spalanca le porte della percezione e segui il suono della chitarra di David Gilmour.
A patto che la festa dell’oblio non diventi il festival della memoria corta:
nel paese che cancella minuto dopo minuto quanto avviene, regno incantato della replica delle repliche.