Tossicomane (sete, di giustizia)

Viaggiatori.

Per diletto, curiosità, inguaribile irrequietezza. Gente che si sollazza nella parte fortunata del Pianeta.

Per necessità, semplicemente Vita. Gli altri da noi, i meschini.

Tutto qui, non ci sono altre ragioni: Vita.

Si potrebbe finire così. Senza necessità di dilungarsi in spiegazioni, dotti ragionamenti, cause. Eppure non basta, mai.

L’eccidio di Cutro non è una catastrofe, non solo: troppo comodo, troppo facile. Quel sangue, soprattutto dei Bambini, ricade sul mondo settentrionale occidentale. Per forma mentis, per i valori che si illude ispirino la propria idea di società; per i governanti, primi responsabili della strage, per ruolo, ma non in via esclusiva. Perché se è vero che i nostri dipendenti hanno causato il disastro (all’inizio, non intervenendo, poi trasformando un’operazione di Search and Rescue in una operazione di polizia, infine – davvero odioso e vomitevole – giocando con vite umane allo scaricabarile e all’invenzione della menzogna più credibile), è vero anche che, magari non un minuto dopo, ma il giorno successivo, quando ormai tutti i dettagli della vicenda erano sul tavolo, non abbiamo preteso le loro dimissioni irrevocabili e il loro immediato ritiro dalla politica.

Fine della storia.

Guardia costiera, Frontex, Guardia di Finanza, Polizia, Carabinieri, Ministero dell’interno, governo; nessuno è esente, nessuno tenti, mai più, di credersi fuori o intoccabile da tutto quanto riguarda la Vita delle Persone; oltre l’etnia, il censo, le opinioni. In testa, ribadiamolo, il Paese – o la nazione, come è in voga adesso – al completo.

Non esiste libertà di scelta, non esiste autodeterminazione, non esiste libertà di agire per il proprio paese natale (rispondo così a ‘figure istituzionali’, capaci solo di ammantarsi di parole e citazioni dotte casuali) se sei costretto a fuggire – costretto! pagando in contanti e sofferenze! – verso porzioni di Pianeta meno abiette. Potrei scrivere cento, mille, centomila frasi per illustrarlo ai benpensanti, perché milioni di persone cercano disperatamente di allontanarsi in fretta da casa propria, ma sarebbe inutile; chi vuole capire, s’informi. Le possibilità, noi occidentali, le abbiamo: numerose e variegate.

Talvolta, debite proporzioni e differenze considerate, mi sembra di essere come il protagonista del romanzo JunkyConfessioni di un tossicodipendente irredento, di William S. Burroughs, ripubblicato dai tipi di Adelphi, settanta anni dopo la prima apparizione negli Usa. Perché sono disperatamente, sempiternamente alla ricerca costante della Giustizia – o, almeno, di una giustizia che sia valida per ere, oltre gli uomini fallaci – assetato perennemente di principi etici ‘giusti’, soprattutto ‘buoni’, in grado di sostenere le società umane, il loro disfacimento con lo scorrere (anche virtuale, se vogliamo) della dimensione che, per praticità, chiamiamo Tempo.

Un amico del protagonista, dopo averlo visto iniettarsi una dose, gli chiede repentinamente: “Piaciuto?” (a proposito, la nuova traduzione è affidata a Andrew Tanzi, ndr),

Se Dio ha creato qualcosa di meglio, se l’è tenuto per sé“.

In fondo, mi piacerebbe infinitamente poter dire lo stesso, a proposito della Giustizia;

questa volta con l’inziale maiuscola, senza infingimenti di sorta.

Meazza

Pagina di Peppin fu Meazza G., un calciatore o un uomo? Una figurina, un balilla, un Italiano da raccontare? Pagina di un sogno con le fattezze del centravanti.

Pagina degli uomini sportivi, belli come divi di Hollywood, attori a loro modo, eroi delle domeniche popolari, perché un popolo, in catene o liberato (schiavo di altre, nuove, modernissime invisibili catene) ha sempre bisogno di eroi e dei; da acclamare e poi tradire, distruggere, annichilire con violenza, nella polvere dell’oblio o in quella di cruenti fuochi ormai spenti.

Chiedi chi era Meazza e non troverai risposte. Un uomo elegante, amante della vita e delle passioni, raffinato ballerino di tango e impareggiabile seduttore, giocatore di pallone e soprattutto d’azzardo, perché i dribbling più difficili e più spettacolari sono sempre quelli al proprio destino, alla propria vita, perfino a Dio: se ti credi fenomeno paranormale, prova a uccellare il Creatore con un tunnel o con un pallonetto!

Pagina del pallone, sgonfio, lacerato, abbandonato. Sfera senz’anima, predata della gioia, dispersa nel grigiore di un tetro cortile d’asfalto; privato il cortile, privato il pallone di imprevedibili rimbalzi, orbato da traiettorie magiche, incapace ormai di scovare spazi insondabili dalla percezione umana, là dove non esistono spazi, né rotte plausibili. Giardino desolato e brullo, sfera desolata, senza moto naturale, nostalgica perfino di quei calci ricevuti, nostalgica di quelle voci che incitano alla vita e al gioco, si inseguono e seguono partiture invisibili, forse inesistenti, forse metafisiche, voci che sono cassa di risonanza e eco per altre, infinite voci. Tutto immobile, tutto spento. Il pallone che non rotola, il cortile senza più i Bambini, nova suprema Lex.

Ho sognato, forse deliravo, i piloni dello Stadio Giuseppe Meazza, in San Siro, a Mediolanum.

Sindrome di Stendahl davanti alla cattedrale laica del balun, come la prima volta che la vidi e la visitai, un senso di spaesamento al cospetto del gigante, ebbrezza, timore reverenziale e ammirazione per un luogo che dai racconti dei miei familiari e dai filmati d’epoca, nella mia percezione e nella mia immaginazione si era tramutato in un castello fiabesco, in un teatro leggendario di gesta pedatorie, da tramandare alle future generazioni, profane e ree, non per colpa o dolo, ma per crudeltà d’anagrafe, di non aver vissuto le epoche epiche.

Stadio vuoto, senza squadre schierate sul prato, né ululanti masse di tifosi; partigiani e campanili, massa e potere, massa è potere (?), potere alla massa, o potere carnefice delle masse?

Stadio Meazza, anche Tu appartieni ormai al Mondo Prima, relegato davvero in un universo mitologico, non più reale, non più disponibile, non recuperabile neppure attraverso l’invasione degli ultrafilmati, caricati carichi d’immagini a bizzeffe su youtube; nel Mondo Prima del prima, senza rete né imbarcazione né Nautilus, navigavi e vogavi su oceani di fantasia: le enciclopedie, tutti per una Utet per tutti, per i rari fortunati possessori o nelle rare occasioni di consultazione, fornivano indizi, spunti; il resto, il mancante, i dettagli più interessanti e ghiotti, le coordinate, omissioni opere parole missioni, venivano elaborati e aggiunti copiosamente lavorando d’immaginazione. Immaginando di lavorare.

Meazza Titanic, condannato a restare inabissato per sempre nell’oscura fossa delle Marianne – non floride campagnole, né ardite rivoluzionarie – ma ostili dee delle profondità, regine dei recessi inviolabili, del Mondo e della Memoria; condannato, non sappiamo ancora se si tratti di una maledizione o dell’ultima occasione per l’Umanità, a scivolare con lentezza inesorabile sempre più giù, verso l’epicentro e l’origine stessa della Tenebra.

E quel cortile intanto seguita a restare un deserto d’asfalto con un mesto pallone squarciato…