Estremi, non di versamento

Cercare rifugio, riparo: nella Casa, in una casa, anche quella del Fauno, andrebbe bene.

Diaframma, intercapedine tra noi e la propaganda, perché – credo che l’esperienza sia condivisa ormai – tutto è diventato propaganda.

Decidere di diventare interpreti, delle persone in senso lato e ampio, più che delle loro parole: parole spesso depotenziate di senso, parole sensibili al dolore; parole che possono – potrebbero, potevano – raccontare e costruire mondi, o mondi ormai edificati solo di parole, vuote, e immagini ridondanti?

Archetipo, sarà un tipo d’arco? Sarebbe interessante approfondire la materia, non solo teorica, ma concreta, visto che a breve saremo di nuovo chiamati a dedicarci alla caccia per procacciare sostentamenti, per noi e per i nostri prossimi. In ogni caso, archetipo sarà lei, compresa tutta la sua tribù.

Sarebbe sempre doveroso e opportuno non lasciarsi sfuggire, tenere sott’occhio i paradigmi: verbali in primis, poi tutti gli altri; vite esemplari, modelli esistenziali, poco alla moda, pochissimo in voga.

Prossimi nel senso di vicini e prossimi, di un qualche futuro, nella versione, visione ottimistica della faccenda; eppure, come scrive in modo esaustivo Maurizio Maggiani, i monumenti sono lì, non solo a celebrare presunte grandi imprese, presunti grandi personaggi, ma quale monito molto solido delle nefandezze e degli errori madornali, da non replicare. Invece, chissà come, spunta sempre un però, un accidente, un imprevisto, una piega e anche una piaga, della storia comune del mondo. E il monito, monolitico o meno che sia, cade nella polvere dell’oblio, nelle onde dei furori insensati.

Forse per questo, ne stiamo abbattendo e/o oscurando a go go, perché sono ingombranti, fastidiosi, ci costringono – anche a nostra insaputa, nell’inconscio – a fare i conti con noi stessi, con le nostre ataviche responsabilità, con le nostre coscienze stratificate, incrostate: non risolveremo i dilemmi della nostra era, non scioglieremo i nodi gordiani, con sciocche proibizioni di romanzi immortali o eliminando dai testi di Storia i protagonisti imbarazzanti che appartengono ai nostri stessi popoli d’origine.

Qualcuno sosteneva con la ragione e con le spalle che la letteratura, o si occupa del fantastico, del magico, o semplicemente, non è – oppure si tramuta in altro genere; soprattutto oggi, con una primavera anomala a tinte fosche anche per le polveri e le ceneri delle guerre in corso, sono tentato di accogliere e fare mia questa importante, autorevole lezione; non fuga dalla realtà, ma tentativo di leggere, individuare tra gli atomi, dimensioni diagonali, alternative, rigeneranti.

Non sarà una risata a sommergerci, ma la nostra inarrestabile idiozia: censurare Gagarin, l’Albero di Turgenev – perché non radere al suolo il Giardino, quello dei Ciliegi? – perfino la povera cagnetta Laika e financo Oleg Blokin, solido centravanti sovietico, non ci restituirà il bene dell’intelletto, né quello comune. Quando abbiamo smesso non solo di capire il Mondo, ma anche di coltivare le regole – ora, qui e ora – della convivenza civile?

Michele, cantore della Costituzione, lo hai declamato e ripetuto spesso e temo non volentieri: se in una presunta repubblica democratica, si attuano forme coercitive delle opinioni individuali, se dai cittadini si pretendono cieca obbedienza e giuramenti coram populo di fedeltà alla patria, quel paese non si è già geneticamente mutato nel regime dittatoriale che diceva di contrastare, di detestare, di non volere più essere?

Vorrei essere allievo, anche pagante – appagato di sicuro – garzone di bottega dei Magnifici Sette del ’32 (1900): sembra un capolavoro di Kurosawa, per restare in ambiente cinematografico, invece si tratta di 7 registi nati nello stesso anno magico: Truffaut, Forman, Oshima, Tarkovskij, Malle, Reitz e Kluge, artisti convinti che attraverso grandi film sia possibile cambiare, in meglio in bella copia, il Mondo. Un po’ ci sono riusciti, perché gli spettatori dei loro lungometraggi di sicuro sono diventati persone più profonde e immaginifiche, ma se non hai mai partecipato a un cineforum pomeridiano del Cinema Don Bosco non sai cosa ti sei perso.

Lottare per scrivere questo Mondo Dopo in bella copia, gradita calligrafia: per ottenere il risultato saremo costretti a diventare tutti estremisti, estremisti scuola di Fratello Martin Luther King, “perché se una struttura sociale produce iniquità e povertà, deve essere riorganizzata, da cima a fondo“.

Estremisti per la giustizia, estremisti per l’uguaglianza, estremisti – oggi più che mai – per la pace.

Fratello Martin

Pagina Bianca, Pagina dello stormo di Rondini che contro il cielo bianco di nuvole o contro la pagina senza parole si stagliano perfette nella loro armonia circolare, ala curva, curvatura del nostro sistema solare.

Pagina del C’era una volta, depurata dalle nostalgie sovrastrutturali. Fiabe, favole, racconti, cicli narrativi, canzoni celebrative di gesta eroiche e amorose, romanzi di ogni genere e tipo, pupari artisti di strada saltimbanchi giullari di corte (unici a permettersi il lusso sfacciato della Verità, in quanto bislacchi per vocazione e corredo genetico), cantastorie fattucchieri imbroglioni da osteria e da contrada, improvvidi improvvisatori caratteristi da commedia grottesca certo, ma sempre dell’Arte; filtrati da un setaccio magico per separare pietre preziose da pietre senza nobiltà, come esistesse poi davvero anche solo un granello di Terra privo di valore.

Quelle Rondini, nel Mondo Prima, eravamo noi; capaci di solcare il Cielo in solitaria per giocare con il Vento, per tingerci d’oro (ancora) sfiorando agili albe infinite, capaci di rinnegare la nostra quota congenita di egoismo e narcisismo, per volare in formazione compatta, pattuglia alata depositaria dei reconditi codici del Cosmo, rotte incomprensibili mai casuali, traiettorie velocissime e imprevedibili, disegnate da secoli di istinto pratica immaginazione.

Il Popolo delle Rondini è migrato, la nostalgia in questo caso non è fatuo rimpianto, ma imperativo categorico, richiesta di soccorso per ogni tessera perduta del mosaico della Bellezza.

Eravamo noi – noi? – quando ancora sapevamo rinunciare a declinare tutto in prima persona, sapevamo osservare orizzonti nuovi attraverso lo sguardo degli altri, sapevamo camminare sui sentieri sconosciuti indossando calzature aliene, eravamo ancora convinti che formare comunità dialogiche, ma cooperative, fosse la più importante preziosa inestimabile dote peculiare di quegli incomprensibili bipedi che si sono auto definiti uomini.

Le Rondini autentiche sono tornate, dono divino, dono superbo e supremo.

Noi? Non sappiamo, non vogliamo più raccontare, raccontarci senza veli nella locanda dei sette peccati.

Rondini bianche con impeccabile livrea nera. I fucili non hanno mai smesso di sparare contro le anime, colpevoli di essere bianche, senza colore, summa tavolozza caleidoscopio di tutti i Colori intergalattici. Abbiamo ucciso le Rondini, trucidato le Anime.

Ci stiamo velocemente cancellando anche dalla Pagina Bianca, non siamo più nemmeno piccoli sgorbi d’inchiostro sulla superficie cartacea, solo monadi moleste che hanno obliato il significato, il senso della momentanea presenza e del passaggio sul globo di fango.

La finestra del mio studio è spalancata e si affaccia su un piccolo spicchio di Mondo (Marco Polo vorresti prendermi a bordo per un nuovo Milione?), eppure capto più Vita in quel modesto rettangolo dell’Universo che nelle lunghe silenziose meste fila in attesa all’esterno e nei parcheggi di aridi supermercati. Tra museruole tossiche guanti in plastica letale carrelli arrugginiti che infetteranno sempre più noi stessi e la nostra Casa Comune.

Fratello Martin, sacerdote, monarca non per sedicente, falso diritto divino, ma per pensieri parole opere terrestri, terribilmente concrete, così concrete da inoculare panico e terrore tra i potenti: anche Tu, Re delle Rondini nere, per tutti coloro che alzano testa e sguardo verso il Sole, abbraccia con il Tuo Spirito l’Umanità desolata e dispersa , insegnaci ex novo a volare, partendo dalla Prima Pietra, balbettando dalla Prima Pagina di una realtà incomprensibile.

Insieme.