Afasia

Distopia, distopia, per sinistra che tu sia, tu mi sembri una profezia.

Non riusciamo a distinguere quanto accade davanti al nostro naso, o, per i più fortunati, dentro gli orti e i giardini di casa – condominiali vanno bene lo stesso, qui non si discrimina – ci rivolgiamo quindi con immutate fiducia e stima a vari maghi, fattucchieri, imbonitori, però 4.0, tutti autocertificati da lauree, master, anni di apprendistato presso le più accreditate (famigerate?) istituzioni e/o compagnie sovranazionali. Tanto ormai sono un’entità uniforme, senza soluzione di continuità, senza soluzioni per i Popoli.

L’ambientalismo, o il suo simulacro, contemporaneo – secondo voi, sarebbe più opportuno definirlo post moderno? post mortem dell’ambientalismo, magari macabro, ma più veritiero – è un’incomprensibile accozzaglia di bestialità non da bestiario medievale, ma da rappresentanti delle elites, ansiosi di ridipingersi di verde le oscene facciate: dall’ottuagenario caimano olonese che si è arricchito spianando la Natura ovunque e che promette un milione di nuovi alberi ogni anno (ossessionato dal Milione, anch’io, quello di Marco Polo però, scritto da Rustichello il Pisano), alla sedicente fan di Tolkien, che si perde in un vaniloquio su ipotetiche smart cities (bisognerebbe partire, magari, da smart cittadini in grado di votare smart politici o politici smart) non immaginando che perfino i popoli di Nani e Orchi la rincorrerebbero per non aver promesso la Città ideale del Leon Battista o quella del Sole di Campanella; prima che la campanella della scuola trilli tre volte, tu dovrai garantire adeguamento ecologico strutturale degli edifici scolastici. Per chiudere, mestamente, con l’ultracinquantenne adolescente post litteram, illuso da certa stampa radical kitsch di essere un guru – di cosa, di grazia, non è dato conoscere – che organizza faraonici concerti balneari, forieri di profitti economici e soprattutto di stravolgimenti di ecosistemi fragilissimi; quando Cleopatra si spostava a bordo di piramidi e sfingi causava minore danno al meschino ambiente turlupinato.

Ci vorrebbe un’apoteosi, ma di idee; un iperuranio permanente, in Terra. Mi è balzata in capa una apoidea meravigliosa; apo, prefisso greco che indica separazione, distacco, perdita o sua variante successiva che denota vicinanza? Converrete anche voi che la distinzione sarà puntigliosa forse, ma fondamentale. Apoidea, per quanto bizzarro possa apparire, è anche la super famiglia – non è uno scherzo, è cultura, scientifica – cui appartiene la tribù degli Apini, genere Apis, specie (senza discriminazione, ma solo con discriminante) Apis mellifera, non melliflua. Lo scriba virtuale è un cialtrone, ma presterete fede e credito a Linneo; quando saremo riusciti a estinguere anche l’ultima ape, potremo cominciare da soli a intonarci un de profundis.

Tra afa e afasia, correrà una certa differenza: anche staticaMente dovremmo essere in grado di notare, formulare, classificare le differenze – siamo ossessionati dalle classificazione, dalle etichette con le quali incasellare tutto e tutti, per sfuggire al redde rationem con noi stessi (in eoni spazio tempo alternativi, con meno conoscenze scientifiche tecnologiche, sprecavamo meno vita nelle masturbazioni mentali) – vero amico Kakuen? Tu che hai capito quanto sia superiore una carezza, un’opera d’arte e/o dell’ingegno, un sorriso rispetto alla agognata, celebrata, inutile perfezione, Tu che sai parlare con le Persone, alle Persone e con amorevole pazienza dimostri che la ricchezza è coltivare la nostra Umanità. Mentre celebriamo l’importanza e la bellezza dei Fari marittimi, Tu amico mio, sei diventato un Uomo faro: illumini tra le tenebre, suggerisci percorsi nel cosmo, narrando cronache di mondi possibili.

Così non esiste paura della morte, non esiste necessità di sconfiggere la morte (altro volto di ogni nascita e/o trasformazione), perfino i buchi neri nel cosmo assurgono a simboli del cambiamento. Come predica nel vento Vandana Shiva, dovremmo passare in fretta dalle logiche del profitto predatorio, a quelle della cura.

Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma, in cicli perenni:

la morte (forse) non esiste.

Fai della Zucca la tua meta

Pagina delle Zucche, per restare sempre sul pezzo.

Zucche, prelibato frutto di stagione, sinonimo e contrario di scatole craniche, con polpa grigia invece che arancione, più o meno presente, più o meno gustosa, più o meno polposa. Talvolta nelle scatole craniche puoi ritrovare solo altre scatole, vuote, matrioske mentali, senza sorpresa.

Messer Zuccavuotadiborgo vorrebbe rifilarci o infilarci dentro il suo mondo vuoto artificiale; dopo le facce senza libri, dopo autobiografie vuote spurie di protagonisti, l’involuzione finale: tutti prigionieri del grande nulla, ove ogni presenza è virtuale, ove tutto quanto appare è solo entità fantasmatica – anzi, magari – caro Marco, una sola rossa foglia d’acero, con le sue nervature meravigliose, pura arte naturale, fa scomparire i tuoi micro ambienti di bit, binari o quantistici poco importa.

Rassegnati, hai perso la sfida, prima della partenza.

Anche perché da Metaverso, a Mataverso, spesso è un attimo.

Raggiungere poi la Meta non è da tutti, non è per tutti: mille metri di altezza in Abruzzo, la ricompensa il panorama tutte le delizie locali l’ospitalità calda e amichevole dei circa 300 abitanti; poi si sa caro Burt quella sporca ultima Meta può costare lacrime e sangue; anche il cantautore ringrazia per l’inattesa campagna promozionale mondiale, in questo caso fortunato a costo zero, per una volta davvero.

Comunque, caro Marco, tu che non so quanto degnamente porti lo stesso nome del Polo che spesso andava in Katai, dovresti rammentare quanto cantava poeticamente Frankie, un po’ fissato nella volontà di recarsi a Hollywood Land: make Love your Goal, per i meno abituati – non per i meno abbienti, Loro lo sanno da sempre – fai dell’Amore la tua Meta.

La differenza di passo tra gli uomini nativi delle Americhe e quelli occidentali usurpatori: i primi sfiorano il terreno per rispetto verso Madre Gea, i secondi lasciano pesanti impronte, non solo ecologiche come chi si crede padrone del tutto, mentre basterebbe ogni tanto alzare gli occhi al Cielo per percepire la nostra insignificanza rispetto all’Universo. Antropocentrismo non solo demodé usurato sorpassato, anti storico anti razionale anti Legge universale: non siamo unità di misura del Tutto, casomai dell’infinitamente piccolo, infinitamente transeunte; non siamo pietra emiliana miliare d’angolo nemmeno della Via Emilia, tra la pianura padana e il Cosmo infinito.

L’armata dei fiumi neri in Sicilia, a cominciare dal Naro divenuto nero – non si pensi a razzismo o degenerazioni ideologiche – causa sversamento dei liquidi di risulta vegetale delle aziende che producono olio d’oliva, sono il solito flusso della cupidigia ma da zucche vuote: invece di inquinare uccidendo la fauna e la flora fluviale, quei liquidi sarebbero manna per rendere più fecondi i terreni agricoli.

Ci sono Cani sapienti che imparano comprendono assimilano anche più di mille parole, senza tema di smentita caro Salvo, una bagaglio culturale e linguistico molto più ampio e poderoso rispetto a quello di tanti nostri simili connazionali: del resto, provate voi, se gradite l’arduo cimento, a spiegare differenze tra con e da, tra immunizzazione e parziale protezione da conseguenze gravi: auguri.

In ogni caso, in ogni modo, cenere siamo e alla Terra torneremo: humus diventeremo e forse saremo finalmente utili;

la cultura della cura e del rispetto dei Morti – con susseguente globalizzazione dell’idea, a partire dalle Civiltà del Mediterraneo – della gratitudine per i Trapassati, delle porte dimensionali per lo scambio di amorosi sensi e doni tra dimensione terrena e ultraterrena sono stati inventati un po’ prima del vostro marketting, strapazzato da strapazzo:

evitiamo di essere così puntigliosi da voler stabilire chi siano i Defunti, chi siano i viventi, potremmo ricevere scherzetti invece di dolcetti.

Stanotte non siate insensibili, lasciate le tavole imbandite, Voi forse non sapete perché, Loro sì.

Comunque, citando l’Amico californiano Jim, Morrison, pur di non morire, sarei pronto a dare la vita (e una zucca).

Faville e Piramidi

Pagina Bianca delle Faville.

Pagina bianca, terrore dello scrittore, creativo o meno; nel caso del meno, meno preoccupato. Bianca come sabbie del deserto, bianca come spiagge cristalline, Bianca, ma di Nanni Moretti, con gigantesco vasetto di cioccolata spalmabile, petit cadeu.

Pagina delle faville, pupille speriamo spalancate senza costrizioni all’arancia meccanica, delle Favelle, mute però in moto costante, delle novelle, attendendo senza attentati alla nostra psiche labile (psicolabile, psiche abile e arruolata, dalla Vita, per forza e per amore), quelle liete; finalmente liete, le più liete, lievi, da Liegi – Bastogne – Liegi.

Chè se hai dentro faville che fanno scintille, anche pedalare sul pavé, in salita Pantani, controvento nomade diventa meno arduo, complicato, dispendioso.

Non sottovalutare mai il potere dello Zero, dottore, cifra o linguaggio macchina, può annientare o rendere molteplici.

Non sottovalutare l’O di Giotto, per tacer di Cimabue, l’o dell’amato pio bove, lo oh di Meraviglia.

Fanciullino, questo non è un giogo, sia chiaro.

O come gli Okapi dell’Uganda, un po’ zebra, un po’ giraffa, molto a rischio per la stolida solida stupidità umana. Speriamo che la gran PadreMadre del Popolo Okapi faccia fuggire tutti i bricconi bracconieri che da bambini di sicuro non seguivano mai il Braccobaldo Show, né Woobinda.

Non è mai troppo tardi, a parte quando si emigra da una dimensione all’altra: Muhammad Alì, fu Cassius Clay, danzando e pungendo come un’ape farfalla, nonostante Parkinson fosse già dentro di lui, salvò una Vita; molte altre ne salvò, a casa sua e in Vietnam, quando rifiutò l’arruolamento e soprattutto la guerra come unico mezzo per dirimere litigi tra Popoli; eppure era un Guerriero, vero ma saggio. Soprattutto, un Uomo.

Candelora, ora della candela o waltzer delle colate di cera, illuminanti: se appare il Sole – così è, se vi appare – dall’inverno generale semo fora, ma se piove e tira vento, qualcuno che busserà a questo convento apparirà, di sicuro, concreto fisico, con tanto appetito.

Cartellino giallo al Popolo gregge compatto, tutti fuori dalle stalle, ché il mercato ha bisogno di noi e soprattutto dei nostri ormai esigui esangui risparmi; se però la curva finale, del cielo, della pandemia, o d’asfalto – vi asfaltiamo, ma solo se voterete per noi! – prima dell’ultimo rettilineo risale, diventiamo in automatico, per dpcm: irresponsabili, criminali, financo untorelli mercenari, mentre si dissolvono – dissolvenze virate in seppia o in nero di seppia – le ultime memorie manzoniane; le colonne infami o gloriose sono state abbattute dai nuovi seguaci della storia senza difetti, della storia incerta in quanto riscritta su tavolini a rotelle, da ignoranti totali con l’auto patente di moralità; storia a scelta dell’utenza virtuale del momento, storia minima senza memorie.

Viva la democrazia, viva i diritti umani, viva – resti vivo, se possibile – chi li difende, pochi coraggiosi e benedetti: in salsa birmana, putiniana, anche cinese, o del Katai in versione Polo, Marco; non dobbiamo, non possiamo protestare contro abusi e regimi, né pensare liberaMente, se i mega contratti economici sono più importanti e ingombranti delle vite umane. Questo il fardello ereditato da Mondo Prima a Mondo Dopo.

Pare che alle istituzioni internazionali deputate – depauperate – vada bene così. Del resto, chi può rinunciare a cuor leggero a vendere una modernissima, costosissima fregata corazzata in nome di qualche principio radical chic?

Che siate verticalisti o orizzontalisti, converrete che le foto panoramiche più incisive sono quelle prive di esseri, umani: la composizione poi verrà da sé, frugando nel campo largo tracce vestigia impronte delle opere dell’Uomo; una bella foto può essere considerata un errore? Certo, i trabocchi abruzzesi al tramonto costituiscono sempre un ottimo biglietto da visita, homepage o cartolina, ma vuoi mettere l’effetto che fanno con l’elemento di dissonanza, ad esempio una colossale piattaforma estrattiva, proprio là dove dovrebbero esserci solo mare sole cielo, forse Bellezza. Non ricadiamo nel ridicolo.

Le Piramidi con sullo sfondo una carcassa di centrale nucleare, struttura devastata diroccata abbandonata e ancora radioattiva, fumante, ancora molto radioattiva, sarebbero il top:

capolavori della razza umana o di qualche civiltà extraterrestre?

Pura genialità terrestre, idiozia davvero Extra.

Di finestre, cime, rape

Pagina delle Finestre, non è una novità, non mi pento né mi dolgo:

Finestre aperte sui cortili, finestre di fronte ma anche laterali assolvono alla loro funzione istituzionale, finestre sull’insopportabile traffico quotidiano, sul nulla, sul canyon, sulle cascate di fiori le palme i baobab kebab del giardino, quando ci sono (i fiori e lo stesso giardino), sul nulla eterno cosmico comunque fitto di particelle elementari Watson, finestre spalancate come bocche mute durante interrogazioni interrogatori interludi in presenza sul Mondo.

Balliamoci sopra un Fandango, con Ligabue Antonio & Kevin Costner Due Calzini e non pensiamoci più.

Sul Mondo forse è troppo, visione troppo ambiziosa oziosa arrogante, su uno spicchio ecco, restiamo ancorati accorati core a core con la realtà tattile fattuale onirica.

Spicchio minimo quanto basta, minuscolo non microscopico orobico orbato gustoso dissetante per menti e occhi assetati assonnati assiepati al balcone; pertugio per me, non ampio quanto le fette (Piedi Neri? Tutti i geni cromatici, basta che siano geni genuini, sono i benvenuti) di Globo scoperte regalate all’Umanità da Antonio PigaFetta, Marco Polo l’esploratore con il Katai attorno, Magellano gabbiano, il Colombo non Falck ma Cristoforo (pentiti Fratello mio, pentiti!!! mannaggia a Te e agli election days).

Al tirar delle somme (tirate dalla suddetta finestra o come briglie imbriglianti) rigorosaMente a mente, una finestrella modesta ma pulita, garbata riservata pudica, comunque sempre meglio delle sue consorelle poco consanguinee poco misericordiose poco immacolate poco siamesi, troppo virtuali dei calcolatori elettronici.

Una schermata con pin up mozzafiato non sostituirà mai il panorama dal Giardino degli Aranci.

Tenterò mi impegnerò mi prodigherò per non ammorbare – l’attualità virale basta e avanza – la Rete soprattutto quella del vietatissimo calcetto amatoriale, ingolfandola (Golfi da Trieste a Napoli, non trascurando La Spezia, perché avere insennature è salvifico) di citazioni eccitazioni farneticazioni più o meno dotte; non trascuriamo moltiplicazioni – di pani pesci e vino ci sarà presto bisogno; divisioni frazioni fratture meglio fragranti fritture, a San Vito con ballo incorporato Chietino, a San Vito che pretende sempre di fare Lo Capo di simposi sontuosi di cous cous ittico/vegetariano (viva il Cous Cous Klan).

Una citazione anche per le Potenze, non mondiali: elevazioni come quelle del Teutonico Volante Oliver in dismesse aree di Rigore (i crucchi non si smentiscono mai, sempre rigorosi), elevare al cubo o il cubo, cubismi varj ed eventuali, elevatori con carrelli carrucole, tradizionali cestini di paglia senza fuochi, elevatori di Intelligenza e di Morale – sù con il morale, soprattutto delle Storie – elevati! imperativo quasi categorico, gli Elevati Beati loro: una statua per Sergej Bubka e il suo agosto dorato a Barcellona, con asta da Sotheby’s (bis? Paganini non ripete) per fini intenditori, per fini umanitari.

I marroni stagionali sono tendenzialmente sferici, ma le radici degli Ippocastani d’India (Cavalli Bruni?) da non abbandonare all’oblio da ritrovare da rinvigorire sono quadrate? Drammi dilemmi lemmi amletico scespiriani. Filosolfeggia a go go, ma qui sulla Terra siamo sommersi e speriamo un po’ salvati da selve di fitti misteri.

Non perdiamo il filo che poi Arianna chi la sente; alla finestra dalla finestra con la finestra osservo, mi dedico anima corpo occhi a questa attività passiva – magnifico ossimoro di lucida pazzia (lucidate sempre con attenzione le vostre pazzie di famiglia) – cara Mia si tratta di un duro logorante impegnativo lavoro, ma qualcuno deve sobbarcarsi barcamenarsi abbarbicarsi al davanzale e tra le schiere dei Volontari senza portafoglio, “mi hanno rimasto” in perfetta silenziosa confortante Solitudine, auspicabilmente abilmente amabilmente AbileneMente (il West spunta sempre) non centenaria.

In questa umida cruda (a me piacerebbe al dente, se posso esprimere una preferenza fuori scheda) crudele cruciale mattinata novembrina precoce ante litteram ante piumonem, le Cime degli Alberi superstiti si flettono gemono non germogliano al cospetto di Venti (non li ho contati) inafferrabili impetuosi imperiosi, impagabilmente irragionevoli.

La Passione la Bellezza la Sensualità dell’Autunno caldo tracimano – Cimabue buoi in cima e a valle – dal Transatlantico Transatletico Trans Siberiano alle vie spurie di comuni mortali sempre più guardinghi sospettosi ir(r)i guardosi e anche guardoni, spesso e volentieri.

In cima alle colonne del Foro chi c’è?

Dalla cima, puoi solo scendere precipitare volare: prova, se possiedi scorte di coraggio nella tua bisaccia (“Non esiste provare, esiste solo fare o non fare”, diceva il saggio cinese assistente di Nick Carter…).

Le Cime devono essere sempre e solo tempestose?

Ogni tanto, potrebbero essere di Rapa (Nui? I soliti faccioni litici clandestini);

la Fanciulla del Salento Occhi color del Mare placa entusiasmi, facili futili furtivi:

anche come rapa, non mi sembri una cima!

Fratello Martin

Pagina Bianca, Pagina dello stormo di Rondini che contro il cielo bianco di nuvole o contro la pagina senza parole si stagliano perfette nella loro armonia circolare, ala curva, curvatura del nostro sistema solare.

Pagina del C’era una volta, depurata dalle nostalgie sovrastrutturali. Fiabe, favole, racconti, cicli narrativi, canzoni celebrative di gesta eroiche e amorose, romanzi di ogni genere e tipo, pupari artisti di strada saltimbanchi giullari di corte (unici a permettersi il lusso sfacciato della Verità, in quanto bislacchi per vocazione e corredo genetico), cantastorie fattucchieri imbroglioni da osteria e da contrada, improvvidi improvvisatori caratteristi da commedia grottesca certo, ma sempre dell’Arte; filtrati da un setaccio magico per separare pietre preziose da pietre senza nobiltà, come esistesse poi davvero anche solo un granello di Terra privo di valore.

Quelle Rondini, nel Mondo Prima, eravamo noi; capaci di solcare il Cielo in solitaria per giocare con il Vento, per tingerci d’oro (ancora) sfiorando agili albe infinite, capaci di rinnegare la nostra quota congenita di egoismo e narcisismo, per volare in formazione compatta, pattuglia alata depositaria dei reconditi codici del Cosmo, rotte incomprensibili mai casuali, traiettorie velocissime e imprevedibili, disegnate da secoli di istinto pratica immaginazione.

Il Popolo delle Rondini è migrato, la nostalgia in questo caso non è fatuo rimpianto, ma imperativo categorico, richiesta di soccorso per ogni tessera perduta del mosaico della Bellezza.

Eravamo noi – noi? – quando ancora sapevamo rinunciare a declinare tutto in prima persona, sapevamo osservare orizzonti nuovi attraverso lo sguardo degli altri, sapevamo camminare sui sentieri sconosciuti indossando calzature aliene, eravamo ancora convinti che formare comunità dialogiche, ma cooperative, fosse la più importante preziosa inestimabile dote peculiare di quegli incomprensibili bipedi che si sono auto definiti uomini.

Le Rondini autentiche sono tornate, dono divino, dono superbo e supremo.

Noi? Non sappiamo, non vogliamo più raccontare, raccontarci senza veli nella locanda dei sette peccati.

Rondini bianche con impeccabile livrea nera. I fucili non hanno mai smesso di sparare contro le anime, colpevoli di essere bianche, senza colore, summa tavolozza caleidoscopio di tutti i Colori intergalattici. Abbiamo ucciso le Rondini, trucidato le Anime.

Ci stiamo velocemente cancellando anche dalla Pagina Bianca, non siamo più nemmeno piccoli sgorbi d’inchiostro sulla superficie cartacea, solo monadi moleste che hanno obliato il significato, il senso della momentanea presenza e del passaggio sul globo di fango.

La finestra del mio studio è spalancata e si affaccia su un piccolo spicchio di Mondo (Marco Polo vorresti prendermi a bordo per un nuovo Milione?), eppure capto più Vita in quel modesto rettangolo dell’Universo che nelle lunghe silenziose meste fila in attesa all’esterno e nei parcheggi di aridi supermercati. Tra museruole tossiche guanti in plastica letale carrelli arrugginiti che infetteranno sempre più noi stessi e la nostra Casa Comune.

Fratello Martin, sacerdote, monarca non per sedicente, falso diritto divino, ma per pensieri parole opere terrestri, terribilmente concrete, così concrete da inoculare panico e terrore tra i potenti: anche Tu, Re delle Rondini nere, per tutti coloro che alzano testa e sguardo verso il Sole, abbraccia con il Tuo Spirito l’Umanità desolata e dispersa , insegnaci ex novo a volare, partendo dalla Prima Pietra, balbettando dalla Prima Pagina di una realtà incomprensibile.

Insieme.