Ricurvi (nasi) o Maori (anti invasori)

Pagina del Sommo;

pagina della reprise (economica? meglio umana, prioritariaMente), della vendetta o vendemmia, Luna durante plenilunio del Raccolto/Racconto.

No, non sogno – anche, eccome! – , sommo; il Poeta, colui che faceva, con rime versi, versi in rima, dotte riflessioni: mondi, immaginari, eppure concreti, abitati da Persone vere, percorsi da fremiti di Vita vera; non settimanali scandalistici, più falsi di una moneta da 5 euro o dell’euro in generale, ma Arte e Cultura.

Mi ripeto? Per forza, da vecchi si rammentano i fatti antichi, la memoria a breve termine – altro che memory card – è bella e perduta.

Sommo, mica le sedicenti eccellenze pseudo moderne, ché nella pioggia torrenziale di eccellenze, non si distingue una goccia di genio.

Voi capirete: gli amori infelici dell’adolescenza e dei liceali sfociano di solito nelle proverbiali pippe mentali, nel Suo caso le pippe mentali sulla Beatrice – magari racchia, con voce cacofonica, caratteraccio abrasivo – sono diventate una commedia, divina e solo grazie a Lui, senza sottintesi ironie ulteriori sensi da cercare. Li aveva utilizzati, scandagliati, moltiplicati tutti nei panni di Durante degli Alighieri, durante la sua peregrinazione terrestre; se credete che possedere un cognome fosse banale, vi illudete. Il cognome all’epoca era come il talento nel Mondo Dopo, un privilegio riservato a pochi.

Antipatico, indisponente, forse strozzino, forse furbo politicante, ghibellino fuggiasco, però Genio.

Mare di brina all’alba, periplo, peristilio, lo zenith dell’insuccesso e il nadir del successo, mattino nascente arancio viola rosato, talvolta fiammeggiante, come bastioni assediati (talvolta, tracotanti assedianti navali finiscono ridotti a frittura da archimedici specchi ustori), circumnavigazioni dei continenti e delle galassie non via web – via dal web – come i cari De Gama e Magellano, icari su vascelli.

Ribadisco, mi ripeto, lo rivendico senza tema, anzi a tema libero, contengo moltitudini di contraddizioni, tutte antiche, le une le altre le ipotetiche; schiere infinite di altri mondi, da altri mondi, mondi del Prima, recapitate attraverso un prisma di cristallo, prisma latente e latore moltiplicatore di sentieri, come portali cancelli pertugi di Kronos.

Gli Arcobaleni dopo aver scoccato le ultime pennellate cromatiche, si sono ritirati in un baleno; ci hanno però citati in giudizio per danni e per indebito truffaldino ingannevole sfruttamento del loro buon nome e dell’immagine, tutta loro.

Siamo diventati finalMente migliori? Siamo diventati tutti Maori, corpi tatuati come caverne narrative adorne di novel graffiti ?

AD maiora – Anno Domini, anno dopo, siamo tutti vivi ad interim – , per aspera ad Astra? Stelle un tempo lucide e vicine, pungolavano le coscienze come fossero spine, di roseti di maggio.

Sarebbe – stato – bellissimo.

Di finestre, cime, rape

Pagina delle Finestre, non è una novità, non mi pento né mi dolgo:

Finestre aperte sui cortili, finestre di fronte ma anche laterali assolvono alla loro funzione istituzionale, finestre sull’insopportabile traffico quotidiano, sul nulla, sul canyon, sulle cascate di fiori le palme i baobab kebab del giardino, quando ci sono (i fiori e lo stesso giardino), sul nulla eterno cosmico comunque fitto di particelle elementari Watson, finestre spalancate come bocche mute durante interrogazioni interrogatori interludi in presenza sul Mondo.

Balliamoci sopra un Fandango, con Ligabue Antonio & Kevin Costner Due Calzini e non pensiamoci più.

Sul Mondo forse è troppo, visione troppo ambiziosa oziosa arrogante, su uno spicchio ecco, restiamo ancorati accorati core a core con la realtà tattile fattuale onirica.

Spicchio minimo quanto basta, minuscolo non microscopico orobico orbato gustoso dissetante per menti e occhi assetati assonnati assiepati al balcone; pertugio per me, non ampio quanto le fette (Piedi Neri? Tutti i geni cromatici, basta che siano geni genuini, sono i benvenuti) di Globo scoperte regalate all’Umanità da Antonio PigaFetta, Marco Polo l’esploratore con il Katai attorno, Magellano gabbiano, il Colombo non Falck ma Cristoforo (pentiti Fratello mio, pentiti!!! mannaggia a Te e agli election days).

Al tirar delle somme (tirate dalla suddetta finestra o come briglie imbriglianti) rigorosaMente a mente, una finestrella modesta ma pulita, garbata riservata pudica, comunque sempre meglio delle sue consorelle poco consanguinee poco misericordiose poco immacolate poco siamesi, troppo virtuali dei calcolatori elettronici.

Una schermata con pin up mozzafiato non sostituirà mai il panorama dal Giardino degli Aranci.

Tenterò mi impegnerò mi prodigherò per non ammorbare – l’attualità virale basta e avanza – la Rete soprattutto quella del vietatissimo calcetto amatoriale, ingolfandola (Golfi da Trieste a Napoli, non trascurando La Spezia, perché avere insennature è salvifico) di citazioni eccitazioni farneticazioni più o meno dotte; non trascuriamo moltiplicazioni – di pani pesci e vino ci sarà presto bisogno; divisioni frazioni fratture meglio fragranti fritture, a San Vito con ballo incorporato Chietino, a San Vito che pretende sempre di fare Lo Capo di simposi sontuosi di cous cous ittico/vegetariano (viva il Cous Cous Klan).

Una citazione anche per le Potenze, non mondiali: elevazioni come quelle del Teutonico Volante Oliver in dismesse aree di Rigore (i crucchi non si smentiscono mai, sempre rigorosi), elevare al cubo o il cubo, cubismi varj ed eventuali, elevatori con carrelli carrucole, tradizionali cestini di paglia senza fuochi, elevatori di Intelligenza e di Morale – sù con il morale, soprattutto delle Storie – elevati! imperativo quasi categorico, gli Elevati Beati loro: una statua per Sergej Bubka e il suo agosto dorato a Barcellona, con asta da Sotheby’s (bis? Paganini non ripete) per fini intenditori, per fini umanitari.

I marroni stagionali sono tendenzialmente sferici, ma le radici degli Ippocastani d’India (Cavalli Bruni?) da non abbandonare all’oblio da ritrovare da rinvigorire sono quadrate? Drammi dilemmi lemmi amletico scespiriani. Filosolfeggia a go go, ma qui sulla Terra siamo sommersi e speriamo un po’ salvati da selve di fitti misteri.

Non perdiamo il filo che poi Arianna chi la sente; alla finestra dalla finestra con la finestra osservo, mi dedico anima corpo occhi a questa attività passiva – magnifico ossimoro di lucida pazzia (lucidate sempre con attenzione le vostre pazzie di famiglia) – cara Mia si tratta di un duro logorante impegnativo lavoro, ma qualcuno deve sobbarcarsi barcamenarsi abbarbicarsi al davanzale e tra le schiere dei Volontari senza portafoglio, “mi hanno rimasto” in perfetta silenziosa confortante Solitudine, auspicabilmente abilmente amabilmente AbileneMente (il West spunta sempre) non centenaria.

In questa umida cruda (a me piacerebbe al dente, se posso esprimere una preferenza fuori scheda) crudele cruciale mattinata novembrina precoce ante litteram ante piumonem, le Cime degli Alberi superstiti si flettono gemono non germogliano al cospetto di Venti (non li ho contati) inafferrabili impetuosi imperiosi, impagabilmente irragionevoli.

La Passione la Bellezza la Sensualità dell’Autunno caldo tracimano – Cimabue buoi in cima e a valle – dal Transatlantico Transatletico Trans Siberiano alle vie spurie di comuni mortali sempre più guardinghi sospettosi ir(r)i guardosi e anche guardoni, spesso e volentieri.

In cima alle colonne del Foro chi c’è?

Dalla cima, puoi solo scendere precipitare volare: prova, se possiedi scorte di coraggio nella tua bisaccia (“Non esiste provare, esiste solo fare o non fare”, diceva il saggio cinese assistente di Nick Carter…).

Le Cime devono essere sempre e solo tempestose?

Ogni tanto, potrebbero essere di Rapa (Nui? I soliti faccioni litici clandestini);

la Fanciulla del Salento Occhi color del Mare placa entusiasmi, facili futili furtivi:

anche come rapa, non mi sembri una cima!