Virus o meteo

Siamo transitati a nostra insaputa, dal modello Giuditta, a quello matematico. Un modello che da variabile è diventato come il diamante della reclame: ora e per sempre. Nessun senso, nessuna correlazione.

Peccato sia obsoleto – fuori moda? Fosse solo così – e inadeguato. Ci basiamo per stessa ammissione dei responsabili su modelli previsionali (che dovrebbero poi attivare la complessa macchina di allertamento e intervento) ampiamente inadatti alla realtà geofisica del nostro paese. Per tacere del fantomatico leggendario piano di messa – cantata ma funebre – in sicurezza del territorio, anche questa ferma, bloccata, paralizzata in una clessidra guasta e soprattutto mai attuato. Ci sono però, immancabili puntualissimi corvacci del malaugurio, gli occupanti delle istituzioni che inviano il loro cordoglio e le loro promesse di pronto aiuto da parte dello stato. Quale e quando non è dato sapere, sarebbe anche scortesia porre domande.

Ci si accapiglia per la scapigliatura energetica, ma se avessimo ripassato la storia – anzi, se la Storia ci avesse fornito una giusta e vigorosa ripassata – sapremmo che l’energia, sarà stata certo utile alla crescita economica/tecnologica, ma da subito, proprio dall’800 più 1000, è stata foriera di terribile impatto sul pianeta; organizzate una seduta spiritica (ci sono ancora politicanti molto abili in materia) e chiedete a qualche londinese dell’epoca: nebbia oscura per le strade, sporcizia, malattie respiratorie, tutto in nome del dio carbone. Alle anime belle piacerà conoscere la vera vita, la vita vera di Viki il Vichingo, impavido guerriero dei Mari, costretto però ad abbandonare la Groenlandia nel Quattrocento: per timore di un nemico più potente? In senso molto lato, la cupidigia umana che spesso sfocia in idiozia: la mancanza di legname a causa di eccesso di abbattimento di alberi, la terribile crisi del legno, ante litteram.

Non si tratta di avere ragione o torto, non siamo alle sagre di paese di una volta con la giostra del Sarracino o l’Albero della cuccagna o il palio del Cinghiale; qui, purtroppo, non ci saranno vincitori, solo sommersi e arsi. Chiedetelo al fiero popolo Klamath, tribù di nativi un tempo padroni a casa loro dei territori rigogliosi tra California e Oregon. Chiedetelo al grande lago omonimo, ormai praticamente arido, a causa dell’innalzamento esponenziale della temperatura e delle conseguenti, inarrestabili tempeste di sabbia. La siccità da attività industriali antropiche modifica la quotidianità, i territori, mette a rischio estinzione la vita stessa. Perfino di coloro che mettendo – è il caso di dirlo – la testa sotto la sabbia, si rifiutano di ammettere la crisi climatica. Una morte asciutta, di bagnato e salato solo le lacrime, forse.

Sembrerebbe una banalità, eppure, spesso, dobbiamo ricorrere alle antiche, voluminose – a volumi, infatti – enciclopedie cartacee, o ad altri oscuri oggetti dell’arredamento: i libri. Uno di Telmo Pievani ci rammenta dal titolo che la Natura è più grande di noi; siamo entrati incoscienti nell’emozionante era delle pandemie, ma noi stessi siamo un coacervo – non una mandria di cervi al galoppo, magari – di batteri e virus, addirittura a miliardi. Cerchiamo affannosamente nuove potenziali super Terre nelle profondità dell’Universo, chiediamo alla scienza la formula alchemica dell’eternità, ma nel 2200, con i ritmi attuali, la temperatura sarà mediamente più alta di circa 8 – 10 gradi centigradi. Se non fossimo sciocchi, vedremmo in faccia la realtà: dal 1970 a oggi, il 60% di mammiferi, uccelli, pesci e rettili è sparito dalla nostra piccola, fragile casa comune. Ci illudiamo che le sofferenze e le morti per mancanza di cibo, acqua, cure, catastrofi avvengano solo e sempre a degli imprecisati altri, lontani e lontano da noi; ma come cantava Umberto Tozzi, gli altri siamo noi. Non dimostriamo di essere animali intelligenti. Organismi meno appariscenti ci superano in materia grigia: api, vespe, termiti e formiche, solo per citarne alcuni, imparano e evolvono insieme all’Ambiente. Noi siamo come i modelli matematici dell’incipit: fermi, paralizzati nella nostra arrogante presunzione di superiorità.

Prometeo (pro meteo?) oggi verrebbe incatenato a Chernobyl o a Fukushima (scegliete voi l’incidente nucleare sicuro e verde che vi garba di più), o forse, versione più credibile, si auto incatenerebbe per protesta: ho rubato il fuoco per voi, ma voi siete riusciti a spegnere perfino il Sole, quello dell’intelligenza. Virus, meteo, inquinamento: opta di quale morte dobbiamo perire, tanto, come dice il principe degli Esegeti, siamo tutti potenziali funerali.

Nel gran finale, non ci serviranno l’inglese e nemmeno l’esperanto, temo; speriamo almeno di apprendere sul gong l’arte della Crisalide: se non diventeremo farfalle nell’Uno universale, potremmo almeno aspirare a diventare coma la Luna di Saturno, scoperta da Galileo, quella che dopo l’esplosione in miliardi di frammenti, originò i caratteristici anelli del pianeta gassoso.

Deliri roghi deserti

Sospesi, appesi, coesi; forse.

Vivere tra coloro che sono sospesi, nel limbo, nel purgatorio; sopravvivere tra coloro che sono appesi, come gustosi salami suini, in attesa di affettatrice; sopravvissuti come sull’isola del tesoro dopo un terribili naufragio, coesi ma sperduti, auspicabilmente lontani da questa onorata società del Mondo Dopo.

Sospesi, come diritti universali inalienabili: gli oscuri poteri ancora non lo dichiarano pubblicamente, ma la sospensione definita temporanea, è solo un lungo passaggio intermedio con la prospettiva dello spegnimento finale e definitivo.

I poteri oscuri hanno pazienza, il logorio è talvolta invisibile impercettibile ma più costante e corrosivo della goccia d’acqua che scava la roccia; con una differenza palese, lapalissiana – a posteriori, nei posteriori soprattutto – la goccia crea sculture e comunque resta fonte di Vita, il logorio dei servitori del buio innesca guerre tra umani, lascia in eredità macerie desolate, aridi deserti salati, senza più speranze, nei quali perfino i miraggi non trovano più cittadinanza, né accoglienza.

Sospesi sui fili, a più di cento metri dall’asfalto mefitico, bandiere nel vento radioattivo di città fantasma, come cantava un tempo il Poeta iberico; ghost town, febbre dell’oro ci hai rovinati ché l’illusione del benessere e dell’accumulo – tumulo – è sempre premessa di rovina garantita, se non hai chiaro dentro di te la definizione esatta, perfetta di cosa sia davvero ricchezza. Vado a fare fortuna, si diceva baldanzosi tracotanti superbi nel Mondo Prima, ma spesso è la Fortuna che gioca con i destini degli ignari ignavi inani – da non confondere con i Nani da giardino, sette per sette Sorelle cenerentole; la caligine della ruina e di Kronos ricopre tutto e tutti, se le azioni non seguono la rotta astrale delle energie universali.

Chiedi a Erodoto chi fosse Serse il condottiero, quale esito maturò nella eterna tenzone tra Hybris e Dike; spade contro bilancia, bendata. Puoi decidere di disprezzare i tuoi simili, puoi decidere di ignorare le forze della Natura, convinto che scavare montagne e mutare il corso dei fiumi ti renda invincibile, onnipotente: tanti cari ottimi auguri, mentre Auguri Aedi Lacché mercenari intonano lodi sempre più sperticate, sempre più celebrative.

Di solito, la celebrazione, è l’ultimo adempimento formale prima della tumulazione.

Celebrare il G8 genovese di 20 anni fa, doveroso, nevvero? La lezione fu chiara, all’epoca solo lezioni in presenza, decisamente più efficaci: colpirne 50.000, inermi a braccia alzate, per educare gli altri 8 miliardi; per terra, sulla Terra il sangue i denti le ossa frantumate a manganellate, insieme ancora e sempre agli stessi tumori, oggi metastasi: finanziarizzazione dell’economia, scomparsa dei diritti dei lavoratori e dei cittadini, globalizzazione inumana, satrapia totale delle multinazionali. Ottimo lavoro, non si può negare, nemmeno oggi.

Osservate le foto per favore, create da voi un collage o un puzzle, come fosse un giochino, non troppo divertente, in verità: senza riferimenti a fatti persone cose leggi governi attuali – o invece proprio così – provate a distinguere (un bravo con lode senza bacio accademico) le facce, le espressioni peculiari tra i vari generali della Terra dell’ultimo secolo; evidenziate le differenze in quel coacervo di torve pose marziali, mostrine sontuose, stellette a go go, parole e azioni autoritarie, draconiane, senza l’ombra di un sorriso, di un pentimento, almeno un dubbio.

Caro Bobby, hai meditato sulle immagini riprese dal satellite, uno qualunque, immagini sconvolgenti, raccapriccianti sul Bootleg Fire che marcia incontrastato sulle piste dell’Oregon? Avrai certo visto antichi film o letto antichi libri, anche a fumetti, sulla leggendaria Oregon Trail, la pista dei migranti dell’Ovest, quella dei tipici carri coperti trainati da buoi e muli. Ecco, oggi laggiù un tornado di fuoco avanza scatenato e nessuno è in grado di prevedere quando come e dopo quanti danni si placherà. Tu però stai sereno e continua a sproloquiare di trivelle sostenibili; facciamo così, inversione dell’onere della prova (scientifica, ma vera): inversione della sindrome Nimby, comincia a trivellare in modo verde sostenibile ecologico nel giardino di casa tua, poi, nel caso, dacci tue e buon pro pnrr ti faccia.

Se Ti sei allenato all’Infinito, con l’Infinito, la tua anima non vacillerà per le alterne sorti terrestri, per gli alterni alterchi mediocri del breve fugace transito per le vie del Mondo.

Gentile Ilaria, prezzemolina tuttologa, aspirante presidenta, della Repubblica o di Repubblica (o altro super quotidiano nazionalpopolare, meno male che nessuno li legge più), sovrapponibili in modo perfetto, in quanto sempre di banane si tratta: questo è.

Così è, se vi appare; se non vi appare; l’immagine potrebbe essere appannata, sfocata, confusa;

potrebbe essere un problema di connessione debole, o, più probabile, di sinapsi sfibrata:

ogni tanto, andrebbe attivata.

Furbizia vs intelligenza, mente calcolante vs mente poetica

Pagina della Filantropia, virale come si conviene confà conforma ai tempi.

Chi può, scappa tra le stelle sognando fughe marziane, chi non può annega tra le plastiche con le quali abbiamo soffocato i mari.

Gli altri furbetti del pianetino smerciano rimedi, non a chi ne avrebbe diritto, ma ai peggiori offerenti, purché muniti di autentica antica grana.

Cronache marziane, Sole opaco, rami neri senza più linfa, mani oblunghe aride: distese desertiche laggiù nell’Arizona. C’era una volta una Terra, azzurra, sul tetto che oggi scotta.

Nel frattempo, curiosa espressione, considerando il flusso unico continuo – come la lubrificazione dei Soliti Ignoti, costante e ininterrotta – degli eventi, anche i Sogni e le Chimere sono un tantinello appassiti, nel tinello di casa, però quello buono.

I Gesuiti hanno la forza secolare le competenze la propensione per mettere in riga redarguire bacchettare ove e se necessario perfino le molte signorine e/o signore Rottenmeier continentali: loro silenti, chinano il capo – anche i capoccia e i capoccioni si inchinano – preventivamente cosparso di cenere, si dolgono per gli errori umani fatali, ringraziano per l’esemplare punizione.

Viaggi delle Speranze, Carovane di Speranze in viaggio, verso Terre promesse, promesse disattese nei confronti dei veri nativi di quelle regioni – sao ko kelle terre… – Oregon come un miraggio, esodi perigliosi tra impervie vie mai battute prima, bande di tagliagole, interessi di biechi politicanti e soliti speculatori; sarebbero servite, illo tempore come oggi, guide competenti oneste affidabili, impresa ardua reperirle. Nel Mondo Dopo, qualche vago cenno di luminosa redenzione: gli antichi abitanti dell’Oregon, il fiero popolo Klamath, acquistano ciò che un tempo era loro, solo una piccola parte di quanto fu strappato agli Autoctoni originali con violenza inganni leggi ipocrite e inique; praterie laghi montagne erano in connessione millenaria con il Popolo degli Uomini rossi, il cuore di quegli Uomini apparteneva ed era seppellito sotto quei territori; nonostante le predazioni le privazioni, non ha mai cessato di scandire i veri ritmi della Natura indigena endogena.

Le varianti del morbo inficiano i poteri magici dell’elisir miracoloso? Tranquilli, secondo gli alchimisti dell’Impero tutto si risolverà aumentando le distanze dall’Inter, cioé interpersonali: 40 centimetri in più, lo ha sentenziato il solito oracolo algoritmico partorito dagli alambicchi fatati; perfino il povero John Holmes, eccelso uomo con 30 centimetri di dimensione – artistica, come da annales – sarebbe in ambasce.

Ulisse mio, sei il modello unico – no agenzia entrate, grazie – dell’omuncolo moderno (o post moderno)? Miti classici nati per spiegare l’incomprensibile: il bipede umano, coacervo, viva il Cervo, sommatoria, delta – talvolta di Venere – di peculiarità positive e negative, dal risultato complessivo e finale spesso incerto; come molte paternità. Ulisse oggi, nel Mondo Dopo, saresti il perfetto leader multitasking che non deve chiedere mai e soprattutto non ascolta il canto e le parole delle Sirene; curiosità infinita, hybris nella volontà di andare oltre ogni limite: senza i folli voli di Odisseo – e di Icaro incauto – saremmo rimasti per sempre incollati al suolo, ma certe volte per volare basterebbero la fantasia e due corde legate ai rami degli Alberi. Conoscere il passato è necessario per costruire l’avvenire, sapendo coniugare i verbi al futuro; considerando che abbiamo notevoli difficoltà con il congiuntivo, ormai quasi estinto, difficilmente riusciremo a farci assolvere – nonostante principi e principesse del Foro, nell’ozonosfera – con il condizionale.

Ulisse eroe che sfrutta la tékne e la mekané per concretizzare le proprie intuizioni: 100 ne pensi, 1000 ne combini. Sei stato l’incarnazione della definitiva primazia – senza trascurare le amorevoli seconde e terze ziette – della mente calcolante calcolatrice razionale, sull’animo e sulla mente poetici passionali onirici;

sei stato Tu a beffare le Sirene, fingendo che con un po’ di cera nelle orecchie e legato all’albero della nave, potesse essere sconfitto il loro potere, la loro malia, o sono state le Sirene a baloccarsi con la Tua rinomata astuzia, mimando il canto e opponendo invece al tuo inestinguibile errare un silenzio così innaturale e assordante che sarebbe stato impossibile non udirlo? Sei più umano nella visione dantesca o in quella kafkiana? Nella veste di eroe o in quella di piccolo uomo che si barcamena per sopravvivere al cospetto di entità e forze più soverchianti e potenti?

Senza il Tuo esempio, niente Luna e niente uova rotte nel paniere di Marte, ma forse non avremmo nemmeno commesso il peggiore dei crimini: novelli seguaci di Lucrezia Borgia, saremmo stati così svegli – ci si sono svuotate le clessidre? – da non avvelenare la nostra unica casa planetaria.

Stupido illudersi di trovare salvezza attraverso gli stessi meccanismi di pensiero e gli stessi strumenti che hanno creato il Problema, vero Albert?

Più esemplare, ammirevole, paradigmatico Ulisse o il capo dei Nativi americani, conosciuto con il nome di Seattle?

Noi almeno sappiamo questo: la terra non appartiene all’uomo, bensi’ e’ l’uomo che appartiene alla terra. Questo noi lo sappiamo. Tutte le cose sono legate fra loro come il sangue che unisce i membri della stessa famiglia. Tutte le cose sono legate fra loro. Tutto cio’ che si fa per la terra lo si fa per i suoi figli.

Dalla lettera del capo Seattle al grande padre bianco di Washington, 1854.