Interludio domenicale

Pagina del postludio.

Preludio, interludio, postludio: ludico o afferente al?

Misteri della controra, quella non meglio specificata fase postprandiale, tra l’epilogo del gozzovigliare e lo sprofondo inconsapevole nella pennica; chiedere lumi per informazioni più specifiche agli Amici del Sud del Mondo, dove la gente, i Popoli vestono solo dei propri colori e danzano nella vita, con ritmi e tempi giusti.

Avventurarsi per i vicoli del Vomero o nella Partenope sotterranea, incontrando il Monaciello, interludio presagio premonizione, benedizione propedeutica? Perdersi nel chiostro, del munasterio di Santa Chiara, assistere travisati trafelati – dentro un confessionale barocco – alle prove del coro, con vista, in vista della festa del periodo, del perdono o del patrono. Festa di Popolo, popolare, nella piazza del popolo.

Interludi ottimamente retribuiti intorno al Mondo, quello di una volta: tra un romanzo e l’altro, beato lui per il suo mostruoso talento, il signor Simenon, fantastico reporter – quanto Ti detesto (tutta invidia) Monsieur Georges – si dedicava da globetrotter all’esplorazione dei luoghi più affascinanti, da Capo Nord a Tahiti, transitando pigramente per le Galapagos; dedicandosi, senza troppo successo, almeno in questo, all’attività di investigatore. Edgar Allan Poe, solo con la potenza della deduzione, riuscì nell’impresa di risolvere un delitto misterioso, all’apparenza insolubile inestricabile; al papà di Maigret no, con sommo scuorno – vergogna, in lingua neapolitana – dimostrazione plastica, pratica che tra la letteratura e la realtà esistono notevoli iati di separazione.

Postludio nebbioso, con Elio timido tra le brume mattutine, in attesa dell’approdo dell’arca dell’alleanza, dell’amicizia, della Legge, da rispettare oltre ogni convenienza, oltre ogni tentazione, oltre ogni limite, fisco mentale morale: Una, solo Una.

Gaudio tripudio, lucida ludica cultura di Giovanni Pico, fantasmagorica girandola – Mirandola? – di saperi interdisciplinari, ante litteram: miscelare senza presunzione, senza prevenzione filosofie greca, latina, ebraica, araba; per offrire se non risposte definitive alle domande fondamentali dell’Umanità, nuovi spartiti musicali, per orientare la spaurita ciurma umana in nuove, migliori, collaborative, empatiche navigazioni universali.

Preludi sublimi, per eludere sorte ria e grama, per edificare salvifiche necessarie sempre troppo posticipate sorellanze/fratellanze, per concludere in crescendo, tipo l’ouverture del Guglielmo Tell rossiniano;

quello era un preludio, certo, ma almeno il nostro congedo sia in grande stile:

uscita di scena sì, al galoppo.

Gazze ladre e arance meccaniche

Pagina dedicata alle simpatiche Gazze, quelle ladre: con grazia, con destrezza.

Potrebbe essere una loro caratteristica biologica, naturale, oppure frutto della consueta, famigerata disinformazione di regime; diffamazione a mezzo stampa – stampa dimezzata infingarda collusa – su larga scala.

Il Merlo indiano parla, o canta, visto che si chiama Mina, parla e canta anche senza essere sottoposto a terzo grado e luci abbaglianti – di terzo tipo – sugli occhietti vispi; ma non è un informatore un traditore un pusillanime. Gracula Religiosa dell’Himalaya, se telefonando potessi chiedere un Tuo intervento magico, Ti chiamerei: sacumdì sacumdà, né gioia né dolore, né noia né stupore, né argento né carbone, pace equità giustizia, agli Uomini, solo grazie alla loro buona tenace volontà. Ciao, poveri diavoli.

Registriamo con allertato allarmato allucinato stupore l’invasione di Vespe aggressive con pungiglioni sfoderati e Gazze ladre – non gli Uccelli, di Hitchcock o meno – di diritti democrazia buon senso, senno perduto; un solo Ippogrifo in servizio permanente affettivo non basterebbe per andare di nuovo in missione sulla parte nascosta di Selene, a recuperare miliardi di senni, in esilio satellitare.

La Gazza ladra di Gioacchino, Rossini – grande musicista, sontuoso gourmet – è un’opera semiseria, un po’ come questo Mondo Dopo, nel quale sopravviviamo in bilico tra farsa e tragedia.

Pirati, Fratelli della Costa, schiuma sana dei Sargassi, avete mai considerato l’heavy metal dell’età medievale? Colonna forse non erculea, alla fine del Mondo conosciuto, là dove esisteva Atlantide, ma colonna sonora d’ispirazione ribelle, contro ogni sopruso, mentre il vascello personale issa sul pennone Bandera Negra: Satania dall’album del 2000 e mai più 2000, Finisterra, di Mago di Oz, gruppo iberico, autore di musiche e liriche quanto mai adatte, propizie, propedeutiche.

Ah Benvenuti nella nuova era, in un mondo senza dolore,
senza amore né immaginazione,
dove la pioggia sazia una foresta che non puoi vedere
se non navighi in rete

Sorella Luna
Ha smesso di pettinarsi
Beh non riusciva a trovare, no
Il riflesso nel suo specchio, il mare Guarda fin dove la ragione
può vedere che il sole è tramontato
Cavalcando una nuvola di carbone e gas mortali
Andarono in cerca di un fiore bene

Fratello Sole
Stanco dell’illuminazione
Alimentato da
un disco rigido e un terminale

Oh-oh, in Satania sei I
tuoi pensieri programmati
Oh-oh, premi il pulsante
Naviga nel mio mondo, wishes.com

Costruisciti un paradiso, un amante virtuale
Invia i tuoi orgasmi via e-mail
Disegna un tenero bacio o un gesto d’amore
Apri un file e salvalo Acquista un programma
speciale per piangere
Dove in lacrime
Puoi scegliere la varietà

Oh-oh, in Satania sei
i tuoi pensieri programmati
Oh-oh, premi il pulsante
Naviga nel mio mondo, wishes.com

La voce del tuo maestro Sono
legato al tuo cuore
Ti concedo un futuro
In cambio della tua libertà Oh-oh,

in Satania sei
i tuoi pensieri sono programmati
Oh-oh, premi il pulsante
Naviga nel mio mondo, desideri.com

Oh-oh, in Satania sei
I tuoi pensieri sono programmati
Oh-oh, premi il pulsante
Naviga nel mio mondo, desideri, desideri, desideri.com


Ladri di vite e di domani, di speranze e orizzonti, si riuniranno per l’ennesima volta a Bruxelles, il gran convengo delle testoline di Gazza, e per gli umani liberi saranno decisioni amare come cavoletti; mangeranno sbaferanno si ingozzeranno a quattro palmenti e per la 1000° volta partoriranno la svolta epocale, sempre la stessa: riduzione delle emissioni dei gas serra del 55%, rispetto ai livelli del 1990!

Anche Elio ha deciso di ritirarsi su un’isola deserta, o forse una nuvola cosmica di carbone e gas letale, alla ricerca di quei fiori che non trova più, non riesce più a illuminare sulla Terra.

Fiori e magari opere – di bene – in memoria dei cinque milioni di martiri ogni anno, vittime della crisi ambientale di origine antropica, mentre oscuri araldi e banditori diffondono in modo capillare, martellante il virus, il morbo più temibile: quello della paura che obnubila raziocinio, compassione, empatia.

Quando le grida soppiantano i ragionamenti, i fuochi nella notte sono quelli delle orrende pire, i roghi degli eretici che bruciano con la mordacchia alla bocca, perché le loro parole terrorizzano il potere, anche in mezzo alle fiamme.

Abbandoniamoci ad un sabba dionisiaco esoterico, il sabba degli uomini liberi che ancora sognano, sulle note suonate da arpe e viole elfiche, bipedi che non vogliono farsi marchiare, non vogliono consegnarsi rassegnarsi alla schiavitù, del pensiero e delle emozioni imposte da una machina, una qualunque; giogo, lasciapassare, somministrazioni di sostanze sperimentali: sono violenze, prevaricazioni incostituzionali crimini contro l’Umanità, l’esercito di Ippocrate si opporrà alle schiere mercenarie della casa di carta farmaceutica globale.

Cedi, figliolo, lasciati iniettare il siero della felicità sintetica virtuale, ti concederemo (con cedere) un futuro, in cambio di poco: la tua libertà. Cedi e non sarai più costretto a stare qui incatenato, con lo spalancapupille, davanti a uno schermo che riflette – almeno esso, riflette – h24 immagini di decessi terribili, da pandemie, le più varje.

Hai optato per il cocktail giusto, bravo caro Alex, vedrai da oggi come starai bene, grazie alla rieducativa ‘cura Ludovico’: a proposito, lo sapevi che il grande regista Stanley Kubrik aveva scelto proprio l’ouverture della rossiniana Gazza ladra quale perfetta atmosfera ritmica per la sua Arancia meccanica?

Saracinesche

Pagina Bianca, Pagina sfondo bianco per vecchie Saracinesche chiuse, abbassate per sempre, bloccate a terra da chiavistelli ormai inviolabili.

Saracinesche verniciate di verde smeraldo, in un tempo antico, anzi in una dimensione presente archiviata; verde allegro come un prato primaverile dopo salvifico acquazzone improvviso;

Pagina delle Saracinesche scrostate, arrugginite, dimenticate dai proprietari e dai passanti, abbandonate al loro destino, cigolano, gemono, si lamentano per l’incuria e per la mancanza di attenzioni, come i fantasmi che popolano quegli edifici fatiscenti da cui promanano effluvi maleolenti ectoplasmatici muffiti.

All’esterno, fuori da noi e dalle nostre case, imperversa la Danza della Morte e non so nemmeno più se sia rito macabro o festoso, se il ‘fuori’ riguardi il Mondo Prima o quello, alieno e inesplorato impraticabile del Dopo.

Saracinesche spente, sarabande di bande disperate disperse, senza bussola sotto un cielo nero di stelle, travisate con i mantelli dell’invisibilità.

Generazioni di Giovani condannate a massacrarsi per la stupida tracotanza di pochi disperati inumani che si credono potenti e mascherano la loro cupidigia di bassa lega dietro parole vuote auliche (dei patrie famiglie…), generazioni annientate, persone di ogni età, moribonde e/o decedute, in infinite file, cataste, piramidi di bare senza nome, senza un saluto, senza più parole, senza un commiato affettuoso, senza un abbraccio fisico o anche solo ideale;

l’uomo diventa ritorna si scopre tremebondo nulla, pulviscolo evanescente primordiale.

Niente faccia, niente nome, niente identità; eppure ottenebrati dall’illusione criminale e letale di dominare il mondo, per inesistente diritto divino.

Il Pianeta e la Natura, flemmatici e incuranti, preparano senza fretta né alterigia, la necessaria finale raschiatura della vecchia pergamena, ormai consunta da troppe banali riscritture, inutilizzabile, incartapecorita, malsana.

Una catartica palingenesi e il giardino dell’Eden risorgerà non dalle ceneri, ma da fonti incontaminate, mai sfiorate da mani umane, splendido sontuoso, di sbalorditiva Bellezza.

Per pochi eletti o per nessun elettore.

Dopo. Tutto questo trionfo della Vita, dopo di noi.

Senza di noi, perché la pietra pomice avrà ripulito l’Universo anche dalle residuali vestigia umanoidi.

Un palinsesto, un’overture a sorpresa: Guglielmo Tell, William il Conquistatore, Guglielmo (Elmo?) Arancia d’Inghilterra, o Lone Ranger?

Mentre Gioacchino, cuoco musicista o viceversa, si esibisce nella preparazione di raffinati manicaretti per concludere lo spettacolo delle Ere e inaugurare una storia nuova, un nuovo corso percorso;

chissà se esisteranno Narratori: per inventare parole nuove, vere, vitali, senza inganni né trabocchetti, dritte e taumaturgiche.

Chissà se ci sarà qualcuno pronto e fermo, con la volontà la necessità il desiderio di ascoltare, apprendere, dialogare.

Ascoltare e recepire, comprendere, non prendere, interiorizzare, progettare Nuove Comunità, dove potenziali Esseri del Futuro non siano più uomini predatori, non perdano la favella al cospetto dei Lupi, sappiano restare umani, figli fedeli dell’Humus originale, umili per ogni altro umile.

Capaci di bandire per sempre saracinesche, porte blindate, fortezze inespugnabili, strumenti della morte e immaginare solo storie per generare ponti di Luce, progettati e adatti per Esploratori della Vita universale.

Raschiare via senza rimpianto anche solo la memoria di una memoria precedente.

Per essere, per renderci, l’Universo e noi stessi, improbabili aspiranti eternauti, almeno una volta, liberi da vincoli e zavorre.

Liberi di esistere davvero.