Spirito, aspetto (spero?)

Pagina dello spirito; o Spirito, se prediligete.

Bisogna meditare bene, con calma, con autentica ponderazione, perché si fa presto a scrivere lo spirito o uno spirito, purché sia, ma si dovrebbe essere precisi, accordarsi (non a orecchio) su quale invocare.

Da etimologia, ne esistono molti, di vari tipi e funzioni: non sembra affare semplice o di poco conto. Chiediamo l’aiuto dello spirito puro e semplice, o del più poetico spirto? Come vedete e immaginate da soli, la questione si complica, dall’esordio. Spirito come soffio d’aria per intendere altro? Spirito leggero e incorporeo, come l’Anima? Disposizione di animo (al maschile, forse più tosta)? Spirito di contraddizione? Magari, critico, nel senso di: puntiglioso, preciso, scientifico. O mamma, ci vorrebbe una fidanzata, magari della Parola.

Parte essenziale di un discorso e soprattutto di una legge; ma se preferiamo un po’ di leggerezza, se aneliamo un pizzico di disimpegno e allegria, spirito inteso come quota volatile derivante dalla distillazione del divino… vino; come alcool, non per lo sballo, ma per per il sano divertimento. In vino veritas, per i più colti (coltivati): ἐν οἴνῳ ἀλήϑεια, come affermava sempre Zenobio, calciatore ellenico del II secolo dopo Cristo.

Possiamo raccogliere l’estremo spirito, alla Latina: l’ultimo fiato che fuoriesce dalla bocca di un moribondo a noi particolarmente caro; oppure, rilucendo nelle masse indistinguibili, mostrare acutezza di spirito, umorismo, spiritualità, ossia: capacità di dialogare con naturalezza con la dimensione dove albergano le anime (o gli anime nipponici?).

Meglio l’accezione grammaticale o quella magica, anzi alchimistica? Meglio quello aspro e concreto o quello dolce e immaginifico?

Meglio avere sempre presenza di spirito: rapidità e sicurezza nelle decisioni, al cospetto delle più varie e inaspettate temperie della vita terrena; meglio spesso, anzi, sempre, essere ricchi, se non di beni materiali, almeno di spirito: battute, anche salaci, e allegria, non mancheranno mai.

Per non ingarbugliare di colpo e in modo repentino le cose – tutto e niente – lascerei sopita la distinzione, la definizione filosofica della materia, del ramo (d’oro?), della disciplina. Tanto, siamo sempre in tempo a complicare una matassa ordinata perfettamente.

Aspetta e spera, nello spirito. Chi visse sperando, morì … cantando, direbbe Nonna Erminia, o forse, con energia inusitata, si unirebbe al coro (non di prefiche). Di più: lo dirigerebbe.

Aspetto fisico, come scriverebbe Alessandro Bergonzoni;

ma vorrei davvero tanto, anzi, infinitamente, che arrivasse – ovunque – lo spirito.

Qualunque cosa significhi.

Champagne (prosecco?)

Vorrei vivere dentro una frizzante champagne comedy, una vita da rosa purpurea del Cairo (senza allusioni, né doppi sensi); in alternativa, in un road movie, con Gianni e Pinotto.

Scendere dallo schermo, perché poi, mi chiedo ancora oggi? Restare in bianco e nero, eleganti poetici frivoli; tra grand hotel, sontuosi ricevimenti mondani, telefoni bianchi – cos’altro? – innocenti vanità, varie e assortite; ogni tanto un charleston – Charlton Heston? – per favorire il processo digestivo, assimilatore, ma con moderazione.

Non escluderei ai priori, dai priori, a priori l’ipotesi di vivere una vita da Zelig, poi mentre medito con più attenzione, mi balena – viva la Balena, non necessariamente albina – in capa la sensazione che il mondo sia già affollato di troppi astuti emulatori di camaleonti. I Camaleonti celebravano l’eternità, ma per loro era più semplice, considerato che l’orologio della piazza del loro villaggio si era fermato, senza un vero perché.

Champagne comedy, affascinante invitante, sempre con giudizio, o almeno libero arbitrio, ché da coppa di champagne a champagne molotov è un attimo; meglio la versione caprese – nel senso di Peppiniello – o optate per la versione punk – nel senso di Enrico con i suoi rombanti, effervescenti compagni di anni gloriosi, ruggenti, campali?

Alessandro il Grande Bergonzoni esprime un desiderio sensato, comune a molte persone e a molti popoli: in cielo tra le frecce tricolori, uno stormo di colombe arcobaleno; chi ha tempo non lo attenda, rischia di trasformarsi in Godot: ma come disse una volta un saggio tassista di Bogotà a Maurizio Maggiani, hay mas tiempo que vida, c’è più tempo che vita. Ognuno opti.

Miguel son mi, ma anche e soprattutto il professor Benasayag, filosofo e psicoanalista argentino, torturato durante la dittatura militare, reo di essere un militante della resistenza guevarista. Ci informa e ci ammonisce sull’esilio di massa, esilio dell’intera umanità: l’epoca chiamata antropocene, epoca di passioni tristi, in realtà crolla da sola perché nasce dalla nostra stoltezza che ci ha portati a reputarci separati e superiori all’ecosistema, l’unico sistema di cui dovremmo preoccuparci e sentirci parte. Il nostro esilio quindi è stato più immaginario che fattuale, ma ha prodotto danni e distruzioni concreti. Si potrebbe aggiungere che il virus più mediatico sia (stato?) il virus perfetto per questo capitolo della storia, sedicente moderna: ci ha costretti a separare i nostri corpi dalla Natura, i nostri corpi dai corpi dei nostri simili, in una pseudo quotidianità nella quale domina e siamo dominati dalla virtualità algoritmica. Senza vero ritmo vitale. Ma il prepotente ritorno, la ineludibile riemersione della complessità ci immergerà di nuovo nella necessità di vivere secondo tempi che rispettino i tempi ciclici, alleati di una scienza che non ceda più alla tentazione di razionalismo colonizzatore, ma che sappia trarre ispirazione anche dalle arti, conciliando razionalità e credenza popolare. Le tentazioni di fuga in avanti – o quello che reputiamo avanti – ci allontanerebbero ancora una volta dalla vita, quella vera e naturale.

Torniamo umani, torniamo dall’esilio, il progresso inteso, anzi male inteso, solo come progresso tecnologico, annienta tutto: la nostra umanità e le fonti, a partire da quelle della vita.

Libiamo nei lieti calici – libagioni varje – di champagne, prosecco indigeno per i puristi:

mai più esilio, reale o immaginario da noi stessi, per inseguire falsi idoli; come ha scritto un altro grande professore, Montesano – non er Pomata, rispettabilissimo Enrico – ma Giuseppe: impariamo a diventare vivi, anche leggendo libri, unico strumento sovversivo che ancora abbiamo a disposizione, per gente che non si accontenta solo di una, solo di questa vita.

Santé!

Uomini o caporali (colonnelli)?

Lacrime nel vento, lacrime sotto la pioggia.

Diluite dalla pioggia, non cancellate. Come l’etereo volto di Rutger Hauer nella ormai storica scena finale di Blade Runner, pioggia torrenziale che tra l’altro sarebbe stata utile per domare l’incendio ai Bastioni di Orione, a Troia assediata, a Roma, rogo che costò la reputazione al povero Nerone.

Il cittadino ciclista è la sciagura peggiore che possano immaginare gli amministratori delegati delle multinazionali del libero regime – libero il regime, di fare come gli pare e piace – neoliberista globale: una iattura, una catastrofe in grado di sbaragliare strategie di marketing, di abbattere raffinati giochini di borsa, di azzerare i lauti dividendi spesso esentasse in quanto non tracciabili (altro che green pass) dei soci della compagnia; la bicicletta è con le sue ruote l’inciampo trascurabile che manda a rotoli il sistema, il piccolo ingranaggio che con i dentini ai quali si aggancia la catena manda a gambe all’aria l’ingranaggio ciclopico del Mercato, il mezzo di trasporto più detestato e temuto nei consigli d’amministrazione. Il ciclista di solito è orientato alla convivenza pacifica, viaggia senza inquinare, adora gli armonici equilibri della Natura: converrete anche Voi che non esista un nemico più perfido per l’IperFondaco globale?

Non so se gli Androidi sognino davvero pecore elettriche – chiedetelo a Philip K. Dick – talvolta mi chiedo quali siano i sogni dell’Umanità nel Mondo Dopo, mi auto interrogo anche su quali siano i miei sogni. Calderon, oh Calderon, Tu dalla barca, potresti suggerire qualche nuova fantasia, all’altezza delle tue? La vida es sueno, ma questa somiglia più ad un incubo, da mancata o complicata digestione, post simposio luculliano. Per ingordigia indecente, ci siamo pappati tutto il Pianeta, a occhio sulle croci, la cuenta – por favor – sarà salata assai.

Lo spunto gustoso – non lo spuntino – offerto da Alessandro Bergonzoni con una sua brillante spigolatura dalle pagine di Robinson: quello che ci riguarda, quante volte ci ha già guardati sorvegliati vegliati? A forza, di guardarci, non si è ancora stufato? Abbiamo scoperto, incredibile nevvero? che il Popolo dei Castori è abilissimo nell’ingegneria idraulica, potrebbe aiutarci a risolvere tanti ormai famigerati problemi, vicino ai fiumi e ai laghi: abilissimo, non miracoloso; il resto del lavoro, spetterebbe, finalmente, all’Uomo, ridestato dal lungo inspiegabile sonno. Della ragione, in primis.

Come fa notare con arguzia Stefano Massini o come lo interpreto secondo esegesi mia personale: siamo passati dal piccolo spazio pubblicità delle Bollicine di Vasco da Zocca – o dall’intero cd degli Afterhours a disposizione per promuovere un’azienda, invece di sprecarlo per una musica inutile – allo spazio a pagamento; attenzione, non per tutti, con buona o cattiva pace, eterna, dei romantici Pirati del cosmo della nostra infanzia. Voli spaziali, poco pindarici molto esclusivi, solo per i riccastri della Terra, quelli che obnubilati dai conti bancari si reputano dei di un qualche olimpo di ordine minore, quelli che – hai visto mai – fosse vero che Gea presto deciderà di espellerci dal Suo regno, tentano di raggiungere mete alternative. Immoralità, di livello siderale, senza la bellezza delle Stelle.

Mentre in Israele, dopo il quarto tsunami virale, hanno inaugurato – primi al Mondo, record olimpico – il terzo girone di inoculazioni – perché il siero miracoloso è ancora in fase di rodaggio, miracoli sì ma a tassametro – alle nostre obliquitudini, registriamo con soddisfazione il cambio di passo della comunicazione istituzionale. Dal macabro ‘ricordatevi che dovete morire, voi’ con annesse parabole belliche, al tono piacione e festaiolo per lanciare nell’etere il nuovo claim vincente: no vaccini, no party!

Più del dovere civico, potè l’irrinunciabile voglia estiva di movida.

Questo colpo di genio, unito all’arrivo nei bazar virtuali del nuovo gioco prezioso, ottimo per la stagione – il Cantacovid – ha mutato le sorti i destini gli orizzonti, della pandemia non si sa, ma degli incorregibili vacanzieri di sicuro. Compra anche Tu il Cantacovid, il karaoke connesso a Tik Tok, già virale nell’Universo, per divertirti senza limiti, né Great Pass nelle lunghe sere d’estate; invita anche tutti gli amici, tutto il quartiere, nemmeno l’afa (o l’aifa) potrà fermarci – chi fermerà la musica, anche se l’aria diventa elettrica?

Se tutte queste lodevoli iniziative non dovessero ottenere gli effetti auspicati sperati programmati ai tavolini delle buvette governative, nessun timore:

si passerebbe dal governo tecnico di salvezza delle anime e unità d’intenti particolari, a uno nuovo, più energico più marziale, come da desiderata di certi aedi mercenari che vagheggiano città pavesate, ma blindate militarmente e lunghe marce popolari per raggiungere i poli, d’inoculazione. Anche perché gli altri, nel frattempo, forse saranno già liquefatti e perduti per sempre, come certe belle patrie.

Uomini lo eravamo un po’ meno da un po’, ma uscendo dalla farsa dei caporali – kapò, come diceva quel Caimano – di giornata, per giungere alla tragedia smascherata della Giunta dei Colonnelli, almeno guadagneremmo qualche punto in chiarezza, dell’immagine, delle prospettive.

Si sa, i colonnelli rivendicano – anche da sobri – pieni poteri e vantano carta bianca.

All’immensa, eterna anima di Totò, compete per meriti artistici la risposta: adeguata e definitiva.