Valle oscura (salvare la selva e anche i selvatici)

Ritrovare il cammino, perdere il passo, sbagliare sentiero.

E’ facile accedere ad una valle oscura, anche se non sai come e cosa fare.

Se i nostri ricordi, la nostra storia, le storie di tutti noi fossero confinati dentro le nuvole, atmosferiche e virtuali, come potremmo poi accedervi, in caso di necessità? Il passato – scostumato, dispettoso – non è cristallizzato in una goccia d’ambra millenaria, è cangiante mutevole irrequieto, fuggevole, come il mercurio.

Rinominarsi, ognuno come gli garba, con l’identità che preferisce; da uomo a donna, attraversando tutti i gradi gradini, anche gradoni di Zeman, delle opzioni; come dice un vero uomo di mondo con pseudonimo femminile: meglio essere pesci rossi dentro la solita boccia o salmoni contro corrente che poi temerari abbandonano il loro fiume per scorrazzare tra i perigli imprevedibili dei vasti oceani?

La vera odissea è peregrinare verso l’ignoto o riapprodare a qualche Itaca, ignota forse più del cosmo sconfinato? Sono più astratte – l’altra faccia del pragmatismo? – le utopie dei ragazzi del ’68, o quelle dei giovani mutanti della generazione Z (Zorro? Una Volpe leader sarebbe sempre una benedizione) in questo Mondo Dopo, bislacco, ma prevedibile nelle solite magagne mancanze degenerazioni umane?

L’utopia è energia pulita e rinnovabile per alimentare progetti veri e rivoluzionari, o solo chiacchiericcio pseudo intellettuale, per darsi un tono? Tono su tono, dal visagista, quello delle dive, in contumacia di vere divine?

Attenzione: si fa presto a dichiararsi pronti al tuffo del salmone, per poi effettuare invece il salto della quaglia e finire dentro il solito, affollato ballo della cadrega, poltroncina, poltronissima, abusiva ma secondo la legge. Come certi disastri ambientali, crimini contro l’Umanità e contro la Terra, resi possibili seguendo pedissequamente i codici e codicilli di certe norme perverse.

I nazisti dell’Illinois sono insopportabili, ma anche quelli mimetizzati in certe sedicenti democrazie non paiono troppo affabili, né affidabili, soprattutto quando sparlano di pace, ma sono coinvolti mani piedi testa e pancia – anima no, sono sprovvisti dell’attributo – nel lucroso vortice affaristico di armamenti ed energie fossili; meriterebbero un giro di charrette calesse, carrello, biroccio che dir si voglia, per costringerli a imparare quell’oscuro oggetto del desiderio della stragrande maggioranza dei popoli terrestri: progetti partecipati di pace e democrazia.

Se perfino i gorilla della reclame esortano a restare umani, possiamo davvero deludere quel visionario che auspicava come festa per tutto il Mondo la capacità di fare la pace, prima – molto prima – di farsi la guerra? Con arguzia, Passepartout disegna perle: Darwin aveva intuito che sopravvivono non gli animali più forti, ma quelli che sono in grado di adattarsi all’ambiente, non aveva previsto che l’ambiente non sarebbe stato in grado di sopravvivere a certi animali.

Noah, maga di solito gentile, quale consiglio regaleresti ad una contea nella quale fiori, arbusti, erbe, vegetazione varia e variegata pare abbiano smarrito ogni traccia, anche minima, dei propri naturali profumi?

Qualcuno deve sempre, per forza, per amore, per amore della forza – con la forza dell’amore – comandare? Plebiscito – elmo di Scipio, o plebe di scito? – per designare un poeta alla guida o lasciarsi guidare a briglie sciolte, senza briglia alcuna né mordacchia, dalla sola, pura poesia? Dilemmi: la sentenza sarà ardua, ma rispettosa della metrica.

Alla fine, andiamo sempre tutti via;

la tragedia è questa, la vera valle oscura immensa, immersa nel terrore,

è quella abbandonata, quando fuggiamo via:

da noi stessi.

Comprimari anonimi

Se anche la follia mi diventa ordinaria – signora mia, mia signora – dove andremo a concludere le parabole?

Mi proporrei, indegno (il sottoscritto), a Simenon, non come protagonista; sarei felice di diventare anche solo un comprimario di uno dei suoi innumerevoli romanzi: non un aggettivo (come Fellini), né un avverbio, tanto non li utilizzava, li aveva eliminati, sfrondati su consiglio di Madame Colette che in spregio alla scrittura barocca e ridondante gli raccomandava: dalla letteratura, elimini la letteratura e tutto andrà bene.

Sono solo un portatore sano di nome, un tizio che auspica di finire – o ricominciare – dentro una pagina del Maestro, un nome da estrarre a caso dalla rete, anche perché oggi dagli elenchi telefonici cartacei sarebbe improbabile; in una riga, in un dettaglio impercettibile, uno stato d’animo passeggero o un anonimo passeggero di contorno, in qualche snodo di raccordo, quelli utili a collegare i passaggi determinanti delle umane vicende narrate.

Anche un autore buono, un uomo buono, quale Gianni Rodari, sottolineava l’importanza della capacità di pronunciare dei no, motivati; consapevole che rispondere spesso sì, in apparenza, semplifica la quotidianità; mentre la fermezza nell’opporsi, presenta sempre, prima o poi, un salato conto da pagare, senza abbuoni o biglietti omaggio, per il cinema il teatro, financo il circo, però moderno.

Caro Georges, José sarà mago, più che scrittore, però temo abbia ragione: la nostra cecità non è fisica, ma mentale; i nostri occhi funzionano, le nostre menti, invece, si rifiutano di vedere la realtà. Se deciderai di inserirmi in qualche tuo, avvisami, tramite piccione ambasciatore o pergamena, in bottiglia navale.

La cecità umana è follia o eminente idiozia? Non saprei, però chiedo: la Dea bendata è cieca o è una finta invalida? Di certo, la guerra ci vede benissimo ed è molto selettiva: sa bene quando palesarsi – del resto, è stata evocata per un biennio pandemico, forse l’ha scambiata per invocazione – sa bene chi colpire (i soliti poveracci), sa con precisione traumaturgica chi favorire; non fosse già così tanto impegnata, le si potrebbe chiedere di governare il mondo.

Non servono poderosi, ponderali – molto ponderati – tomi per analizzare la società e l’animo umani, per rivelarli; non servono blog, siti internet, vlog e chi è più virtuale (o virtuoso?) ne aggiunga: di solito, tutte le epifanie sulle deviazioni, devianze, meschinità sono ottimamente (chiedo venia per l’avverbio) mostrate, posate sulle gote rosse di vergogna e sulle coscienze scarlatte di colpa, dentro le pagine cartacee – di rado superiori a 200 – dei romanzi del pluricitato autore belga.

Per questo, non possiamo dirci, fingerci sorpresi o indignati, quando puntiamo l’indice contro le colpe altrui: siamo così ipocriti e in mala fede che tentiamo di occultare le nostre nefandezze, le nostre nequizie più malvagie, individuando un cattivo comune, un nemico di turno che funga da catalizzatore del male: da maledire, condannare, eliminare. Le pietre e le travi restano conficcate, nei nostri occhi, nelle nostre mani, lorde.

Con indolente leggerezza, nell’ambito di uno spettacolo brillante, anche Teresa Mannino, denuncia la nostra pseudo follia; le sue parole di ironica (non ho scritto iconica) saggezza, dovrebbero offrirci spunto, non solo per sorridere: per agire con intelligenza, con lungimiranza;

come razza, siamo diventati così stupidi e arroganti che ci illudiamo di migliorare attraverso la tecnologia, quanto la Natura ha creato e reso perfetto nell’arco dei millenni.

Nessuna sciocca invenzione, manipolazione umana, supererà mai un alto stelo di grano, né la corona di erbe spontanee che rendono i suoi chicchi unici, per proprietà nutritive e sapore.

Dalla guerra guerreggiata, alla guerra fredda, auspicando che il procedimento evolva in fretta in pace, anche fredda shakerata, da gustare, sorbire: con immenso piacere.

Pacifici anonimi incalliti (PAI, come le imbattibili patatine dell’infanzia), comprimari anonimi.

Però, pensanti.

P.S. Se Simenon fosse troppo impegnato in uno dei suoi viaggi intorno al mondo, come consolazione di lusso, mi appellerei a Jiro Taniguchi: comparire all’improvviso nel suo capolavoro L’Uomo che cammina, in compagnia del fedele amico a quattro zampe, sarebbe un onore; nel ruolo del camminatore, o nel ruolo del cane.

Project UFO

Pagina dello sdegno, della sorpresa, dell’indignazione, ma in grandi, rumorose quantità contro un nuovo Project UFO.

Gli scienziati bocciano un loro collega che, attraverso un documentato libro, sostiene l’esistenza, non probabile, ma certa sicura garantita al limone coltivato su Melpomene – fosse anche solo un pianeta e non una Musa ispiratrice, potremmo festeggiare con danze e canti – , degli Alieni.

Quante erano le dee dell’Olimpo e quali i loro attributi? Quante le muse e di quali materie si occupavano? Se esiste il Mal d’Africa e colpisce anche coloro che non ci hanno mai posato piede, mi sorprende di meno apprendere dell’esistenza della malinconia di Melpomene, ma non incamminiamoci su viali tortuosi e complicati.

Alcuni oggetti misteriosi, avvistati di recente nella nostra galassia e sprovvisti perfino di green pass, non sarebbero stelle o comete o asteroidi, ma astronavi o manufatti alieni. Lo afferma – sulla base dell’osservazione delle traiettorie e dei riflessi di luce cosmica sulle loro superfici – sempre lo stesso studioso che cerca, come novello Galileo, la verità là fuori; ci sono o ci sarebbero più cose in cielo e in Terra di quante ne possano prevedere le nostre fallaci, limitate filosofie? Non trascurando – anzi, forse sarebbe opportuno oscurarli – che i satelliti, le miriadi di nostri satelliti artificiali, lanciati in orbita sopra e all’insaputa delle nostre teste, con le loro luci di posizione, stanno sfregiando anche la vista del manto stellato notturno.

Caro Greg, ammettiamolo: oggi, arrivassero gli alieni, stropiccerebbero antenne occhi e eventuali tentacoli, osservando molti più extraterrestri qui tra noi sulla Terra, di quelli presenti a gozzovigliare nelle peggiori bettole della saga di Guerre Stellari, o sul lato oscuro della Luna, tra Popolo di Vega e Meganoidi.

Lo stesso ET, precipitasse adesso per il classico guasto al velivolo cosmico, allibirebbe e si direbbe: ma sono già rientrato a casa, senza nemmeno telefonata d’urgenza per richiesta soccorso interplanetario?

Va bene, le sciocchezze virali non si cambiano (soprattutto se garbano ai fantomatici mercati e poi lo ha detto anche la Rai), ma tra resilienza, green economy, Costituzione green per riforma (verde bile, di rigetto per la nostra idiozia), bum (!!!) dei like sui social e derelizione – deiezione morale? – quasi quasi, anche gli ospiti Alieni, preferirebbero la seconda; avessi sottomano un vocabolario, saprei scrivere il significato del lemma, ma non esageriamo con la perniciosa cultura. Tutto troppo connesso, ai condizionali.

C’era una volta la borghesia, che organizzava le rivolte in piazza – tanto poi, in piazza, a prendere botte e fucilate, scendevano soprattutto i villici – creando falsi miti di progresso; la sana antica borghesia, in allegra compagnia delle genti, quella del darwinismo sociale, è stata divorata dalle compagnie transnazionali, le stesse che, senza badare ad accuse di megalomania, allestiscono finte crisi geopolitiche, con autentiche crisi umanitarie da guerre, armate ambientali, su scala planetaria, per maggiori profitti e glorie finanziarie; vuoi mettere la differenza.

Dove custodiranno poi gli immensi tesori accumulati? A Fort Knorr? No, in quel maniero di cemento armato e metallo, solo i dadi vegetali degli antichi druidi, insieme alle pietre non d’oro, di granito, del curling, praticato dai 333 giovani e forti italiani.

Il tapino ET, Kunt per gli amici della futuromania, al dunque della vicenda, qualora sbarcasse adesso nel nostro giardinetto condominiale, nonostante nei decenni l’Umanità abbia spedito nello spazio messaggi di pace, brani musicali, poesie, rischierebbe di essere accolto a suon di bombe, però intelligenti e tanto festose;

se ne ripartirebbe, forse mesto, certo ammaccato e disilluso, pensando:

come mai si sono estinti animali prodigiosi e progrediti quali i dinosauri? Invece, questi bipedi si sono moltiplicati a dismisura e hanno infestato il Pianeta azzurro; prima del decollo ascensionale verticale, il classico saggio venerando – immancabile, imprescindibile – si recherebbe da lui e abbracciandolo per un congedo consolatorio, gli racconterebbe una istruttiva storiella di Gianni Rodari, quella della volpe che campò una lunga vita, fingendosi morta e divorando tutte le galline che ogni volta organizzavano una cerimonia funebre in pompa magna, credendo di essersi liberate per sempre dalla temuta, astuta predatrice.

ET, sfrecciando di nuovo verso lo spazio, libero, con un irresistibile sorriso, ironico sardonico, aggiungerebbe però un piccolo quesito finale:

le storielle sono belle, perché ognuno le interpreta a piacimento, tra voi chi sono le galline, chi le volpi?

Tra me e te, chi è il vero ufo?

P.S. Con un caro saluto e un abbraccio al Marziano a Roma, il leggendario Marziano di Ennio Flaiano; ma questa è davvero un’altra storia, o forse, sempre la stessa.

Archimandrita

Pagina dell’Archimandrita, prima o poi capirò chi, cosa o anche casa sia.

Archimandrita da non confondere con l’Arcimandrillo, perché – viene da sé – un paio di maniche, il guidare le greggi (le Leggi?), altro, davvero altro genere, in mezzo alle greggi, baloccarsi.

Il Vincastro dell’Arcimandrita: prima o poi l’Acca, muta – muta d’accento e di pensier – ma burlona, la finirà di tendere tranelli e gli insulsi blogger smetteranno di compulsare lemmi incomprensibili (appunto, CVD).

Archimandrita delle greggi popolari popolane – le Popolane sono belle – tu che sbraiti arringhi le folle virtuali invocando onore per le vittime del virus, auspicando mordacchia, museruola, ludibrio pubblico, gogna coram populo, forse rogo nella piazza, per chi non la pensa – obtorto collo (se il collo ha sempre obtorto, la ragione dove dimora? Forse poco più in là) e anche mente – come te; tu che non menzioni mai, non concedi mai un minimo di pietas per i danneggiati i dannati i caduti sul glorioso cammino poco lastricato del magico siero, tu che parli spesso di te stesso e lodi sperticandoti le mani e le tonsille le tue luminose eccelse ineguagliabili qualità, tu hai almeno il Vincastro in regola? Omologato, senza rate arretrate del bollo?

Altri Arcimandrilli, nella jungla poco urbana, offrono paragoni letterari inusitati: le dosi del miracoloso rimedio – miracoloso, davvero per chi lo fabbrica e smercia sulle piazze del Mondo Dopo – sono come i Moschettieri, tre nel titolo ufficiale, ma quattro o un esercito nella realtà; non come i deludenti Fantastici QuattroMamma, deciditi a rivelarmi finalmente come dormono – che saranno anche fantastici, ma quattro restano, come i gatti nel vicolo dei Miracoli e gli amici al bar che ancora credono, tra una chiacchiera e una barzelletta, di avere il potere di cambiare il Pianeta.

Esiste una grammatica archimandrita della Malinconia? Magari servirebbe a orientare, orientarsi, trovare di nuovo, o un nuovo – tout court – Oriente; se malinconia deve essere, vesta almeno colori pastello, come diceva Fellini al giovane Piovani: malmostosa, ma capace di non prendersi troppo sul serio, auto ironica, musicale, perché anche nell’Amore non contano le parole – mica sono numeri, anche se numeri e numerologia restano fondamentali per l’architettura generale – conta solo la Musica. Musica pericolosa se le permetti di oltrepassare la corazza del suono, se lasci che diventi una vibrazione cosmica da incontrare affrontare esplorare senza tuta, spaziale ma per tutelare l’Anima.

Se potessi scegliere un mio Archimandrita personale – personal Jesus trainer, senza offesa – opterei per Gianni (Morandi? Rivera? Anche), in primis Rodari; a Lui chiederei lezioni nel peripato, deambulando sereni ciascuno con la propria copia della Grammatica, quella della Fantasia e non solo perché ‘anta/e litteram’ prese le difese della nostra sentinella nel Cosmo (Grendizer, grazie sempre Go Nagai). Non avrei paura, né onta, né terrore di sbagliare, perché se sbagliando s’impara, sbagliando spesso e volentieri, alla grande, s’inventa: la Fantasia della nostra mente/cervello sa creare sempre sentieri imprevedibili invisibili inaspettati.

In quattro, sempre e solo in quattro, con o senza Archimandrita – a proposito, ma Peppiniello di Capua può essere considerato l’Ammiraglio molto ammirevole dei Fratelli Abbagnale? – anche i Cavalieri dell’Apocalisse, sul calesse siderale; se posso, dovrebbero sbrigarsi a consegnarla, l’Apocalisse: quella vera, non il disastro finale, a quello stiamo già provvedendo da noi; no, servirebbe come il Pane quella etimologica, una bella sana robusta Rivelazione di Verità;

ci faremmo bastare anche solo un piccolo raggio, capace di filtrare da una impercettibile crepa sul muro nero.

I Maggio: Festa o Spiga?

Pagina delle Spighe, varie assortite sparse sul terreno, dopo la mietitura.

Pagina delle Spigolatrici, non solo di Sapri; in oMaggio alla correttezza formale politica istituzionale del Mondo Dopo, non tralasciamo di menzionare gli Spigolatori: chi sono costoro, forse figli di un dio delle messi, in tono minore?

Caro Statuto, ti sorprenderebbe assai – ammesso Tu non ne sia già a conoscenza – quanti Artisti Letterati Poeti Navigatori forse anche Santi, siano stati colpiti (da una spiga, in fronte?), ispirati dalla romantica figura delle Donne spigolatrici; romanticismo sì, per la presunta purezza della vita umile nei campi, consapevoli però delle fatiche bestiali dell’agra quotidianità.

Curiose coincidenze: Le Tre Spigolatrici, di François Millet, dipinte nel 1857 in grande formato, quello di solito riservato ai quadri celebrativi di gesta eroiche e storiche, furono una denuncia e uno schiaffo in faccia all’arrogante borghesia dell’epoca che poco gradiva anche solo vaghi accenni alla povertà delle masse; ma le schiene ricurve delle Tre Grazie dei Poveri sono colline del disonore per chi in ogni era, anche qui nel Mondo Dopo, rifiuta la realtà e la responsabilità delle condizioni disumane cui sono condannati, senza colpa, milioni di propri simili. Anche Vincent, Van Gogh, ammirato, si cimentò in una copia dello scandaloso dipinto.

Nel 1857, il rivoluzionario Carlo Pisacane sbarcò prima a Ponza, liberando 300 (323, pignoleria storicistica) prigionieri, alcuni per reati politici – Loro, senza tema di smentita, veri patrioti – e in seguito, insieme a loro, nei pressi di Sapri, per sottrarre i braccianti al giogo di sfruttamento e schiavitù dei Borboni, ma la Storia sa essere cinica e spietata: i contadini, scambiandoli per briganti, allertarono l’esercito borbonico che con l’aiuto degli stessi autoctoni, sobillati a puntino dai reazionari, trucidò quasi tutti i liberatori; ah Luigi, eran trecento, eran giovani e forti, ribelli in nome della Libertà, arrivarono un mattino a bordo di una barca in mezzo al mare… laggiù in mezzo al mare, ci stan camin che fumano, forse fili di fumo di pire funerarie galleggianti, per celebrare ideali e idealisti. Cenere nel Vento.

Quel ‘maledetto’ 1970 del Mondo Prima rispunta a ogni ricorrenza, volenti nolenti, maleolenti di sospetto, sospesi presagi: la 300 – nel senso della legge n. – era Giovane e Forte, ma ignara della sua sorte, molti anni dopo, incontrò Sora Morte, istigata da menti traditrici cospiratrici; a pensarci, gentile Statuto, anche Tu con obsolescenza connaturata, come tutte le umane cose, potresti recriminare, ma sei documento superiore; a pensarci ancora meglio, non per scadere, come prodotto confezionato, nelle vicende personali, considerando che siamo coevi, forse anch’io, oggi, non mi sento troppo in forma.

Il paradigma vivente di transizione e resilienza – quelle vere – si chiama Jonathan, testuggine gigante delle Seychelles, per quanto sappiamo, animale più longevo del Globo; arzillo vecchietto di 189 anni – i suoi primi 189 anni! – trentenne vide con distacco la guerra civile tra gli stati del nord e del sud negli Usa; cinquantenne, fu trasferito, magari non per sua volontà, ma con invidiabile flemma, sull’isola di Sant’Elena, proprio la stessa dell’esilio napoleonico, dove vive tranquillo ancora adesso: non Bonaparte, Jonathan.

Non so se questo mondo sia stato creato per finire in un bel libro (liber…), come sosteneva il poeta Mallarmé; certo sarebbe confortante se da bei libri, traessimo ispirazione per progettare un mondo nuovo, equo e libero; come scrisse l’ineguagliabile Gianni Rodari, sarebbe magnifico se tutti potessero leggere (ottimi) libri, non (non solo) per diventare scrittori e poeti, ma per non diventare schiavi: mai più.

P.S. Canzone del giorno, Il Mantello e la Spiga (Franco Battiato).

P.S. II Numismatica del giorno, monete dell’Impero romano, con le spighe di grano nella Cornucopia, simbolo di abbondanza ricchezza benevolenza degli Dei; in alternativa, le gloriose 10 lire del 1951. coniate dall’Istituto poligrafico e Zecca – nel senso di battere conio, non ideologico – dello Stato.

Colonne infami e Utopie

Pagina della Colonna, Piazza Colonna, Colonna infame infamante o di semplici morti di fame?

Forse quinta colonna, colonna della quinta, gola profonda, perché una spia, non necessariamente dal freddo, talvolta anche a L’Avana, si trova sempre. Pazienza, se non mi ama.

Arrivò di notte, anche se piazze vie vicoletti scorciatoie nascoste e scorci erano stati da tempo e per tempo bonificati e desertificati (anche perché volevamo dare una robusta mano ai mutamenti climatici e genetici). Scortato da un’imponente colonna militare in assetto da guerra.

Di notte, non con il favore ma con tutto il sinistro fervore delle Tenebre, giunse l’Araldo; Araldo del Potere, Araldo dei Negromanti (non gruppi pop del Salento), Araldo dei Neo Leviatani, incaricato di affiggere il terribile nuovo reale cogente editto (Ei lo disse…) alla colonna virtuale; affiggere per affliggere e infliggere; i cittadini non dovevano sapere, i cittadini dovevano solo rassegnarsi e ubbidire, in silenzio, a testa china, chinando la testa al cospetto dei tiranni insinuati ormai perfino nell’intonaco della Stanza dei Bottoni. Prostrarsi prostrati.

Bottoni colorati, ma non nuove battaglie dei bottoni, né passatempi ludici per i Bambini del Popolo.

I piccini, infingardi e imbroglioni, piccole spore del Demonio, in realtà ci odiano, sono loro i nostri nemici più letali, sono gli Untori.

Il Potere aveva deciso: una enorme U scarlatta di stoffa sarebbe stata tosto cucita da aziende tessili governative, sugli abiti destinati agli Untorelli (come agnelli sacrificali) che spargevano la peste del nuovo millennio, baloccandosi tra vairus e pandemie, nel Mondo Dopo, terrorizzato e infelice.

Pagina della Colonna cui legarono tutti i Bambini, Pagina dedicata ai Bambini di Prima che eravamo noi, ma lo abbiamo rimosso dalla memoria, abbiamo tranciato di netto tutte le Orecchie Acerbe rintracciate.

Pagina di quelli che oggi odiano i Bambini, detestano il Futuro perché sanno che non ne faranno parte, odiano i Bambini e li condannano, senza diritto di replica difesa appello, alla carcerazione preventiva, in attesa di caricarli tutti sulle astronavi in costruzione nei laboratori dei nuovi magnati, magnaccia del denaro fasullo e delle leve di comando, astronavi per deportare i fastidiosi mocciosi in una qualche dimensione del Cosmo. Abbandonandosi poi a nuovi inutili fatui fasti.

E Tu, signor Rodari, cos’hai da guardare? Resta nel tuo limbo etereo, inutile irrilevante; educare, imparare dai Bambini, giocando seriamente con Fantasia? Può mai essere affidabile efficiente produttivo un tizio che si fa chiamare Gianni? Grammatica della Fantasia, ppfffui!!!

Non abbiamo ancora capito che la Tua ‘letteratura infantile’ è lo strumento più potente per ammaestrare i sedicenti adulti, per guarirli dalla loro atroce banale aridità.

Laika scodinzolando tra le Stelle, attende i nostri Marmocchi (Occhi di Mare) …

Lei sì, li renderà liberi e gioiosi, con il senso di Gianni per l’Utopia.

Finalmente.

p.s. Utopia aveva una sorella maggiore che si chiamava Verità senza errore… ma questa è un’altra Storia.