Ocra

Vortici di vento, turbini di foglie o mulinelli di polvere cosmica, orde di gabbiani affamati.

Enormi zolle rivoltate: di terra ocra, arsa arida, mentre più nemmeno da ogni ferita aperta, il suolo stremato riesce a reclamare, invocare pioggia e salvezza.

Ha scritto dei libri, poi è morto: riuscireste a immaginare un epitaffio più bello per chi coltiva velleità letterarie?

Nessuno come l’insopportabile, insostenibile Simenon riesce, attraverso una rapida essenziale minimale descrizione di azioni quotidiane, in apparenza banali e registrando piccoli gesti domestici senza importanza, a rivelare i fiumi carsici, torbidi che attraversano l’animo umano: quando esondano all’improvviso in superficie, rivelano quanto i bipedi auto proclamati uomini, siano piccole, infinitamente piccole cose; molto spesso, anche troppo, impastate con tanta tenebra.

Equinozio, cavallo fannullone o giorno equo, in perfetto equilibrio tra giorno e notte? Ribaltare il giorno e la notte, almeno tentare, per saggiare l’effetto che fa: di solito, in quel fugace breve istante del passaggio di consegne tra le due fasi, accadono eventi portentosi. Per chi crede, per chi sogna, per chi progetta e fa.

Sognare Mammuth verdi che incedono inesorabili sulla neve candida abbacinante; inesorabili come destini di migranti costretti ad avanzare scalare proseguire, fidandosi dell’etica o della deontologia professionale di mangiatori di pietre, detti anche passatori, chissà poi quanto cortesi.

Impossibile non tornare alla terra che tremò, 65 milioni di anni fa – inezie, bazzecole, quisquilie – impossibile non pensare all’asteroide impazzito che zigzagando senza criterio nel cosmo decise di collidere con il pianeta Terra e innescare la traumatica estinzione – traumatica per loro, in primis, ma forse anche per i destini del globo – dei magnifici Dinosauri.

Arduo non da oggi rimare, rimirare – anche limare, volendo – arduo il poetare d’amorosi sensi, rimembranze, belle membra posate in chiare fresche dolci acque, dolci notti trascorse ad ascoltare la musica del vento; arduo ricostruire, quando chi vorrebbe battersi, battere le piste per edificare ponti di pace, viene additato quale sedicente neneista: ennesima idiozia mediatica propagata ai portavoce prezzolati, senza un briciolo di dignità, senza un’oncia di fantasia. Da sottoporre immantinente a test culturali: sui dadaisti, sui nichilisti, sui nichelisti.

Parare i rigori, del generale Inverno e non solo; nel Mondo Prima, quando anche le storie del calcio, qualche volta sapevano essere romantiche, quando la Russia, anzi le Russie erano CCCP, perfino un uomo gigantesco, scolpito nel gelido marmo, con una maglia nera e un berretto stile basco, capace – unico portiere fino ai nostri strani giorni – di vincere il Pallone d’Oro, si faceva applaudire dai suoi tifosi, ma anche dagli avversari cui negava spesso e volentieri la gioia del goal. Accanito fumatore, Lev Ivanovič Jašin morì a soli 61 anni, ma resta anche nell’immaginario di chi non ha avuto la possibilità di vederlo in campo, un totem non solo di classe, ma di correttezza e educazione: leggenda narra che i pochi attaccanti capaci di infilare il pallone nella sua porta, si fermassero poi a chiedere scusa, quasi avessero commesso un peccato di lesa maestà. Il nostro Sandro Mazzola ha sempre sostenuto che il tiro dagli 11 metri fallito contro Jašin durante una partita tra Italia e CCCP non fu un suo errore perché “quel giorno, in quella partita, in quel momento, lui mi ipnotizzò“.

Quando pensi al potere del carisma, pensa all’etimo, pensa al Ragno Nero.

Difficile discettare di Primavera – prima vera cosa bella nella vita, il tuo sorriso ad ogni età – chissà se Sakura fiorirà ancora, chissà se ChoCho-San – con o senza fili di vapore, fili di seta – organizzerà una cerimonia del thé completa e vorrà danzare per noi:

per tutta l’Umanità, senza distinguo, senza esclusioni, quando la Terra non sarà più ocra per sete, ma di nuovo per fierezza e regalità.

La memoria dei Mammuth e delle Pietre

Facile battuta: alla razza umana servirebbe un hard disk quantistico (come sono aggiornato!), una Memoria quasi infinita, come quella dei Mammuth.

I Mammuth si sono estinti, però se lo ricordano bene! Soprattutto, rammentano i perché e tutte le eventuali sciocchezze che hanno commesso; poi certo, una cospirazione universale contro di loro ha giocato sporco, eliminandoli in blocco ma questa è materia per paleontologi e storici.

Sei forse tu paleolitico? Dunque, abbi almeno la dignità del Silenzio.

Io da paleolitico quasi parente dei Flinstones e soprattutto di B.C. posso continuare a compulsare sciocchezze, virtuali.

Litico, appunto (litico, anche con me stesso, appena sveglio al mattino): perché oltre alle memorie virtuali esistono quelle delle pietre, altroché miscredenti malfidati. Per tacere, dei paradossi – dossi stradali? – che non sono paradenti o para bellum o para parti delicate, ma forse ci arriveremo; nel senso, a intenderci non ai sospensori utilissimi ai discepoli di Tersicore.

Le pietre emiliane soprattutto hanno voluminosa memoria – da suscitare l’invidia di Pico della Mirandola – ma anche quelle del Foro Romano e quelle del Partenone, se proprio non volete considerare la mirabile Magna Grecia (peggio per voi, senza offesa): interrogate in modo giusto e adeguato, ne avrebbero da raccontare.

La memoria, la memoria, della storia, delle Storie; un registro scolastico compilato quotidianamente con piccole volute – le volute di fumo azzurro lontananza, azzurro nostalgia – imprecisioni e ai posteri non sarà demandata l’Adua sentenza, ma tramandata una piccola verità storica, parziale, aggiustata, a uso e consumo.

Memoria, per chi volesse affrontare la sfida, Proust e Joyce vi attendono a braccia e tomi spalancati.

Pietre nella testa, quelle calpestate in epoche diversi, in snodi drammatici della vicenda umana sul pianeta, da Aristide e Hermes; se 22 e 14 anni vi sembrano pochi molti giusti, per affrontare le prove sovrumane imposte da guerre atroci, in Africa, in Europa, decise da uomini aridi pavidi gretti avidi: stupidi.

La memoria dei virus mutanti è formidabile – ah, ci fosse ancora il covo di quei formidabili pirati salgariani, dell’Emilio, che da bambino avrebbe voluto imparare non solo a navigare, ma a disegnare il Vento – meno quella dei bipedi che in teoria dovrebbe vigilare sulla nostra salute e garantire un’equa distribuzione delle risorse, comprese quelle scientifiche mediche farmacologiche.

Non ci sarà mai vera Giustizia fino a quando lo stato riterrà evasore un Poeta Inventore come B.M. – non il sedicente duce,m a Benito Martinuzzi – nullatenente causa affannoso inseguimento di un Grande Sogno, mentre continuerà a trattare con guanti bianchi i furfanti della grande evasione, quelli che uccidono scuola, ricerca, salute pubbliche.

Un gatto di pietra può ispirare un paradosso della branchia meccanica della fisica quantistica, conservando agilità e magia prettamente egizie, dell’antichissimo Egitto; se non mi ritenete affidabile né credibile – giustamente – crederete a Erwin Schrodinger che nel remoto, nel senso di lontanissimo da noi, 1935 utilizzò anche molta ironica fantasia per evidenziare quanto la meccanica quantistica applicata a un sistema fisico macroscopico portasse a risultati irridenti il buon senso quotidiano: noi, come il celebre gatto, possiamo essere considerati all’unisono vivi e morti, come i portentosi rimedi potrebbero senza dogma essere considerati efficaci o perfettamente inutili; del resto la ricercatrice sudafricana Coetzee – omonima di un grande Nobel della Letteratura – nonostante si sia sgolata per spiegare che Omicron causa sintomi lievi nonostante la rapida trasmissibilità, non è riuscita a evitare il solito allarmismo mediatico, con crollo delle borse e psicosi globali, peggio di quando sulla Terra giunsero i rettili alieni chiamati Visitors.

I Mammuth marciano, magari in modo flemmatico, le memorie quantistiche – memorie di Adriano, memorie di un Quanto – no, quindi sono utili non solo quali intelligenti animali da compagnia, ma nel caso, da soma;

le memorie virtuali di un comunissimo pc o quella di una chiavetta usb sono leggerissime volatili frivole, possono fuggire disperdersi scomparire nello spazio più o meno infinito;

quelle dei colossi litici no, non saranno pratiche da trasportare o portare, hanno il vantaggio però di essere – di solito, perfino in questo Mondo Dopo – stanziali:

sai sempre dove trovarle.

Anima Sinfonica

Sognando Fernando, sognando Pessoa.

Se le alte aspettative individuali travalicano la realtà, come Mammuth storici travalicavano i passi alpini, abbandoniamoci al concerto degli strumenti di cuore e anima, anima e core,

Come dicevamo a Roma nell’antichità: all’anima de li mejo animacci tua, senza anima senza cuore, dove andrai?

Un buon cuore potrebbe tornare sempre buono, soprattutto se dimostra nei fatti, con i fatti di essere anche solido e robusto.

Animare la realtà, la vera anima della festa. Il presente rimasto alle spalle in retroguardia non retrograda, per coprirci le spalle e scaldare l’anima quando i tempi, non solo meteo, saranno bui gelidi tempestosi. Come nei giorni opachi di questo mondo attuale.

Guardare dentro l’anima, sperando di non trovare l’abisso che scruta rovista ribalta, dentro di noi.

Caro Lucignolo, talvolta nella vita per restare in piedi non basta essere teste, di legno, è necessario essere sostenuti da un endoscheletro, un’anima, de fero; come certi pugni in guanti di velluto che sarebbe stato opportuno sferrare al momento opportuno, sulle facce di bronzo di certi figuri oggi assisi su poltrone luride.

Nell’Antichità, non sappiamo più nemmeno se la parola in questione in sé – almeno Lei – per sé abbia senso compiuto in formazione o da compiersi sotto forma di profezia, cercavamo le Anime, tentando di sintonizzarle tramite improbabili manopole, tentavamo di visualizzarle su arcaici curvovisori in vetro spesso e solo nei rari momenti di inaudita fortuna, Esse comparivano sempre avvolte in una misteriosa nebbia grigia, tempestata di puntiformi luminescenze.

La maschera è follia, ma se la Follia è un dono degli Dei, possiamo considerarla patologia o dono divino? Sotto la maschera il vuoto, con classe però, sotto la maschera l’anima, sotto la maschera l’inganno manifesto – manifesto dell’inganno per generazioni e popoli colpiti da narcolessia – pseudo paladini della Verità, un po’ dentro un po’ esterni alla rigida cerchia impermeabile del castello dell’imperatore, abiurano per accedere all’insana distribuzione delle briciole spazzate con disprezzo e noncuranza dal desco imbandito, briciole infette.

Se la natura divina di persone e cose rende superiori a ogni realtà terrestre mondana quotidiana – superiore persino alla saggezza umana come spiega la filologa e grecista Professoressa Veronique Boudon Millot – la Follia, di qualunque tipo essa sia (amorosa, poetica, creativa) è oltre l’immaginabile e l’inimmaginabile, in stato grado collocazione celeste rispetto alle questioni del Globo, un universo apparentabile all’Iperuranio delle Idee, quelle vere quelle geniali quelle lucenti e perfette.

Augusto, divino augusto Artista, padre spirituale, davvero nobile di fatto e non di presunto sangue, avremmo dovuto trovarlo progettarlo edificarlo quel riparo per noi, troppo tardi ormai per tutto:

speriamo che almeno le Anime siano riuscite a coalizzarsi, organizzarsi, emigrare.

Forse non sono un palombaro dell’Anima come Fernando, forse non ho ancora individuato gli strumenti musicali – soprattutto scordati e dissonanti – sul fondo, di certo non conosco la mia interiorità e non la riconosco come un melodioso concerto.

Di concerto, per certo, certificato, comincerei a preoccuparmi se votassi per i sedicenti vincenti:

sarebbe il segno inequivocabile che lo scrivente o i candidati o tutti assieme meschinaMente hanno commesso degli errori, pacchiani lapalissiani;

qualora dovessi verificare una lugubre sciagurata sintonia tra le mie opzioni elettorali e i risultati finali, significherebbe solo una avvenuta mutazione transgenica, della mia Anima.

Se fossi il sogno di un sognatore, vorrei essere per lui, un bell’incubo, per rendergli interessante il viaggio onirico, per stimolare in modo adeguato la sua, di anima.

La mia anima reclama, esige quiete: Realtà, se proprio devi, ribussa, domani.

La Voce (a me dovuta)

Pagina Bianca, Pagina della Voce ritrovata, risanata; come una preziosa Amica dei tempi fuggiti, Amica caduta dal Cavallo ingannatore o forse da una scaletta lignea semovente, adatta a riesumare libri antichi, incunaboli segreti e misteriosi, celati nelle nicchie della Biblioteca di Babele.

O in quella di Atlantide (per tacere di Mu e delle impassibili facce litiche di Rapa Nui), in anticipo di millenni sul ridicolo ‘prima’ del III millennio, in anticipo su ogni inabissamento, non per insostenibile Felicità, ma per insostenibile dilagante virale: Stupidità.

Voce mia, Voce a me dovuta, perduta vagante nei meandri dell’Anima, dispersa in azione, dentro un dedalo di inutili contrade urbane, identiche nello stereotipo globale, imbellettate per spot da ipocrita reclame, degna di sordide chincaglierie; sovrastrutture tartariche che trascinano nel Tartaro: abbattere Alberi per lasciare spazio, ogni spazio, tutto lo spazio, a cemento asfalto e motori.

Voce ritrovata, ripescata grondante e infreddolita dal fondo del pozzo, esaurito da troppi desideri banali; issata a bordo di un Nautilus di salvataggio dalla Fossa delle Marianne delle aspirazioni, aspirazioni come brezze primaverili, inebrianti ma inconsistenti; voce salvata dai ranger ecologici in un Cimitero dei Mammuth, colossi stremati in un deserto di Utopie confinate nell’Iperuranio dei progetti futuri; futuro al cubo, futuro da (in) cubo, (in) cubo al futuro!

– Sogni dispersi nell’Universo, inseguendo i latrati dell’innocente martire Laika.

Pagina Bianca dedicata alla Voce che non voglio più smarrire (o abbandonare allo smarrimento), Voce narrante di follie finalMente libere;

Pagina dedicata all’Amica che delusa dai troppi libri, elettronicamente vergati in serie da scriventi galeotti, aveva imparato a sfogliare e leggere le Anime, nelle Anime.

Pagina della Voce che grida “per riscattare l’Anima dal torpore”, per incitare a manovre esistenziali ampie ariose estetiche, per inseguire ancora la Vita su rotte e traiettorie invisibili, diagonali, miracolose.